Un po’ di respiro
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di Beppe Colli
Nov. 2, 2009
Incredibile ma vero,
Clouds and Clocks va in vacanza. Che tipo di vacanza? Fatte le debite proporzioni,
la cosa più simile che ci viene in mente al momento in cui scriviamo è l’ormai
celebre "extended hiatus" dei Phish. Ma a differenza delle traversie
del quartetto del Vermont, quelle del nostro webzine hanno una natura decisamente
meno misteriosa.
Il 2009 non è stato certamente un anno avaro di sorprese per
chi scrive, e ci piacerebbe avere il tempo di raccontarne almeno una, quasi
divertente a parlarne ex post, tanto per alleviare il tono. In più, le solite
cose che non mancano mai. Ci sembrava che la tanto sospirata tranquillità
fosse ormai a portata di mano quando, circa un mese fa, hanno avuto inizio
i lavori di ristrutturazione dell’appartamento situato sopra la nostra testa.
E intendiamo ristrutturazione: pavimenti divelti, pareti abbattute, tubi
dell’impianto idrico da sostituire, impianto di riscaldamento da rifare…
e un’impastatrice in loco. Tutto considerato, diremmo che nonostante tutto
in quanto a produttività nell’ultimo mese non ce la siamo poi cavata così
male. Ma dato che a quanto pare i lavori si protrarranno per altri due mesi
o giù di lì, è giunto il momento di prendere atto dei nostri limiti fisici
e mentali.
E ci dispiace innanzitutto
per la roba che abbiamo sul tavolo (c’era anche un’intervista che ben prometteva,
ma che si è interrotta per problemi di salute – fortunatamente non gravi,
ma temporaneamente invalidanti – della persona intervistata):
innanzitutto, quando ormai avevamo perso ogni speranza, spunta
il Volume II di Behind The Glass di Howard Massey
(sottotitolo: Top Record Producers Tell How They Craft The Hits), recentemente
pubblicato dalla Miller Freeman Books ($24.99, pp332); l’abbiamo già
letto due volte: poche per farne una recensione approfondita, abbastanza
per capire che – proprio come il Volume I – il lavoro di Massey resterà un
punto di riferimento importante per molti anni a venire (fino al Volume III,
se mai ci sarà – per i motivi di cui si dice in molte delle conversazioni
presenti nel libro);
c’è il nuovo CD di Nellie McKay, Normal As Blueberry Pie (sottotitolo:
A Tribute To Doris Day), che non ci ha convinto per niente nonostante sia
(prevedibilmente) ben fatto; detto che questo è un parere personale e non
una recensione, diremo che qui non ci pare scattare quel meccanismo di "aggiornamento
delle tematiche" che aveva reso tanto pregevole Just A Little Lovin’,
il bel tributo di Shelby Lynne a Dusty Springfield; sarà per le coordinate
culturali che ci mancano, ma sentito
"tale e quale" il lavoro ci appare poco più di un divertissement
destinato principalmente agli amanti di exotica e di cose frou-frou; niente
di male, intendiamoci, ma noi non siamo tra quelli; e uno strano "passo
di lato" per la McKay (confessione completa: dopo il primo ascolto del
CD abbiamo sentito l’impulso irrefrenabile di ascoltare qualcosa di Ani DiFranco);
c’è il nuovo CD di Imogen Heap, Ellipse, che ci conferma –
e in peggio – tutte le nostre perplessità nei confronti del precedente lavoro,
Speak For Yourself (2005); certo, a paragone di quello che c’è in classifica
qui c’è da gridare al miracolo, ma a Clouds and Clocks non ragioniamo così;
c’è la ristampa di Phonography di R. Stevie Moore, da noi
mai ascoltato ma che ascolteremo con piacere, dato il nostro gradimento nei
confronti di non pochi album seguiti a quest’esordio;
c’è (virtualmente) la ristampa (con inediti) di Thirty Seconds
Over Winterland dei Jefferson Airplane, che speriamo sia masterizzato in
modo decente;
… e la prossima settimana inizieranno le spedizioni di Scambot
1 di Mike Keneally, richiesto in preordine.
