Frank Zappa
Trance-Fusion
(Zappa Records)
Lo diremmo
un fatto certo al di là di ogni ragionevole dubbio: più ci allontaniamo
dagli eventi e più diventa difficile trasmettere la complessa sensazione
(un misto di meraviglia, stupore, irritazione, sconcerto…) provocata
dall’apparire di Frank Zappa e delle sue Mothers Of Invention sulla scena
di una "controcultura" il cui essere "contro" si voleva
di per sé sufficiente a tenerla al riparo da ogni possibile obiezione (e
poi, riusciva qualcuno a immaginare delle obiezioni che non provenissero
tutte dallo sfidato
"Establishment"?). Quarant’anni dopo gli esordi di Freak Out! e
di Absolutely Free (due titoli, si badi bene, perfettamente in sintonia con
lo
"spirito giovane" dei tempi di cui diciamo) proviamo ad accostare
la copertina dello zappiano We’re Only In It For The Money a quella dell’album
parodiato, quel celeberrimo Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles
che fu senza alcun dubbio l’avvenimento per eccellenza dell’estate del 1967
(per maggiore drammaticità è altamente consigliabile accostare i due album
nella versione in vinile).
Successive
riletture in stile "cuoio & siringhe" hanno reso decisamente
problematico percepire quella che è la caratteristica peculiare degli anni
Sessanta: la comparsa del colore. Laddove per colore va qui inteso innanzitutto
un ampliarsi delle possibilità – ma anche, ovviamente, il colore tout court;
proviamo a immaginare quanto colorata potesse apparire la "Swingin’
London" ai musicisti che giungevano da Birmingham o Manchester; o,
per contro, i luoghi ancor più colorati da cui provenivano quei Byrds che,
scesi da Eight Miles High e provenienti da una California affluente e solatia,
si ritrovarono in una Londra che portava ancora evidenti i segni di una
guerra.
Lo Zappa
dei tempi è importante (anche) perché con il suo lavoro mette in guardia
dal pericolo di scambiare la tavolozza dei colori più a portata di mano
con tutta la gamma possibile. Certo non sarebbe giusto tacere dell’intuizione
dei
"leaner, meaner times" giunti di lì a poco di cui con lucidità
ci parlò Ellen Willis (1941-2006). Ma il
lavoro di Zappa è importante anche al fine di non identificare scelte decrescenti
a causa di un reddito decrescente con tutta la scelta possibile; e per il
fatto di ricordarci che un immiserirsi dei criteri di qualità può rendere
le nostre scelte più numerose ma al contempo più povere.
Non è
certamente solo "un diverso rumore" quello ottenibile con l’elettricità
e l’amplificazione, sol che si aggiungano destrezza manuale e chiarezza
di intenti (ambedue ottenute mediante il classico procedimento denominato "prova
ed errore"). Ma è un "diverso rumore" che ai tempi aveva
molte possibili varianti personali, dalla "triade Made in U.K." formata
da Eric Clapton, Jeff Beck e Peter Green al trapiantato Jimi Hendrix, dal
Mike Bloomfield "in Chicago" al "rumorista"
Pete Townshend, con Jimmy Page e Ritchie Blackmore di là da venire. Lungi
dall’essere un "guitar hero", sulle prime Zappa esprime il suo
lavoro strumentale all’interno di un’architettura complessa che non considera
certo il solismo quale priorità (un interessante parallelo è quello con Robert
Fripp dei King Crimson). E’ solo a cavallo tra i sessanta e i settanta, con
album quali Hot Rats e Chunga’s Revenge, che comincia a emergere un Frank
Zappa chitarrista.
Semplificando
assai, possiamo dire che esiste il Frank Zappa dei primi assolo, fortemente
connotati in senso blues ma assai inusuali per scale, accenti e suoni:
si ascoltino Get A Little da Weasels Ripped My Flesh, Nine Types Of Industrial
Pollution da Uncle Meat e un po’ tutto l’album Burnt Weeny Sandwich. Partendo
dai già citati Hot Rats e Chunga’s Revenge si può procedere senza soluzione
di continuità con Waka/Jawaka, Over-Nite Sensation e Roxy And Elsewhere:
è il secondo periodo. E’ però sempre un Frank Zappa che, in studio o dal
vivo, suona la ritmica insieme al resto del gruppo. E’ con l’utilizzo di
altri chitarristi (prima uno, poi due o tre) che Zappa diventa progressivamente "il
cantante/punto focale" oppure "il chitarrista solista" che
imbraccia la chitarra solo al momento dell’assolo. E qui, qualcosa si perde
e qualcosa si guadagna.
