Univers Zero
Live
(Cuneiform)
Non
sono certo in molti, oggi, a ricordare quel coraggioso esperimento musicale
che usiamo classificare sotto il nome-ombrello di Rock In Opposition.
Ancor più esiguo, va da sé, il numero di coloro i quali
lo citano pubblicamente quale episodio considerato di rilevante importanza.
Eppure, nonostante ciò, a quasi trent’anni di distanza da quel
primo festival londinese che ambiva fare il punto della situazione,
si può tranquillamente affermare che buona parte della discografia
di quel periodo regge splendidamente; e grazie a provvidenziali ristampe
quella musica – che ormai, a suo modo, è "classica"
– è lì, pronta a essere riscoperta in tutta la sua splendida
"inattualità".
E
se per un attimo mettiamo in evidenza quale caratteristica peculiare
di Rock In Opposition il suo essere un rock "non americano"
teso a recuperare tratti culturali che fossero quanto più possibile
di natura non imitativa, allora pochi gruppi assumono un carattere altrettanto
paradigmatico degli Univers Zero. Estremamente agevole fare riferimento
agli album a nostro avviso più significativi del gruppo belga:
Ceux Du Dehors (1981) e il maxi
EP Crawling Wind (1983, ristampato con ampie e significative aggiunte
nel 2001). Musica tesa, intensa, scura, dove predominano colori strumentali
solitamente non considerati "rock" quali oboe, fagotto, violino
e piano, oltre a una batteria – quella del compositore e leader del
gruppo Daniel Denis – che non di rado assume le sembianze della percussione
orchestrale.
Facile
indovinare quale sia stato il destino commerciale di quella musica;
per conseguenza, un silenzio discografico durato tredici anni (e quello
concertistico è stato ancor più lungo). E che le cose
non siano agevoli neppure oggi è facile desumere dalla scritta
che la copertina di Live porta ben in evidenza: Avec le soutien de la
Communauté française de Belgique e de la Loterie Nationale
(logico lo slogan della Loterie: Vous Jouez, Vous Aidez).
Sebbene
ci dispiacesse non poco doverlo ammettere, The Hard Quest (1999) – primo
album a essere pubblicato sotto il nome Univers Zero dopo il lungo silenzio
– ci lasciò alquanto freddi. E’ estremamente ovvio che ogni artista
o gruppo che ha alle spalle opere di grande valore se le ritrova poi
immancabilmente davanti quale impietoso termine di paragone, ma qui
altri elementi si aggiungevano ad accrescere il nostro disagio; su tutto,
una certa freddezza timbrica e un carente interscambio strumentale che
sembravano dire di un organismo assemblato in modo artificiale; e anche
le composizioni del leader, ora per lo più brevi in modo allarmante,
avevano un che di manierato; i pochi climi inusuali lasciavano perplessi:
un buon esempio è Xenantaya, che per chi scrive era simile in
modo allarmante a una Third Ear Band con ritmi funky (un amico dalle
buone orecchie ci citò gli Area). A ben vedere l’album aveva
più punti in comune con i lavori solisti di Daniel Denis – Sirius
And The Ghosts (1991) e Les Eaux Troubles (’93) – che con un album degli
Univers Zero: ma allora, perché usare quel nome?
Anche
se crediamo che nessuno potrebbe mai accostare gli album successivamente
apparsi – Rhythmix (2002) e Implosion (2004) – alle vette del passato,
pure una progressione c’era. E un amico solitamente attendibile, visto
il gruppo dal vivo lo scorso anno, ci aveva detto di una bella esibizione.
Forse era ancora lecito sperare.
Se
quella speranza fosse ben riposta è ovviamente cosa che ognuno
dovrà decidere da sé. Per chi scrive Live è indubbiamente
un buon disco, laddove la dimensione concertistica, il repertorio prescelto
e l’ottima formazione consentono di minimizzare i lati deboli massimizzando
al contempo i punti di forza.
La
formazione è ricca: accanto alla batteria di Daniel Denis troviamo
infatti, oltre alla vecchia conoscenza Michel Berckmans all’oboe e al
fagotto, Eric Plantain al basso, Peter Van Den Berghe alle tastiere,
Kurt Bodé ai clarinetti e al sax tenore e Martin Lauwers al violino.
Il repertorio prescelto mostra che Denis ha voluto privilegiare il materiale
recente, che non era mai stato suonato dal vivo: fatta eccezione per
Bonjour Chez Vous da Ceux Du Dehors e Toujours Plus À L’Est da
Crawling Wind abbiamo qui tre brani tratti da The Hard Quest (Xenantaya,
Civic Circus e Kermesse Atomique), due da Implosion (Falling Rain Dance
e Méandres) e una ripresa di Electronika Mambo Musette dal secondo
album solista di Denis, Les Eaux Troubles. L’apporto strumentale è
convincente, e non manca di versatilità e forza. La circostanza
che il brano per noi più discutibile, Xenantaya, sia stato posto
in apertura di album (forse per aumentarne lo scarso "commercial
potential"?) ci ha costretto a nuotare controcorrente, ma il resto
funziona: Bounjour Chez Vous è restituita con tensione e intensità
pressoché intatte; Electronika Mambo Musette sfoggia un andamento
poco usuale, quasi da "New English Jazz" à la Nucleus/Soft
Machine; Kermesse Atomique è, tra i nuovi, forse il brano più
riuscito, anche se al confronto non sfigura la lunga e labirintica Méandres;
convince Civic Circus; non fa danni un sorprendente – e non chilometrico
– assolo di batteria in Falling Rain Dance, cui fa seguito quello che
è senz’altro il tema più "orecchiabile". (La
musica del gruppo è sicuramente meno intensa e sinistra che nel
glorioso passato, ma solo chi è solito fare overdosi di caffè
potrà trovarla "eccessivamente new age".)
Denis
è sempre Denis – e la circostanza che quella di batterista (vero)
è occupazione sommamente a rischio di estinzione rende il suo
lavoro a piatti e tamburi (e che strano suono di cassa!) ancor più
prezioso; per motivi che non comprendiamo il lavoro di Berkmans è
tenuto un po’ basso in missaggio, ma quel che si sente è davvero
bello; esce decisamente meglio il clarinetto di Budé, autore
anche di un pregevole assolo di sax tenore su Electronika Mambo Musette;
asciutto il basso di Plantain; elemento solidamente architettonico,
Peter Van Den Berghe ha anche un certo spazio solista, ora al piano
ora a una non meglio precisata – e grintosa – tastiere sintetica; buono
anche l’apporto del violino di Lauwers, ma a parere di chi scrive lo
strumento soffre per un eccesso di riverbero che ne rende il suono un
po’ "di plastica"; e la stessa cosa è vera per tutto
l’impianto strumentale, batteria esclusa; il solo brano conclusivo,
Toujours Plus À L’Est, è contraddistinto da un suono più
secco e asciutto, che chi scrive ha trovato maggiormente di proprio
gusto.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net | March 10, 2006