Questioni
spinose
(vetriolo
incluso)
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di Beppe
Colli
April
22, 2003
Norah
Jones e tutti quei Grammy®
La storia
ha un inizio molto semplice: durante l’estate del 2002 ci è capitato
di ascoltare alla radio un brano semplice e melodico; tra le poche parole
che siamo riusciti a captare: "Don’t know why I didn’t call"
– o almeno è quello che abbiamo creduto di capire. Abbiamo dato
per scontato che fosse un "oldie" da noi mai ascoltato prima
di allora, ma quando il brano ha cominciato a essere trasmesso con allarmante
regolarità – una caratteristica riservata ai nuovi brani – ci
siamo dovuti convincere che si trattava di una canzone nuova. Che suonava
proprio come una vecchia. Ma cosa fosse, non lo sapevamo – l’emittente
in questione (emanazione di una vicina base NATO statunitense) non annuncia
mai i brani alla loro conclusione, ed evidentemente abbiamo mancato
di captare le volte in cui l’identità della cantante era stata
rivelata.
Più
o meno negli stessi giorni, un’amica dalla Francia ci chiedeva se avevamo
mai ascoltato questa nuova cantante, Norah Jones. Mai sentita. E’ stato
solo più tardi, quando il suo brano di successo – contenente
la frase salace "Don’t know why I didn’t come" (!) – ci fu
descritto in termini più analitici – e decisamente sfavorevoli
– che abbiamo riconosciuto quella canzone che avevamo ascoltato per
tutta l’estate. E che era diventata sempre più fastidiosa a ogni
successivo ascolto. A quel punto abbiamo classificato il tutto alla
sezione "cose vecchie" e abbiamo chiuso il cassetto.
E invece
no: il CD è diventato un successo mondiale di proporzioni enormi,
per poi conquistare un incredibile numero di Grammy® (e ancora vende).
Quello che ci ha sorpreso è stato il pandemonio a proposito di
un "ritorno alla qualità" (e Lost In Space di Aimee
Mann, allora? D’accordo: non era stato nominato). Certo, qual era la
concorrenza? Eminem e Avril Lavigne? Ok. Però…
Però
la cosa ci dava molto da pensare. Certo, i premi dell’industria si riferiscono
sempre a un certo anno. E lo stesso vale per i giornali musicali, con
le loro classifiche di fine anno. Però…
La memoria:
da risorsa a impaccio?
Però:
è davvero questo il modo in cui valutiamo la musica quando la
ascoltiamo? Esprimendo un giudizio temperato da "limitatamente
al 2002" o qualcosa di simile? Certo, è banalmente ovvio
che nessun giornale musicale potrebbe permettersi di stroncare dischi
nuovi a destra e a manca – dopotutto i conti vanno pagati. Ed è
parimenti ovvio che per chi ha vent’anni già i Nirvana sono un
mito rock proveniente da un lontano passato. Ma può l’assenza
di memoria (che può benissimo avere senso in termini puramente
commerciali) produrre una descrizione accurata di ciò che viene
ascoltato – e recensito? In special modo adesso che un ascolto alla
maggior parte dei CD basta a rivelare da dove molti artisti (insomma…)
traggono "ispirazione" (e non si tratta qui di campionamenti).
E’ stato
detto che la memoria può tramutarsi, da risorsa, in impaccio.
Si può diventare "troppo esigenti", e giudicare le
cose correnti alla luce di un metro che può rivelarsi decisamente
impossibile da soddisfare. Ma qui non si tratta di essere "sposati
al passato". Ma di possedere una nozione matura di ciò che
vuol dire "qualità" – e se tutto questo appare terribilmente
soggettivo poniamoci allora una semplice domanda: chiederemmo suggerimenti
su dove mangiar bene a qualcuno che per tutta la vita si è cibato
esclusivamente di junk food e tonno in scatola?
A questo
punto dovremmo tutti essere in grado di riconoscere una truffa quando
ne vediamo una (e tutto quel parlare di "sono sposati oppure fratello
e sorella" avrebbe dovuto metterci in guardia). Ma è solo
con estremo stupore che si possono leggere parole quali "Meg eccelle
in queste circostanze. Lei suona con swing – tosta e dura, sottolineando
la chitarra e la voce di Jack con il tuono del defunto John Bonham".
John Bonham?! (E’ David Fricke da Rolling Stone # 920, April 11, 2003.)
E questo da una batterista che, come autorevolmente riportato, non è
stata in grado di tenere il tempo nemmeno su dei vecchi pezzi degli
Yardbirds? (Per un parere più controllato si può consultare
la recensione di Elephant firmata da Chuck Eddy apparsa su The
Village Voice, April 11, 2003.)
"Hai
sentito troppa musica. E sei troppo difficile da accontentare."
L’accusa
di essere "elitario" non tarda mai ad arrivare. Infatti appare
spesso astutamente travestita da un "hai sentito troppa musica".
Non nel senso di "essere stufi". Ma in quello di "sei
troppo difficile da accontentare". Il che, per un verso, può
essere considerato un’asserzione fatta a evidente beneficio di chi la
formula (tra parentesi, chi di noi accuserebbe un dottore di avere "troppa
competenza"?). Ma che può anche condurci a un argomento
decisamente interessante: la qualità della nostra attenzione,
conosciuta anche come "come impieghi il tuo tempo?".
