Viaggio in Toscana
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di Beppe Colli
May 28, 2009
Una circostanza largamente
fortuita che vede nel ruolo di protagonista i classici "motivi di famiglia" ci
offre l’opportunità di trascorrere un paio di settimane in Toscana nel periodo
compreso tra la fine di marzo e gli inizi di aprile. Ovviamente si va, e
ovviamente decidiamo di approfittare dell’occasione per dare un’occhiata
in giro. Scelto di ridurre a zero la dimensione "Internet &
computer" – niente navigazione in Rete, niente scarico della posta –
ci restano pur sempre negozi, edicole, librerie e il mai abbastanza celebrato
"contatto umano".
Tornati a casa, fatta
mente locale su quanto avvenuto, improvvisamente ci rendiamo conto che in
due settimane non ci è mai capitato di sentire qualcuno parlare di musica.
Ce lo saremmo aspettato? Con un certo imbarazzo ci accorgiamo di aver mantenuto
una aspettativa non consapevole risalente a un periodo in cui era (ancora)
decisamente comune assistere casualmente a conversazioni che avevano per
oggetto la musica, e ciò in misura tanto maggiore quanto più aumentava la
nostra distanza da casa. Va da sé che in qualche negozio questo capita ancora,
ma ovviamente un negozio è un caso a parte (e anche lì, ormai, prevale il "mordi
e fuggi", con la dimensione verbale largamente assente). Le rare volte
che ci è capitato in pubblico (l’ultima, circa un anno fa, con due ventenni
intenti a interrogarsi reciprocamente su alcune frasi chitarristiche davanti
a una granita) salta immancabilmente fuori che si tratta di un particolare
tipo di sottogruppo: gente che suona. Ovviamente sarebbe un grave errore
ritenere che ciò significhi di per sé la fine di ogni discorso al riguardo,
vista la diffusione odierna di cose quali chat, newsgroup, forum e "sistemi
personali di comunicazione" di ogni tipo. Ma è un mutamento che ci pare
in ogni caso significativo, purtroppo reso "opaco" all’indagine
dalle modalità stesse della sua attuazione.
Con nostra grande sorpresa
in Toscana piove molto spesso, oseremmo dire quasi sempre. Da cui, lunghi
pomeriggi passati in albergo. Ci soccorrono la TV e la lettura. Se la CNN
bene o male ci dà il polso della situazione, i TG nazionali non sembrano
minimamente in grado di farci capire "cosa" succede; ci ritroviamo
quindi spesso a chiederci cosa possa capire dell’attuale crisi economica
chi non ha accesso a un’argomentazione scritta di una certa profondità. Privi
di Internet, ci restano vari quotidiani Made in UK (ma non il Guardian, assente
in molti punti vendita) e l’Herald Tribune. E parlando di crisi economica,
la sorte ci dà la possibilità di acquistare La veduta corta, il nuovo volume
di Padoa Schioppa da noi inutilmente cercato prima della partenza (qui è
appena arrivato); lo leggiamo con una punta di tristezza, riflettendo su
come nelle intenzioni di chi lo ha pensato il volumetto sia indubitabilmente
inteso quale "opera divulgativa". Ci risolleva il morale MTV, dove
il balletto del nuovo singolo di Katy Perry "cita" con disinvoltura
la Pat Benatar di Love Is A Battlefield.
E’ con
una forte dose di timore che siamo entrati in ciascuno dei numerosi negozi di
dischi in cui ci è capitato di imbatterci (e non solo perché il nuovo CD di Gianna
Nannini fungeva di fatto in quel momento da colonna sonora dell’intera Toscana).
Il momento non è dei migliori. Eppure, un senso di dignità era facilmente
avvertibile nella maggior parte dei casi. Ognuno fa fronte come può: c’è
chi alla musica affianca le magliette, chi i telefoni cellulari, chi giura
sulla specializzazione, chi punta sulla qualità. Particolare curioso, in
più di un negozio i vinili usati sono sbattuti per terra senza tanti complimenti
o collocati in scaffali decisamente angusti mentre il settore vinile 180
gr. gode di una collocazione di ben diverso prestigio; anche qui, vedute
divergenti: c’è chi vuole già finito il piccolo boom del "ritorno al
vinile" ("i ragazzini si sono già stufati di uscire da qui con
un LP sotto il braccio"), chi proprio su quello punta ancora tutto (ovvero,
quel poco che rimane); tutti concordi sul fatto che il vinile al di sotto
dei già citati 180 gr. non vale più niente (il che probabilmente è il motivo
per cui al prezzo di una scorpacciata di polvere troviamo l’album di esordio
dei Dreams su Columbia USA in edizione originale ancora sigillato a 10 euro).
