Frank
Zappa
Waka/Jawaka
(Zappa Records)
Siamo
oltremodo felici di poter dire che i due titoli che aprono cronologicamente
il secondo gruppo di ristampe digitali giunte finalmente a sistematizzare
e migliorare lo stato del catalogo zappiano sono sotto tutti gli aspetti
un vero trionfo, con il procedimento di masterizzazione a servire la musica
senza stravolgerla; l’ascoltatore avrà quindi la possibilità di godere
appieno di due album cui non è affatto esagerato attribuire la tanto abusata
etichetta di "capolavoro".
Trattasi
di due album per certi versi "gemelli", ancorché non poco dissimili
per quanto riguarda i risultati concreti, entrati di diritto a far parte
della storia del "rock che conta" – anche se è plausibile supporre
che gli ascoltatori più giovani potranno avere qualche difficoltà a considerare
la musica che si ascolta su Waka/Jawaka e The Grand Wazoo come
"rock", ma questa per loro sarà solo una delle tante sorprese.
Ragionando
ipoteticamente è possibile supporre che se la concatenazione di eventi
drammatici di natura extramusicale abbattutasi su Zappa non avesse mai avuto luogo questi
album non sarebbero mai nati – e che grande perdita sarebbe stata! Proviamo
a riassumere lestamente.
Anche
se li precede in quanto a data di pubblicazione, Hot Rats (1969) dice più
sul futuro di Zappa di Burnt Weeny Sandwich e Weasels Ripped My Flesh.
La svolta "rock" viene confermata da Chunga’s Revenge e da una
lunga serie di concerti dal vivo dai quali nasceranno album come Fillmore East – June 1971 e Just Another Band From L.A., con in mezzo l’esperienza filmica e la colonna
sonora di 200 Motels, con orchestra, coro e gruppo rock.
Però il
diavolo ci mette la coda. Il 4 dicembre del ’71 un incendio scoppiato al
Casino de Montreux, in Svizzera, manda a fuoco la strumentazione del gruppo,
Mini-Moog di Don Preston incluso (lo strumento era stato sottoposto a modifiche
che lo rendevano pressoché unico). (I Deep Purple fanno il riassunto in Smoke On The Water,
un brano contraddistinto da un riff chitarristico che chiunque avrà ascoltato
almeno una volta nella vita e che in tanti hanno eseguito,
magari in modo errato.) A una settimana dagli eventi, mentre il gruppo
si esibisce al Rainbow Theatre, in quel di Londra, con una strumentazione
presa in affitto, uno spettatore sale sul palco e scaraventa Zappa nella buca dell’orchestra:
trauma cranico, fratture di notevole entità a schiena e gambe, seri danni
alla laringe.
Waka/Jawaka
(mai titolo fu più onomatopeico) è il primo dei due album che Zappa incide
nei losangelini Paramount Studios con l’apporto tecnico dell’ottimo Kerry
McNabb. Il gruppo di musicisti che faceva parte dell’ultima edizione dei
Mothers ha preso altre strade, e – complici le circostanze – Zappa è così
libero di dedicarsi a un lavoro di studio a geometria variabile. Una circostanza
che spiega almeno in parte – ma probabilmente da parte di Zappa c’era anche
l’intenzione di rendere l’album facilmente distinguibile dalle sue ultime
uscite – l’aggancio a Hot Rats, un album che tra l’altro aveva goduto del
favore della critica in misura decisamente superiore al lavoro dei vecchi
Mothers Of Invention (ma va detto che non ci voleva molto…). Da cui l’aggancio
grafico della copertina, dove uno dei rubinetti del lavandino porta la
dicitura di Rats, e l’attribuzione dell’album al solo Zappa. Va anche notato
che nell’edizione originale in vinile il titolo completo che compariva
sulla costa della copertina e sull’etichetta del disco era Waka/Jawaka
– Hot Rats.
In verità
i nomi non sono tutti nuovi. Dei penultimi Mothers Zappa richiama accanto
a sé il tastierista George Duke, e Don Preston ha modo di sfoggiare il
suo nuovo Mini-Moog con risultati entusiasmanti. Ma alla slide c’è un altro
chitarrista, Tony Duran. C’è poi un giovane e strepitoso trombettista,
Sal Marquez, che ritroveremo di lì a poco su The Grand Wazoo e l’anno successivo
nello storico gruppo che andrà in tour dopo aver inciso il riuscito e comunicativo
Over-Nite Sensation. E la ritmica? Qui Zappa ha la possibilità di mantenere
lo straordinario Aynsley Dunbar, batterista che aveva debuttato discograficamente
con Zappa su Chunga’s Revenge. E al basso? Erroneous, musicista che oggi
sembra possibile identificare come l’Alex Dmochowsky un tempo compagno
di ritmica di Dunbar (si veda quale buon esempio l’album a nome Aynsley
Dunbar Retaliation intitolato To Mum, From Aynsley And The Boys, del 1969),
qui probabilmente non in possesso di un valido permesso di lavoro. (Siamo
certi che qualcuno ricorderà il solido e inventivo apporto di Dmochowsky
sul celeberrimo album solista di Peter Green intitolato The End Of The
Game.)
