The
Mothers Of Invention
Burnt Weeny Sandwich
(Zappa Records)
Se
a una lettura contemporanea ai fatti era ancora possibile considerare Freak
Out! (1966), l’album di esordio di quello stranissimo e ripugnante gruppo
che rispondeva al nome di The Mothers Of Invention, poco più di una repellente
bizzarria – ma era una bizzarria di spessore, in grado di battere in incisività
la "canzone di protesta" allora imperante e di estendere la
"protesta" anche al lato musicale, espandendo al contempo lo
"scenario sonoro" della migliore "musica rock" di quel
tempo – a partire dal successivo Absolutely Free (1967) non fu più possibile
nutrire dubbi sulla reale consistenza di quello che, con il senno di poi,
usiamo oggi denominare "il catalogo zappiano".
E
mentre un sapiente uso dello studio aveva consentito a Zappa di sfidare
i Beatles sul loro stesso terreno – qui gli album di riferimento sono l’avanguardistico
Lumpy Gravy e quello strepitoso manifesto che risponde al nome di We’re
Only In It For The Money (ambedue editi nel 1968) – la stupefacente abilità
tecnica e la crescente versatilità esecutiva dei musicisti che si erano
gradualmente aggiunti al nucleo originale del gruppo avevano reso possibile
un ampliamento della tavolozza timbrica e un crescente utilizzo della scrittura
musicale: tutti elementi in grado di fare di Uncle Meat (1969) un’opera
gigantesca.
Se
per chiunque era stato facile considerare Hot Rats (1969) "uno splendido
esempio di musica strumentale", fu da Chunga’s Revenge (1970) in poi
che i pareri presero a divergere, e anche in modo violento (invitiamo il
lettore a riflettere autonomamente sulla dimensione "politica" sottesa
a molti di questi lontani dibattiti; una dimensione che diremmo oggi difficilmente
comprensibile, tanto mutato è il quadro; però sforzarsi – ovviamente con
moderazione! – non sarà pericoloso per la salute).
Non
sapremmo dire quale sia oggi la reale consistenza della discografia zappiana
nella mente dei più, ma sospettiamo che essa non sia troppo lontana dallo
zero. Doppiamente strano, quindi, trovarsi a riflettere su una coppia di
album venuti dopo "l’innovazione" di Hot Rats ma prima di Chunga’s
Revenge: Burnt Weeny Sandwich e Weasels Ripped My Flesh. Lavori che contenevano
una parte di quel materiale inciso dalla formazione allargata dei Mothers
Of Invention che Zappa avrebbe voluto riunire in un gigantesco cofanetto
(un’ambizione ricorrente nella carriera del musicista) prima di accettare
di ridimensionare le proprie ambizioni per motivi economici (e anche questa
è circostanza ricorrente).
Seppure
in maniera meno accentuata di Weasels Ripped My Flesh (un album che fa
della frammentazione un manifesto), anche Burnt Weeny Sandwich presenta
un’ampia varietà di materiali, assemblandoli però in qualcosa che ricorda
un affresco le cui componenti si illuminano a vicenda. E certo è ben strano
che tale varietà stilistica sia delimitata da due gustosissimi episodi
di sapore doo-wop: due cover che rispondono al nome di WPLJ e Valarie,
laddove la prima spiazza nell’introdurre quell’episodio di "musica
da camera" che risponde al nome di Igor’s Boogie, Phase One e la seconda
porta tutto a una conclusione appropriatamente "semplice" dopo
la monumentale Little House I Used To Live In e il botta e risposta tra
Zappa e il pubblico (esistono frasi in grado di dire così tanto in così
poche parole come "Everybody in this room is wearing a uniform, don’t
kid yourself"?).
Burnt
Weeny Sandwich vive dentro una cornice di grazia compositiva ed esecutiva
che ancora oggi è lì pronta a essere apprezzata, a partire da quegli episodi
chitarristici ricchi di una delicatezza sempre implicita nel lavoro elettrico
di Zappa ma che diremmo stavolta affiorare maggiormente in superficie (detto
tra parentesi, questo è un album dov’è possibile ascoltare chitarre acustiche
registrate in maniera nitida a occupare un ruolo quasi orchestrale – lo
diremmo un lato da riscoprire se solo gli altri fossero già scoperti).
E
potremmo anche dire del fantastico assolo di violino di Don "Sugar
Cane" Harris su Little House I Used To Live In, assolo al quale fu
comune fare riferimento per almeno un lustro dopo la pubblicazione dell’album;
una circostanza che dovrebbe dire al lettore almeno due cose: che quello
è in effetti un assolo di violino davvero fantastico; e che la sedimentazione
estetica non è altrettanto probabile in un’era che privilegia la dimensione
dello zapping (lo zapping è tanto bello, ma le sue conseguenze non tanto!,
e chissà se il piccino lo capirà mai).
Il
primo lato di quest’album presenta una riuscita simmetria: dopo l’introduzione
accattivante di WPLJ, il solenne frammento di Igor’s Boogie, Phase One
si apre sul multitimbrico e tematicamente indimenticabile Overture To A
Holiday In Berlin, brano che conduce l’ascoltatore a Theme From Burnt Weeny
Sandwich, laddove il protagonista indiscusso è un assolo di chitarra elettrica
dalla timbrica perennemente cangiante; il colpo di genio compositivo del
brano sta nel porre l’assolo al di sotto di un quadro percussivo in continua
evoluzione (si potrebbe tracciare un parallelo con il procedere di Nine
Types Of Industrial Pollution di Uncle Meat, la cui cifra emotiva è comunque
del tutto diversa).