Fatto inaspettato: nonostante tutto, coloro i quali stanno ancora dentro
un negozio non sono diventati dei cinici mercanti, e spesso si divertono
a suggerire cose che con tutta evidenza stanno loro a cuore ("l’hai
sentito il nuovo di Susan Tedeschi? è la moglie di Derek Trucks").
Edicole ben fornite
e pomeriggi piovosi ci inducono agli acquisti. Prendiamo un numero di Rolling
Stone, che con grande sconcerto troviamo essersi ristretto (sarà per colpa
della concorrenza di Blender?). Tra Mojo, Uncut, Word, NME, Q, Guitar Player,
Down Beat e via dicendo ci sono anche Bass Player (con in copertina Paul
Chambers) e Modern Drummer, che dedica il numero di aprile allo scomparso
Mitch Mitchell (bella sorpresa non annunciata all’esterno, un’intervista
a Morgan Ågren). Ci ritroviamo in albergo a leggere l’omaggio a Mitchell,
ricco di trascrizioni di passaggi e analisi del suo stile. Già che ci siamo,
diamo un’occhiata anche al resto, incluse due interviste a batteristi che
non abbiamo mai sentito nominare prima d’ora decisamente ricche di spunti
interessanti. Con nostro grande stupore, alla fine della lettura ci ritroviamo
di buon umore e con una certa voglia di ascoltare musica, laddove la sensazione
che abitualmente proviamo è di un certo schifo, nostro desiderio primo quello
di farci una bella doccia per liberarci da quel senso di sporco e di squallore
che temiamo ci resti appiccicato addosso per sempre. Prendiamo mentalmente
nota: essere più selettivi nelle letture.
Detto della Nannini,
cos’altro? Un negozio ci ha accolti con un suono suadente su cui si stagliava
una voce a metà strada tra Captain Beefheart e un orco. La melodia del pezzo
ci ha presto rivelato trattarsi di Leonard Cohen (era l’album Live In London).
Riflettiamo in silenzio. Strano come un’estetica un tempo secca e austera
si ritrovi adesso agghindata come un albero di Natale. Alla luce delle note
disavventure di natura economica la circostanza che il tour di Leonard Cohen
va alla grande non può non riempirci di gioia (teniamo sempre per i buoni).
Però dobbiamo confessare che questo improvviso scoppio di interesse per un
artista i cui album sono rimasti lì a giacere per anni ci sembra quanto meno
sospetto. Lo stesso vale ovviamente per tutte quelle santificazioni cui ci
è toccato assistere negli ultimi tempi: Burt Bacharach, Brian Wilson, Tom
Waits, Johnny Cash, eccetera. Le ipotesi non mancano.
Un altro negozio ci offre quale sfondo un suono che pare una
miscela di King Crimson, Pink Floyd, Prog generico e sfondi "ambient".
Ci viene rivelato trattarsi di Insurgentes, recente esordio solista di Steven
Wilson dei Porcupine Tree. Il disco non manca di spunti interessanti, pur
se fatalmente un ascoltatore dal retroterra sufficientemente ampio si imbatterà
in poche sorprese. Come sempre in situazioni simili ci viene in mente la
domanda: perché tanta parte della stampa è così restia a dare un po’ di spazio
a gente come questa, e perché quello sguardo che non riesce mai a celare
un che di sprezzante, quando poi lo stesso atteggiamento di sano rigore non
viene riservato a gente come, per dire, Peaches? (Beth Ditto!) Le ipotesi
non mancano.
Tornati a casa si accende
il computer, innanzitutto per dare un’occhiata alla posta. Ci scrive un amico
dagli USA, in data March 26: "Ha chiuso Blender". Questa sì che
è una notizia.
Abbiamo ancora qui
a portata di mano il folder in cui, circa otto anni fa, cominciammo a raccogliere
articoli su questo nuovo mensile USA dallo stile bizzarro (un misto tra l’approccio
musicale di Q e la filosofia poco vestita di Maxim) che andava a sfidare
Rolling Stone. Per farla breve, e dopo varie vicissitudini, la tiratura di
Blender al momento della chiusura era di circa 1.000.000 di copie, di cui
circa 50.000 vendute in edicola e circa 800.000 in abbonamento (fatte le
debite proporzioni, una miscela assolutamente normale per un mensile statunitense).
