Tone Dialing
Rigop Me
(Evil Rabbit Records)
Capita
ancora, di tanto in tanto, di trovare nella buca delle lettere un CD in
grado di sorprenderci piacevolmente: un "oggetto misterioso" inciso
da una
"entità (per noi) sconosciuta" che dopo un certo numero di ascolti
si rivela essere, se non un capolavoro (duole molto dirlo, ma per tutta una
serie di motivi questa non sembra affatto un’epoca favorevole ai capolavori),
quanto meno qualcosa che rivela una buona padronanza della forma e dei mezzi
tecnici adottati.
E’ il
caso di Rigop Me, album (affermano le note di copertina) che per la quasi
totalità dei brani è frutto di improvvisazioni dal vivo senza successive
sovraincisioni (ma diremmo che il lavoro, registrato da Colin McLean allo
OT301 di Amsterdam e masterizzato da Erst Karel, sia stato successivamente
missato e sottoposto a editaggio). Tone Dialing è il nome del trio di musicisti
qui impegnati, il cui grado di affiatamento e di empatia (sebbene
"aperta", la linea musicale non vaga mai incerta) diremmo prova
di una buona confidenza reciproca.
La formazione
è composta da Jorrit Dijkstra a lyricon, sintetizzatore analogico e loop
machine; Paul Pallesen a chitarra (elettrica) e elettronica analogica;
Steve Heather a batteria, percussioni e campionatore: un trio il cui suono
d’insieme ha un sapore decisamente "elettronico", con qualcosa
di piacevolmente
"lo-tech" (se non "lo-fi") che a tratti ci ha rimandato
alla "naïveté" degli Zga (gruppo dal quale i tre sono comunque
stilisticamente molto distanti). Qui, almeno "a prima vista", le
coordinate sembrano collocarsi grosso modo a metà strada tra le frange
"particellari" di quell’improvvisazione "moderna" che
sottopone il suono a ingrandimento e certe tendenze ("illbient"?
"intelligent techno"? "slow techno"?) che vogliono il
divenire sonoro ben ancorato da un punto di vista ritmico.
Vedere
il nome del "lyricon" ci ha fatto temere il peggio: antico tentativo
artigianale di aprire lo strumento a fiato alla sintesi (dopo lo Steinerphone,
ma ben prima dei tentativi industriali della Yamaha), il lyricon ci ricorda
soprattutto certe cose un po’ così di Tom Scott. Qui invece lo strumento
ha un suono niente affatto stereotipato, con timbri tutt’altro che
"riconoscibili". Aggiungiamo che – fatta una ricerca in Rete a
CD ormai assimilato – Jorrit Dijkstra (che se non il leader, qui è senz’altro
il primus inter pares) si è rivelato musicista dal retroterra e dai progetti
correnti alquanto diversi da quanto da noi immaginato; da cui, forse, la
sostanziale "robustezza" di questo lavoro.
I dieci
minuti di Gumyt Me costituiscono un’apertura che diremmo per molti aspetti
"user-friendly": loop ritmici regolari che si ripetono a intervalli
metricamente evidenti, toni lunghi su una scansione ritmica insistita, eventi
posizionati chiaramente sulla "griglia" temporale; rullante con
cordiera e spazzole, chitarra tintinnante, timbrica interessante, rimshot
sul finale.
Per amor
di semplicità potremmo definire la successiva Fezex Me come una versione
timbricamente più varia e interessante, ma disancorata da un pulse ritmico
insistito, del brano precedente. Un crescendo quasi "orchestrale" a
2′ 50", con una percussione bassa a far quasi le veci dei timpani,
e due eventi altamente "drammatici" dovuti a repentini cambi
delle frequenze in azione a 5′ 24" e a 7′ 07" circa.
Rigop
Me è un momento composto, con un lento unisono lyricon-chitarra che è quasi
un tema, e percussioni di sottofondo; il tutto cede il passo a un momento
ritmico, con la chitarra a suonare accordi, a velocità doppia; qui il lyricon
suona una linea melodica cangiante con un timbro che muta dall’armonica
a bocca al tipico suono campanulare di qualcosa che è filtrato da un modulatore
ad anello. Ingresso altamente "drammatico" della batteria a 5′
30", finale su un breve loop (lo diremmo come un ciclo di LFO).
Scansione
ritmica insistita, piatti della batteria "sferraglianti", cassa
che viene fuori prepotente, groove "medio", Yoxia Me ci ha ricordato
un po’ i Can: sulle prime quelli di Soon Over Babaluma, poi – quando il
lyricon ha assunto le sembianze di un "flauto etnico" – quelli
di certi brani della Ethnological Forgery Series; decisamente strana la
chitarra, che all’inizio sembra quasi una mutazione di certi accordi "scivolati"
dello Steve Cropper storico, per poi mutare in qualcosa di "funky"!
Oemik
Me fa un bel contrasto con il brano che precede: poco insistito ritmicamente,
timbricamente vario, con una espressiva frequenza bassa e sul finale un
suono nasale tipico dell’onda quadra a formare inaspettatamente un disegno
ritmico.
Altro
momento composto, in finale di CD, la breve Ziyak Me ha una parte sintetica
che fa quasi le veci di una tuba, piatti squillanti e lenti arpeggi di
chitarra; poi una bella melodia di lyricon in sottofondo, chitarra a mo’
di mandolino, piatti e tamburi, per un risultato che ha qualcosa di pastorale
(!).
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | June 4, 2008