Il
frammento di Igor’s Boogie, Phase Two introduce Holiday In Berlin, Full
Blown, che riprende e amplia il tema del brano quasi omonimo, lo
arricchisce di un untuoso episodio per sax tenore e beffardo contrappunto
di fiati e di marziali climi pianistico-percussivi. La seconda parte del
brano, registrata dal vivo, vede un bell’assolo chitarristico di impeccabile
logica sorretto con appropriata discrezione dalla sezione ritmica e da
un organo a dare la progressione di accordi.
Stacco,
ed è la conclusione di Aybe Sea, con Ian Underwood a pianoforte e clavicembalo
e Zappa alle chitarre. Tema inconfondibile, svolgimento elegante, chitarra
acustica suonata con il plettro, e il pianoforte finale ad allargarsi nello
stereo.
Ed
è il pianoforte di Underwood ad aprire la facciata due, e Little House
I Used To Live In. Poi esplosione del collettivo, i fiati in evidenza,
un breve assolo di Zappa all’elettrica – timbro magro, lo strumento passato
nel pedale wha-wha – ed è poi il momento del lungo, emozionante assolo
di violino di Don
"Sugar Cane" Harris, ben sorretto da ritmica e da un pianoforte
– Don Preston, che poi si lancia in un bell’assolo profondamente e appropriatamente
segnato da un forte senso del blues. E’ un episodio che – violino in testa
– alcuni vogliono provenire dalle session di Hot Rats, album che aveva visto
la partecipazione di Harris. A noi è sempre parsa un’estrapolazione dal tema
di KIng Kong, e la ritmica non è certo formata da Max Bennett e John Guerin!
Lo avvicineremmo piuttosto alla cover di Directly From My Heart To You che
compare su Weasels Ripped My Flesh.
Un
breve episodio cameristico – sassofoni, fagotto e flauto, percussioni –
conduce l’ascoltatore a quella festa organistica della sovraincisione e
della velocizzazione dei nastri che è il finale del brano, un combinarsi
di tempi e strati dove Zappa – all’organo! – sembra combinare ricordi della
musica folk del meridione d’Italia con lo spirito di… Terry Riley! Pieno
finale, stop, applausi.
Ma come
suona questo CD? Bella domanda, mentre fioriscono le discussioni in Rete,
che vedono l’Europa – e chi scrive – in posizione di svantaggio, essendo
nel frattempo stata posticipata di circa un mese la pubblicazione del secondo
gruppo di titoli – da Waka/Jawaka (1972) a Sheik Yerbouti (1979). Ci sembra
però possibile dare un giudizio di massima per quanto riguarda le nuove
masterizzazioni dall’analogico dei titoli del primo gruppo, che – lo ricordiamo
– va da Freak Out! (1966) a Just Another Band From L.A. (1972).
Ci pare
di poter dire che, con l’eccezione di Hot Rats – masterizzato in precedenza
da Bernie Grundman per una versione in vinile e poi riportato su CD – l’uso
della compressione in fase di masterizzazione sia senz’altro superiore
all’ottimale (colleghi statunitensi ci dicono che la compressione applicata
sui titoli del secondo gruppo è sensibilmente minore, ma per i motivi appena
detti siamo impossibilitati a esprimere un parere in proposito). Se tutti
i titoli ci sembrano soffrire di una (non impossibile da sopportare, ma
che diremmo un po’ esagerata) sovrabbondanza nei bassi, per quanto riguarda
la compressione ci pare di poter dire di aver trovato il lavoro di Doug
Sax più gradevole all’ascolto di quello di Bob Ludwig (qui forse ci potrebbe
essere obiettato che gli album di cui si parla sono troppo diversi per
poter essere paragonati; diremo allora che la resa di due album dal vivo
molto simili per date e mezzi tecnici di registrazione impiegati – Fillmore
East, June 1971 e Just Another Band From L.A. – dimostra appieno la giustezza
di quanto da noi detto).
Questa
versione di Burnt Weeny Sandwich rimasterizzata da Bob Ludwig offre contemporaneamente
una ricchezza del particolare senza precedenti – come un microscopio auditivo
– e una timbrica che chi scrive ha trovato un po’ stancante. A chi, animato
da spirito pragmatico, ci chiedesse se la nuova versione possa rimpiazzare
quella su Rykodisc diremmo che l’assenza di quel fastidioso riverbero sparso
a piene mani presente sul CD della Rykodisc rende a nostro parere questa
versione altamente preferibile – anche se trovare lo strumento dell’assolo
di pianoforte di Don Preston più simile a un clavicembalo amplificato che
a un pianoforte sconcerta assai. Detto ciò, l’assolo finale di organo di
Zappa risulta non poco emozionante, e diremmo che questo potrebbe bastare.
Ma non
abbiamo fatto un confronto con un vinile d’epoca? Ovviamente sì! Un Reprise
Made In USA dei primi anni settanta. C’è "di meno", e la stampa
della copia in nostro possesso non è l’ideale per qualità della pasta e
posizione del foro – ed è ovvio che la parte con più crepitii è l’inizio
della facciata due, dove il pianoforte di Underwood è in solitudine. E
poi c’è il fattore
"sono quarantun anni che ascoltiamo il vinile, solo due settimane per
il CD…".
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net
| Sept. 14, 2012