Ricordiamo ancora la gioia di tanti freelancer che – a $1 a parola per recensioni
di 135 parole – si trovavano a poter prendere $135 per una recensione che
sarebbe apparsa su un mensile in grado di tirare 1.000.000 di copie e che
avrebbe commissionato all’incirca dieci volte le recensioni di un numero
di Rolling Stone. Cos’è successo? Semplice: calo vertiginoso delle entrate
pubblicitarie.
E dato che si tratta di un peso massimo, e di un caso clamoroso
pur nel presente scenario di recessione, non sono mancati commenti e cifre.
In data March 26, 2009 Nat Ives (Alpha Media Shuts Down Blender, su AdAge.com)
ci fornisce le seguenti: nel corso del 2008 le pagine di pubblicità per Blender
sono calate del 31% e di un ulteriore 57% nel periodo che va da gennaio
ad aprile di quest’anno. Mentre le cifre corrispondenti per i mensili sono
rispettivamente di 12% e 22%. E quelle per Maxim (posseduto dallo stesso
gruppo) rispettivamente di 11% e 37%.
Gli interventi in proposito sono stati una legione, da Robert
Christgau (Poptastic Bye-Bye, con commenti) a Jason Gross, che sul suo blog
(Crazed By The Music) ospitato su PopMatters si è chiesto (in data March
29) What Does Blender’s Demise Mean For The Music Biz?, con una serie di
commenti da parte di lettori dalle due parti dell’oceano che vale la pena
di essere letta per intero; un intervento di un certo spessore è stato quello
di Angus Batey, che cifre alla mano ha messo sul tavolo il seguente problema: "Gli
ultimi dati danno il NME a 48.549 copie – con un calo del 25% rispetto allo
scorso anno e una tiratura per la prima volta inferiore a quella di Metal
Hammer". Dopo la probabile scomparsa del NME – è il succo dell’argomentazione
di Batey – quale giornale potrà avere il ruolo di abituare i giovani a leggere
di musica, a pagare per leggere di musica, e a pagare per la musica?
E se tutto questo non sembra abbastanza giungono poche settimane
fa notizie allarmanti riguardo un mensile statunitense che non potrebbe essere
più dissimile da Blender: Paste. Ne ha parlato Simon Warner sul suo blog
su Rock’s BackPages (Cut And Paste: Ad Slash Prompts i-D Crisis) e pochi
giorni fa una lettera aperta di Josh Jackson di Paste (A Letter To Paste
Contributors, in data May 13) spiega i mancati pagamenti e illustra le possibili
strategie.
Il problema per come
oggi si presenta è duplice: da un lato, la recessione in atto aggrava la
ben nota tendenza a disinvestire che vede gli inserzionisti quali protagonisti
attivi e i giornali musicali quali vittime predestinate; ma il combinato
disposto di più fattori compresenti – crescente abitudine del pubblico alla
multimedialità, moltiplicarsi delle piattaforme, decrescente alfabetizzazione
di tipo "alto", decremento dell’attenzione indivisa, ulteriore
aumento dell’uso (ludico e no) di Internet, crescente indifferenza ai fattori
"qualitativi" ed "esclusivi" della musica – ci dice che
il futuro sarà molto diverso dal passato, soprattutto man mano che i boomer
cederanno il passo a individui socializzati nell’era della Rete e della musica
"senza supporto".
Per dirla in soldoni, accanto al ben noto fenomeno che vede
le tariffe pubblicitarie in Rete ben al di sotto di quelle su carta, va considerato
che la pubblicità in Rete può assumere le forme di un pop-up ma anche di
brani in esclusiva, in streaming o in download, sia video che audio: cose,
quindi, "autosufficienti", accanto alle quali la (cosiddetta)
"argomentazione" diventa un orpello inutile di cui un pubblico
poco alfabetizzato (e uso a una programmazione televisiva di ben nota accessibilità)
mai sentirà la mancanza.
Alla vigilia del nostro
ritorno a casa, in uno dei negozi che ancora vendono musica che ci siamo
trovati a frequentare durante questo soggiorno toscano, è stato espresso
il dubbio se ci saremmo mai più rivisti in quella cornice. Temiamo che non
sarà solo questo il cambiamento che ci aspetta.
© Beppe Colli 2009
CloudsandClocks.net | May 28,
2009