Siamo
già in piena era reaganiana, e dollaro alle stelle, quando apprendiamo
che Zappa ha dato alle stampe tre LP di assolo di chitarra e basta: vengono
venduti solo negli Stati Uniti, per posta. Ma si trova sempre un modo,
anche se i vetri della cabina telefonica si appannano di botto quando ci
rendiamo conto che il prezzo in fondo non troppo esagerato che ci viene
chiesto per i tre LP è invece da intendersi CADAUNO.
Benissimo
registrati, i tre volumi di Shut Up ‘N Play Yer Guitar sono destinati a
rivelarsi una pietra miliare del lavoro chitarristico "rock".
In essi Frank Zappa estrapola "il momento dell’assolo", ovverosia
il momento in cui il chitarrista si lancia in improvvisazioni "senza
rete" e basso e batteria (pressoché gli unici strumenti qui presenti
oltre alla chitarra) sono intenti ad arricchire con ardite suddivisioni
temporali e audaci ampliamenti armonici le escursioni strumentali del leader.
Stimolante rinvenire i legami con i brani da cui provengono gli assolo
e indagare le "aree tematiche" delle esplorazioni. Il riflettere
sulle sole timbriche adoperate può durare anni.
I tre
volumi (ci sarà poi un doppio similmente strutturato, Guitar, quasi in
chiusura di decennio) riscuotono un successo a ben vedere considerevole,
seppure in fondo limitato. Non sono ancora i tempi degli "uomini bestioni" (per
quelli manca ancora un elemento decisivo: l’avvento della
"videomusica"), ma lo scambiare la punta delle scarpe con l’orizzonte
porta al ben noto fenomeno di considerare "vuoto sfoggio autoindulgente"
ogni cosa pur minimamente sottile di cui non si colga immediatamente la logica.
Con la differenza che mentre nella cornice degli anni sessanta il presupposto
tacito era che le cose che apparivano difficili un contenuto dovessero averlo,
e quindi stava a noi trovarlo, ora la cosa appare di nessuna importanza.
Un’estetica caratterizzata dal narcisismo proprio dei fanciulli dalla quale
i venditori di pubblicità sapranno trarre gran profitto.
Annunciato
più volte, e mai apparso, ci eravamo completamente dimenticati perfino
della possibile esistenza di Trance-Fusion, album di assolo di chitarra
curato personalmente da Frank Zappa prima della sua prematura scomparsa.
Quale sia il destino che lo attende crediamo purtroppo di saperlo, già
a partire dalla mancanza di riferimenti riscontrati in Rete durante la
settimana in cui lo abbiamo ascoltato. Non ci farebbe molto piacere dover
ammettere – come già accadde in un non lontano passato – che quello di
Zappa è un nome che su scala planetaria vuol dire ormai poco o nulla, discusso
da uno sparuto manipolo di aficionados. Ma temiamo che la realtà possa
essere ancora peggiore: non sono più i tempi in cui elementi "materiali" (la
tastiera
"scalloped" di Blackmore, i wha-wha di Zappa, gli armonici
"artificiali" di Beck, le leve "piegate a mano" di Hendrix,
i Kahler e i Floyd Rose) venivano percepiti come mezzi logici in vista di
un fine; lontanissimi i tempi in cui "vedere" voleva dire
"capire" (si osservino gli occhi di chi va ai concerti: un saettare
continuo in tutte le direzioni – forse alla ricerca di un telecomando?).