E
in effetti è stato con un certo grado di stupore che abbiamo
appreso, non molto tempo fa, che alcuni colleghi ascoltavano i materiali
da recensire sul loro PC, mediante piccole cuffie (cosa diventata di
dominio pubblico allorché il fatto di ricevere CD "protetti"
ha reso impossibile ad alcuni di loro ascoltare musica sull’hard drive).
Il che, naturalmente, tronca alla radice ogni discussione a proposito
della qualità dei suoni (vedi più avanti).
Conversare
davanti a una birra può condurre a importanti scoperte, ad esempio
"Chi legge di musica non l’ascolta con tanta attenzione, quindi
perché dovrei farlo io?"; oppure "La maggior parte
dei lettori non gradisce leggere cose tanto complesse, quindi bisogna
essere semplici e andare dritti al punto".
Ritorno
alla Motown?
Durante
una discussione su un Forum in Internet ci è stato suggerito
che in un certo senso siamo ritornati ai tempi della Motown, cioè
a dire: l’industria della musica somiglia molto a com’era prima dei
Beatles, quando la musica era prodotta con l’aspettazione conscia che
il pubblico l’avrebbe ascoltata mentre faceva dell’altro, con il ballo
come il più alto livello di coinvolgimento che si potesse avere
nei confronti della musica. (Ahi!) Ma oggi questo può facilmente
dar luogo a un "consumer hell" – e in special modo per le
case discografiche, dato che la grande diffusione dei mezzi tecnici
atti a fornire musica gratis può rendere semplice al consumatore
procurarsi tutto ciò che vuole senza dover scucire un centesimo
(a questo proposito il lettore è cortesemente invitato a leggere
l’editoriale intitolato Il valore della musica).
Il
lato oscuro del… SACD?
Nel
frattempo l’industria musicale sembra intenzionata a smuovere le acque
introducendo nuovi formati audio – il DVD-A e il SACD – nella speranza
di ripetere lo scenario che ha visto decollare le vendite del catalogo
al tempo dell’introduzione del CD. Ma le vendite declinanti delle apparecchiature
hi-fi dovrebbero mettere in guardia sul fatto che i consumatori non
sembrano più ascoltare musica secondo le modalità più
comuni in passato. Il che è rispecchiato dall’attenzione ridotta
dedicata dalla stampa al fatto che alcuni (la maggior parte?) dei rimissaggi
in 5.1 sono prodotti senza il coinvolgimento/il parere degli artisti.
(Chi fosse curioso al riguardo può consultare una trascrizione
della conferenza tenuta dal tecnico James Guthrie il 24 marzo scorso
in occasione della presentazione alla stampa di The Dark Side Of The
Moon dei Pink Floyd in versione 5.1 SACD sul sito audiorevolution.com.)
In passato abbiamo dovuto sopportare tutte quelle ristampe in CD dal
suono orribile, e in molti casi le edizioni " digitally remastered"
ci hanno tolto l’ultima possibilità di ascoltare molti
album "classici" in un modo che non fosse ultra-compresso
e orribilmente distorto. Il che ci porta a…
Possiamo
comprimerlo un po’ di più?
D’accordo,
"bello" è un giudizio altamente soggettivo. Ma "stancante"
no. Nonostante oggi il digitale abbia le potenzialità di darci
un’immagine sonora "più fedele" la realtà è
molto diversa, con la maggior parte dei CD di materiale nuovo contraddistinti
da un suono altamente compresso e decisamente brutale. E se chi sia
da considerare il colpevole rimane un fatto dibattuto – basta dare un’occhiata
in Rete – che la cosa stia succedendo non è fenomeno che alcuno
metta in discussione – per quanto ci risulti. (Chi è curioso
in proposito può leggere l’articolo intitolato Whatever Happened
To Dynamic Range On Compact Discs? Scritto da George Graham, è
consultabile su georgegraham.com.) Se qualcuno si è illuso che
un CD ipercompresso avrebbe potuto tradursi in vendite più alte
è cosa che non sappiamo. Me è evidente che – lungi dall’educare
gli ascoltatori ad apprezzare un suono più "bello"
e dettagliato (ammettiamolo, un compito non facile) – l’industria si
sta allineando al suono di quei file MP3 che sono gratis (e che spera
di vendere???).
Echi
dal passato
Naturalmente
il passato non è un territorio interamente proibito. Il processo
logico in virtù del quale alcuni artisti vengono tirati fuori
dall’armadio e ammessi nel pantheon rimane comunque imperscrutabile.
Certo, sappiamo che molti gradiscono eroi non scoloriti dal gradimento
dei loro genitori (dice niente il nome dei Velvet Underground?). Ma
c’è qualcuno in grado di spiegare il caso di John Fahey? E può
la sua musica essere compresa qualora non si conosca quella complessa
dimensione culturale che la dotava di senso? Altri casi risultano ancora
più misteriosi. Ad esempio, i Love – e perché non gli
Spirit, allora? Oppure Lee Hazlewood – e allora perché non Donovan?
A volte sembra davvero un procedere a casaccio.
Cosa tutto
ciò voglia dire non siamo in grado di saperlo. Ma i risultati,
come usa dire, non fanno certo un bel vedere.
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net | April 22, 2003