Brian Woodbury
Variety Orchestra
(ReR/Some Phil)
Crediamo
che quella di ritrovarsi a gradire un album di un artista di cui non
si sa assolutamente nulla e di non riuscire a sapere null’altro a partire
da quel momento sia un’esperienza non troppo rara. A chi scrive capitò
con Brian Woodbury e con l’album intitolato Brian Woodbury And His Popular
Music Group, pubblicato nel 1992. Un album di canzoni davvero inusuali,
moderne e classiche allo stesso tempo, memori del passato ma assolutamente
non nostalgiche, che quasi ostentavano influenze e amori senza per questo
peccare di imitazione; ironiche quanto basta, ma ben in grado di evitare
il pastiche. Cinque anni dopo, un brano contenuto nel Volume 4, Number
2 del ReR Quartely destò in noi un certo sgomento: la pur pregevole
Shenandoah/Innsbruck, infatti, ricordava moltissimo Van Dyke Parks –
e per nulla il Brian Woodbury da noi conosciuto e apprezzato. Poi, più
nulla. Quale sorpresa, quindi, ritrovarsi tra le mani questo Variety
Orchestra – e grazie a Internet vita, curriculum e discografia di Woodbury
non sono più un mistero.
Piace
poter dire che Variety Orchestra è album di ottima fattura, di
un’intelligenza perfettamente accessibile ma che si dispiega pienamente
solo con gli ascolti; un lavoro che riesce a creare qualcosa che suona
fresco e nuovo pur se le sue componenti sono note. Organico ampio, strumentazione
varia e fantasiosa (trombe, percussioni, bassi, banjo, violini, sassofoni
e fisarmoniche), stilemi che più vari non si può, ma sempre
secondo una logica che è sentimentalmente partecipe, e in questo
senso mai "postmoderna". I nomi maggiormente noti per chi
scrive sono quelli di Marc Feldman e Sarah Parkins (violini) e di Guy
Klucevsek (fisarmonica); alcuni dei musicisti coinvolti avevano già
contribuito all’album precedente – ed è con grande sorpresa che
ci siamo accorti di conoscere molto bene i loro abituali datori di lavoro!
Polistilismo,
dunque. Quale esempio va benissimo l’iniziale Take The J Train, dove
a un sax baritono non poco ROVA Saxophone Quartet fa seguito un lirico
tema per steel guitar. Bella (e – diremmo – originale) la commistione
tra propulsione minimalistica e aperture jazz che caratterizza Mom.
Trombe sordinate e arie mariachi contraddistinguono Garbanzo Beans,
mentre un’aria latina vivacizza Venice, Italy. Jesus Christ Alrighty
ha un andamento non poco R&B, con un attacco di sax tenore che non
può non ricordare Gary Windo e una progressione (con tanto di
organo) che sembra rimandare a Carla Bley (il cui nome, unitamente a
quelli di Oregon, Henry Threadgill e Fred Frith, viene menzionato sulla
copertina del libretto quale "inspiration"). Non vorremmo
dare l’impressione di un lavoro derivativo – se è vero che la
quadratura ritmica e il violino "balcanico" di Long May She
Wave sembrano rimandare al Frith di Gravity è anche vero che
il lavoro del vibrafono è un tocco, innanzitutto compositivo, assolutamente originale. Come ben dimostrato da Threnody For Kennedy
And Connally, Woodbury non è solo un ottimo arrangiatore: si
ascolti la melodia che appare a circa 2’20", che diremmo inaspettata
nel fluire stilistico che l’ha preceduta.
L’unica
pecca del lavoro, se è così che può essere definita,
riguarda una certa "inattualità" dell’insieme, che
risulta decisamente troppo intelligente – di un’intelligenza che non
fa mai sfoggio di sé – nel panorama odierno. C’è chi nel
corso degli ultimi anni è riuscito a vendere miscele di non troppo
ispirata varietà. Woodbury si situa senz’altro su un piano diverso.
Stante le coordinate di cui s’è detto, crediamo che chi vorrà
dare fiducia a questo disco correrà solo il rischio di fare una
bella scoperta.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | May 26, 2004