Con un
paio di significative eccezioni, la totalità dei brani presenti su Trance-Fusion
proviene dagli ultimi due tour effettuati da Zappa: quello del 1988, con
una formazione dall’ampia sezione fiati; e quello del 1984, con formazione
più snella contraddistinta da due chitarre ritmiche e due tastiere. Il
che potrebbe sembrare poco importante (e in fondo è così) a fronte del
fatto che rimane immutata la coppia Chad Wackerman (batteria) e Scott Thunes
(basso); ma l’ascoltatore attento noterà quanto più esuberante sia l’apporto
della ritmica nel secondo caso. Come già in passato, i titoli degli assolo
non ne rivelano la provenienza; qui soccorre la Rete, ma anche a orecchio
non sarà difficile a chi è già al corrente di fatti zappiani ritrovare
Inca Roads su Dark Matter, City Of Tiny Lights su Scratch & Sniff,
The Torture Never Stops su Gorgo e After Dinner Smoker e via dicendo.
Chunga’s
Revenge, con fiati, apre il CD. Il brano vede un lungo assolo del figlio
Dweezil, molto più lineare e (alle nostre orecchie) simile a Steve Vai
che non al papà.
Bowling
On Charen (si tratta del solo di Wild Love, ma da parte nostra terremmo
presente anche The Sheik Yerbouti Tango) viene da un tour del ’77, quindi
Pat O’Hearn al basso e Terry Bozzio alla batteria. Il solo è splendido,
un’alternanza tra fraseggi scuri sulle corde basse e momenti più lirici.
A circa 2’50" parte un momento a dir poco entusiasmante, con quella
certa
"rozzezza elementare" in cui Bozzio eccelle a fare da inarrestabile
propulsione.
Good
Lobna è un breve brano dal fraseggio convulso, quasi un ponte che funge
da introduzione a Cold Dark Matter/Inca Roads: il basso si produce in sapienti
contromelodie, passaggi scurissimi in fase percussiva.
Butter
Or Cannons (in realtà Cleveland dell’84) è concitata, con rullante secco,
piatto ride, basso quasi "dente di sega", chitarra ispida, piano
"comping" (è Allan Zavod, che interpretava in chiave che diremmo
decisamente be-bopper il ruolo di accompagnamento durante i "vuoti"
della chitarra), poi la chitarra si tramuta in un uragano.
Ask Dr.
Stupid, del ’79, vede il basso di Arthur Barrow (stranamente non accreditato)
e la batteria tipicamente poliritmica di Vinnie Colaiuta, con grande uso
della cassa.
Scratch
& Sniff/City Of Tiny Lights (l’orecchio ovviamente corre alla Variations
On The Carlos Santana Secret Chord Progression) è ricca di verve, con bella
batteria, contrappunto del basso, bel sottofondo.
Trance-Fusion
(Marqueson’s Chicken) è per certi versi il vertice dell’album: lenta, cadenzata,
con qualche nota del basso ripetuta/compressa alla maniera di Jack Bruce,
batteria superba.
Liquida
e bluesata, ottima, Gorgo. Diplodocus è una King Kong dell’84, con il sassofono
tenore di Bobby Martin, non accreditato, a incorniciare il solo; levare
reggae (una mossa classica di quell’anno), il piano di Zavod, i gruppetti
fitti della chitarra.
Soul
Polka sono tre minuti velocissimi in levare, For Giuseppe Franco torna
al levare reggae dell’84, piano elettrico a riempire, contrappunti del
basso, rullante in evidenza.
After
Dinner Smoker, da Genova ’88, ritorna in modo superbo al solo di The Torture…
ed è un’altra vetta del CD. Fluida, ottimo sfondo, sviluppo batteristico
entusiasmante.
Stacchetto
fisso, cadenzato, delle tastiere, atmosfera da incubo, chitarra nasale:
Light Is All That Matters, due diversi assolo.
La vera
chiusa è il quasi "flamenco-blues" di Finding Higgs’ Boson, con
belle percussioni. Si chiude con papà e figlio insieme a Monaco.
(E se
qualcuno definisse il CD "vuoto sfoggio autoindulgente"? Abbiamo
pronta quella che una volta Zappa definì la sua "umile maledizione": "possa
la tua merda prendere vita, e baciarti.")
Beppe
Colli
© Beppe
Colli 2007
CloudsandClocks.net | Jan.
14, 2007