Ci si rivede tra due mesi? Non è detto, e per
tutta una lunga serie di motivi che abbiamo lestamente appuntato su un foglietto
in origine destinato a fornire le basi per l’editoriale del settimo compleanno
(cade il 26 novembre). E questo non è il momento più adatto per discuterne.
Resta il fatto dell’irrazionalità di fondo dell’esistenza
di una cosa come Clouds and Clocks. Non è, quindi, che la decisione di chiudere
necessiti di motivazioni particolari. Un evento distruttivo di natura indipendente
quale la ristrutturazione dell’appartamento sovrastante potrebbe benissimo
rivelarsi il fattore che "fa la differenza".
Accenniamo lestamente
a un paio di fattori dolorosi:
a) la maggior parte degli album che ci capita di ascoltare
è incredibilmente scadente, e soffre non poco il confronto con le produzioni
del passato; qui c’è subito qualcuno (non importa se prezzolato o più simile
a qualcuno che dopo aver passato la vita a mangiare scatolette intenda occuparsi
di alta cucina) che tira fuori la faccenda "passato & nostalgia";
proviamo invece a parlare di budget e di orizzonti del lavoro discografico
(qui la pagina scritta da George Massenburg quale introduzione al volume
di Massey fornisce uno sfondo accurato e adeguato);
resta il fatto che se Crescent di John Coltrane è ancora in
catalogo ascoltare un’ora buona di starnazzo con dietro due batterie che
fanno bum bum crash non pare un gran bell’impiego del proprio tempo; e pur
attribuendo la giusta importanza al fattore povertà, sorge spontaneo il quesito
se il musicista possa mai chiedere a un ascoltatore di impiegare una fetta
(che non tornerà mai più!) della propria vita ad ascoltare della robetta
modesta che sovente si indovina buttata lì senza troppa convinzione, ché
tanto non è dalla bontà della musica che potranno venire i sospirati ingaggi
(si noterà che tocchiamo il tema con mano leggera);
messa in termini diversi, non si vede il motivo per cui l’acquisto
del nuovo album di psych-folk possa essere considerato una priorità allorquando
I Want To See The Bright Lights Tonight di Richard & Linda Thompson è
disponibile a (vediamo adesso in Rete) meno di £6;
forse perché abbiamo avuto la (s)fortuna di crescere in un
periodo in cui gli artisti erano "l’avanguardia" (crediamo sia
pressoché impossibile oggi capire il valore attribuito alle parole di Dylan
o dei Beatles) siamo costantemente colpiti da quanto moltissimi artisti sembrino
vivere in uno stato di assoluta separatezza da quello che chiameremmo "la
vita"; non sappiamo se abbiamo capito bene (quindi niente riferimenti)
ma è con incredulità che ci è parso di leggere di un recente convegno dedicato
al problema delle innovazioni nel Copyright con riguardo alle citazioni di
un lavoro artistico (cosa che a un’anima semplice come il sottoscritto ricorda
le tematiche di John Oswald e i Negativeland di… 25 anni fa?); il che è
ovviamente una preoccupazione lecita, ma che nella situazione attuale per
quanto riguarda il Copyright – intendiamo: quando gli aggregatori in Rete
usano i materiali dei quotidiani "a stampa" per raccogliere pubblicità
e i programmi radio usano i materiali dei quotidiani come modo per riempire
un’ora a costo zero mentre la stampa muore strangolata per motivi economici
(e non ci si dica che è un "dato di fatto") – suona più simile
a chiedersi come fanno i porcospini ad avere rapporti sessuali.
b) il discorso sul pubblico sarebbe lungo, o forse breve;
ormai indagato a fondo, il rapporto con le "cose" quale accumulazione
di punti che procede per sostituzione è un dato di fatto acquisito.
© Beppe Colli 2009
CloudsandClocks.net | Nov. 2, 2009