The United States Of America
The United States Of America
(Sundazed)
Giunge
oltremodo gradita la ristampa di questo piccolo classico (laddove "piccolo"
va correttamente inteso come "non molto conosciuto") originariamente
edito dalla Columbia nel 1968 e già ristampato una prima volta
dall’anglosassone Edsel nel 1987, agli albori dell’era digitale. Decisamente
bello su un piano puramente "tattile", The United States Of
America è un album doppiamente unico: perché è
il solo lavoro inciso da questa formazione; e perché originalissima
miscela di stili eterogenei armonizzati con mano sicura e logica impeccabile.
Un lavoro dove violino elettrico, piano ragtime, voce solista femminile,
intricate parti di basso, pieni bandistici e sperimentazione elettronica
coesistono senza percepibili fratture. Un lavoro senza "puntate
successive" né eredi – e se neanche a Joseph Byrd, il "genio
residente", riuscì di continuare la storia, è assoluta
follia volere trovare a forza in certi nomi di oggi i continuatori del
gruppo al di là di superficiali somiglianze di questo o quell’altro
brano (ma non è poi così che avviene per tanti illustri
"esemplari unici"?).
Il
bel suono di questa ristampa, rotondo e preciso a un tempo, consente
di indagare la logica sottostante al lavoro, laddove la ricercata chiarezza
– sia compositiva che sonora – trova i suoi antecedenti nei Beatles
e nel modus operandi di tanta musica classica. Il tutto combinato a
un’urgenza espressiva che è figlia del tempo, ovvero i favolosi
anni sessanta negli Stati Uniti: con i fermenti giovanili, la contrapposizione
generazionale, la guerra del Vietnam, la sperimentazione con le droghe,
le innovazioni musicali e via dicendo (le belle – ed estese – note di
copertina esclusive a questa edizione consentono all’ascoltatore di
crearsi un’immagine mentale che va al di là della storia del
gruppo).
L’iniziale
The American Methaphysical Circus è microcosmo rappresentativo
dell’intero album: il motivo per calliope, il piano, le orchestre dal
sapore "Vecchia America", il sintetizzatore, la voce femminile
filtrata da un modulatore ad anello, la ritmica secca ed essenziale,
l’atmosfera che da sinistra si fa da incubo. Il disco attraversa poi
ecletticamente (con quell’eclettismo che certo pesò, e molto,
sulle fortune commerciali del gruppo) arie un po’ alla Grace Slick/Jefferson
Airplane, atmosfere meditative, momenti di ironia che sembrano riallacciarsi
al primo Zappa, bozzetti beatlesiani, collage sonori e canzoni semplicemente
meravigliose – si ascolti Love Song For The Dead Ché, per certi
versi vetta dell’album.
Che
dire a chi già possiede il disco? Detto delle note di copertina
e di un discreto apparato iconografico, definiremmo il suono di questa
edizione senz’altro notevole. Però mancano i testi, già
presenti nell’originale e nella ristampa Edsel: PERCHÉ? Ci sono
inediti in gran copia, che pur se non in grado di migliorare l’originale
– e come potrebbero? – possono però arricchire la nostra comprensione.
Benvenuti quindi i tre demo di brani successivamente modificati per
l’inclusione sul disco definitivo, una alternate take e un paio di inediti
(ottimi Osamu’s Birthday e una versione di You Can Never Come Down,
che poi finirà sull’album solo di Byrd). Tre inediti di una strana
formazione capeggiata da Dorothy Moskowitz ci mostrano le preferenze
stilistiche della cantante, e risultano piacevoli – soprattutto la non
poco beatlesiana Perry Pier – ma lontanissimi da quell’ambizione che
tanto contribuisce a farci amare il gruppo ancora oggi.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | Aug. 19, 2004