L’album
si articola in due facciate non poco dissimili, con un brano strumentale
a occupare la prima facciata e tre brani di lunghezza più contenuta – due
brani vocali, uno solo strumentale – a dividersi la seconda. Si noti che
Zappa non canta in nessuno dei brani, probabilmente a causa dei danni alla
laringe riportati in seguito alla caduta, ma una certa "aria di famiglia" che
è fin troppo facile avvertire ci dice di una interpretazione vocale sapientemente
indirizzata.
Dall’alto
dei suoi oltre diciassette minuti di durata, lo scuro e per certi versi
sinistro quadro che porta il titolo di Big Swifty costituisce un unicum
nel repertorio zappiano, e una delle pagine più belle della storia del
rock. Aperto da un tema frenetico di difficile esecuzione, il brano nella
sua parte iniziale vede emergere la fanfara delle trombe sovraincise di
Sal Marquez. Il tempo si distende, ed è la volta dell’assolo di piano elettrico
di George Duke – come ovvio, un Fender Rhodes, il cui suono è reso ancora
più interessante dall’uso dell’eco e di un modulatore ad anello. Qui la
grammatica è senz’altro jazz, ma il retroterra "rock/contemporaneo" di
Zappa rende a nostro avviso il suono totale molto più espressivo di opere
consimili che dal jazz guardavano in direzione del rock.
Fa seguito
un assolo di tromba di grande bellezza, poi a Sal Marquez si affianca sul
canale opposto la chitarra di Zappa, con un timbro scuro e strozzato (diremmo
il pick-up alla tastiera di una SG filtrato in un pedale wha-wha) che rende
pressoché obbligatoria un’attenzione spasmodica a quanto suonato. L’intelligenza
zappiana accoppia poi la timbrica "chiara" della chitarra slide
dal sapore dichiaratamente blues di Tony Duran, con il resto del gruppo
a entrare nel vivo dell’azione. La batteria di Dunbar sorregge e sprona,
con grande uso dei piatti (uno swing solido, quello di Dunbar, ma dal suono
"corposo" di chiara derivazione rock) e felice apporto di… Erroneous.
Un colpo
secco di rullante introduce la transizione alla ripresa del tema, che si
distende in rilassate contrazioni (un bell’ossimoro) per poi condurre a
un’altra parte di tromba solista, poi le percussioni di Zappa e il piano
di Duke conducono ai colpi di chitarra che chiudono il brano.
Introduzione
della ritmica, voci e chitarre in evidenza con un bello sfondo fiatistico
per l’ironica Your Mouth, un blues leggero a fare da bella introduzione
alla seconda parte dell’album.
Le cose
si complicano con It Just Might Be A One-Shot Deal, con belle parti vocali
dal timbro mutevole, un felice arrangiamento del lavoro delle quattro chitarre,
e una sezione di grande suggestione e intelligenza a far seguito all’assolo
di pedal steel di "Sneaky Pete" Kleinow, all’epoca il sessionman
più richiesto per ciò che riguarda la steel di stampo country.
Waka/Jawaka
dice moltissimo in poco più di undici minuti. Una spettacolare sezione
fiati ad aprire il brano con la potenza di una Big Band per un tema tipicamente
zappiano, bel solo di Sal Marquez con la chitarra di Zappa a segnare la
progressione degli accordi – un ruolo che svolge anche altrove sull’album
– e un felicissimo apporto di rullante e charleston (hi-hat). Grande apertura
dell’assolo di Mini-Moog di Don Preston, con un intelligente e musicalissimo
alternarsi di momenti dalla dominante cromatica piuttosto tesa e scura
(è facile notare anche un passaggio dal sapore di "tarantella" eseguito
in staccato molto simile a figure chitarristiche tanto amate da Zappa in
quel periodo). Dopo una lunga nota "tenuta" modulata dal filtro,
l’entrata della chitarra di Zappa fa l’effetto di un raggio di sole, e
tutto l’assolo mostra una chiarezza musicale in grado di stupire ancora
oggi. (Ed è un assolo compositivamente molto denso.) Entrata strepitosa
dei fiati, con una esplosione
"Big Band" che introduce un originale assolo di batteria di Dunbar,
il cui accelerato va poi ad appoggiarsi su una parte più lenta per fiati.
E’ una soluzione altamente intelligente, che offre ai fiati e alla ritmica
una base da cui poi accelerare, con quei colpi frenetici di cassa e basso
e un andamento che assume quasi i modi della colonna sonora da film Western,
con le campane finali a introdurre quello "sfumato" che porta a
conclusione il brano, e tutto l’album.
Come suona?
Strepitosamente bene. Mille volte meglio della versione Rykodisc. La nuova
masterizzazione, opera di Doug Sax e collaboratori, ci ha riportato alla
vivezza del nostro vinile – la più recente copia in nostro possesso è un
originale Bizarre/Reprise stampato quarant’anni fa e che non li dimostra
affatto – con in più una maggiore chiarezza nella sezione fiati dell’ultimo
brano. Tanto livello, e – al solito – un po’ di basso in più rispetto a
quello che consideriamo l’ideale, ma è poca cosa.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net
| Oct. 8, 2012