Brian Woodbury And His Popular Music Group
Pay Attention
(Some Phil)
Alquanto
sconcertante notare – dopo aver trovato questo CD nella cassetta delle lettere
– che l’ultima volta in cui ci è capitato di occuparci della musica di Brian
Woodbury è stato nel 2004, in occasione dell’uscita dell’eccellente album
inciso con la sigla Variety Orchestra. Un’intervista fatta a ridosso della
pubblicazione di quel lavoro ci diede la possibilità di scoprire quell’enorme e
sorprendentemente vario campo d’azione che è la musica di Woodbury, compositore
e arrangiatore – e non scordiamoci dei testi delle sue canzoni – per il quale è
stata certamente inventata la parola "versatile".
Va
immediatamente precisato che – pur se ci è sorto il dubbio di aver perso
qualche puntata della storia – nel caso di Woodbury il silenzio discografico
non è segno di inattività, ché la sua fitta attività nel campo del musical
teatrale e della collaborazione a programmi televisivi di vario tipo è quanto lo
tiene più impegnato, oltre a costituire il bacino dal quale sgorga l’enorme
varietà presente nella musica di quest’album, davvero poco comune al giorno
d’oggi.
E
parlando di "tempi lunghi" notiamo che questo Pay Attention dovrebbe
essere il secondo album inciso con la formazione – ma qui più che a una
formazione dobbiamo rivolgere il pensiero a un atteggiamento stilistico nei
confronti del materiale – denominata "His Popular Music Group", il
primo album essendo l’unica cosa da noi conosciuta – e moltissimo apprezzata –
al tempo di Variety Orchestra.
Parallelamente
a quel primo lavoro, la musica contenuta su Pay Attention gioca con i più
diversi generi musicali, accoppiandoli a testi ora scherzosi ora seri – e
ovviamente l’ironia non esclude la serietà. Ottimo cantante – solo l’estrema
naturalezza con cui affronta gli stili più vari potrà indurre l’ascoltatore a
sottovalutarne la bravura – Woodbury è anche un dotatissimo arrangiatore, ben
sostenuto da una folta schiera di musicisti che nessun "genere" è in
grado di mettere in imbarazzo.
Woodbury è
qui impegnato a chitarre, bassi, tastiere e programmazione, oltre che al
missaggio. L’ossatura della formazione è costituita da Andy Sanesi a batteria e
percussioni, Dan Lutz al contrabbasso e al basso elettrico e David Witham al
pianoforte, ma altrettanto decisivi per la buona riuscita del lavoro risultano
musicisti impegnati solo in alcuni brani (la lista non è ovviamente esaustiva):
Marc Muller a chitarre, pedal steel e vari strumenti a corda; Nick Ariondo alla
fisarmonica; Ben Powell al violino; Glen Berger ai fiati, soprattutto al
flauto; Chris Tedesco alle trombe; Dan Levine a trombone, tuba e euphonium.
Pay
Attention va oltre l’ora di durata, e l’unica critica che ci sentiamo di fare
al lavoro – oltre a un appunto di carattere "filosofico" di cui si
dirà alla fine di questo scritto – è la sua durata, che a nostro avviso ne
diluisce l’impatto. Se qualche brano sembra un po’ stirato – con l’eccezione di
The Only Song, una delle vette dell’album, tutti i brani la cui durata inizia
con il numero 4 avrebbero beneficiato di una sforbiciata – avremmo senz’altro
eliminato i tre che chiudono l’album, che a nostro avviso avrebbe trovato una
conclusione più appropriata con il brano Diplomatic Plates.
Sono
comunque brani che – come i singoli degli anni sessanta – hanno un senso
perfettamente compiuto presi a sé, e che l’ascoltatore sarà libero di
valorizzare in tal modo.
Un’occhiata
veloce.
Pay
Attention è una bella apertura, spiritosa, con chitarra acustica, agile
inserimento dei fiati e un bell’inciso (una caratteristica compositiva
purtroppo in via d’estinzione).
The Real
World sfoggia chitarra acustica ed elettrica, ci ha ricordato…? Testo che
parla di "miti e leggende". Strumentazione che mette in risalto
violino, pianoforte e voci corali.
You Had
Me ha un’aria country ed è spiritosa, ma troppo lunga.
Diamond
Ring è un’allegra ballad, con chitarre acustiche, batteria, pianoforte e un
ritornello vincente.
A Second
Wind ha una bella melodia, chitarra acustica, mandolino, ottima fisarmonica, ci
ha ricordato Van Dyke Parks.
Every
Lousy Band ha un bel groove "funky" con basso è batteria, il
bersaglio ci è parso di poca sostanza.
Murphy
Bed è una ballad melodica, con chitarra acustica più pianoforte.
Born ha
un raffinato sviluppo melodico cangiante, e trombe in quantità.
New
York’s Gone è un brano jazz – ci ha ricordato il Microscopic Septet – con
pianoforte, contrabbasso e trombe sordinate, un’aria molto musical.
Now It’s
The Man’s Turn è spiritosa, country, con in evidenza violino e dobro. Belle
voci corali, chitarra acustica.
He Wrote
Himself Off ci è parsa stranamente anonima.
The Only
Song è una delle vette dell’album: complessa, armonicamente mossa, con ottima
condotta vocale (con Tulasi Rain voce aggiunta), orchestrazione che vede
flauti, trombone e euphonium. Non sappiamo se Woodbury sarà d’accordo, ma ci
abbiamo trovato dentro più di qualche dose di James Taylor.
If I Had
A Nickel – sulla remunerazione dei musicisti in Rete – sfoggia un groove
serrato, un pianoforte di lusso, basso e batteria, bei fiati sintetici
accoppiati a un vero sassofono.
Asteroid
parla di Courtney & Kurt. Briosa ma seria. Ottimo inciso.
Diplomatic
Plates: veloce!, bizzarramente ci ha ricordato la scrittura di Ben Folds.
Trombe squillanti.
What Is
God? è piatta.
Y2K ci ha
lasciato perplessi: base elettronica, vocoder, rap.
Mantra è
piatta e soporifera.
Dicevamo di una nostra perplessità "filosofica".
L’ascolto di Pay Attention dice immediatamente che la "popular music"
suonata dal "Popular Music Group" è la musica che fu
"popular" un tempo (e a onor del vero l’unico brano che si cimenta
con generi più "contemporanei" risulta quello maggiormente
"fuori posto", oltre che quello in cui la penna è meno sicura).
Non diremo che l’approccio di quest’album ci pare
"datato", ma è certo che durante l’ascolto ci siamo trovati ad
aggiungere "le virgolette" come faremmo assistendo a un musical
teatrale. Cosa che – ricordandoci la "messa in scena" del tutto – ne
diminuisce grandemente l’impatto.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2015
CloudsandClocks.net
| Nov. 7, 2015