The Aristocrats
Tres Caballeros (CD + DVD-V)
(Boing!)
Partendo
dalla conclusione, diremo che ci sentiamo ragionevolmente certi di poter
affermare che Tres Caballeros – il terzo lavoro di studio del trio di
"rock elastico" denominato The Aristocrats – è davvero un bell’album,
il tipo di disco il cui acquisto in tempi lontani avremmo immediatamente
consigliato via telefono ai nostri amici più cari in ragione di un’elevatissima
qualità accoppiata a un alto grado di piacere "tattile" dell’ascolto;
il classico album che piace subito ma che cresce nel tempo, se è chiaro il
concetto; proprio l’album che in tempi lontani e decisamente più ingenui
avremmo certamente insignito del prestigioso titolo di "album rock
dell’anno".
E a
dispetto di un forte entusiasmo iniziale – un entusiasmo che abbiamo cercato di
tenere a freno per i motivi di cui si dirà tra breve – abbiamo lavorato sodo
per giungere alla conclusione altamente positiva di cui s’è detto.
Pressoché
soli – dopo aver cercato in lungo e in largo non siamo riusciti a trovare
neppure una recensione negativa – avevamo considerato il secondo album del
gruppo, Culture Clash (2013), una cocente delusione. Due anni prima l’omonimo
album di esordio aveva costituito una bellissima sorpresa, con un trio di
musicisti già discretamente noti e dalle capacità tecniche universalmente
lodate intenti a creare un’identità collettiva in grado di coniugare qualità e
accessibilità per un risultato che ai nostri occhi aveva quasi assunto il sapore
dell’esperimento: quale la massima qualità possibile per un gruppo di
"rock elastico" che volesse anche essere un’entità commercialmente
sostenibile nel panorama odierno.
In quello
che si rivelava essere un vero e proprio "rapporto di minoranza", la
nostra recensione così individuava i punti deboli del secondo album:
un’atmosfera "caffeinica" che finiva per andare a discapito della
sottigliezza; un suono "congestionato" e alla fine stancante che
privilegiava basso e batteria "tonante" mettendo quasi in secondo
piano la migliore, e più versatile, "arma melodica" del trio; e un
"rispetto della forma" che portava i pezzi ad allungarsi ben oltre la
loro durata ottimale.
Per un
verso era comprensibile. Lontani i tempi quando Mahavishnu Orchestra e Weather
Report – per non dire di Frank Zappa – suonavano negli stadi, la "musica
difficile" si rivolge oggi a un pubblico "altamente
selezionato", e tra questi coloro i quali suonano uno strumento
costituiscono spesso lo zoccolo duro. Ma questa fetta di pubblico è sovente
portatrice di un particolare set di limitazioni tutto suo, con al primo posto
l’apprezzamento di quegli aspetti del suonare che definiremmo
"ginnici"; cosa che finisce per funzionare da vero e proprio
"bacio della morte", essendo l’abilità meccanica posta in primo piano
un grosso ostacolo all’ampliamento del numero degli ascoltatori.
Scusandoci
per il preambolo verboso ma a nostro avviso necessario, diciamo che tale era il
timore da parte nostra di una cocente delusione numero due – quella dalla quale
non si torna più indietro – che abbiamo aspettato un mese prima di fare
"click" sul tasto "ordina"; il CD è poi rimasto chiuso
nell’armadio per un altro mese.
Oggi
possiamo dire che Tres Caballeros è veramente quel "secondo album"
che attendevamo due anni fa, con un ampliamento e una chiarificazione degli
obbiettivi che denotano senza possibilità di dubbio una crescita artistica
notevolissima. Si potrebbe dire di una registrazione di qualità entusiasmante,
di un missaggio che serve perfettamente le composizioni e della decisione di
"testare" i nuovi pezzi davanti a un piccolo pubblico prima di andare
in studio a registrare, ma quella che è veramente cambiata è l’intenzione
dietro il risultato.
Quella
che viene fuori è una musica cangiante e sfaccettata che non ha paura di
prendersi dei rischi. Stavolta è Beller, e non Minnemann, a scrivere i brani
più "allegri e leggeri" (anche se poi è Beller a scrivere il
"magnum opus" che chiude l’album). Mentre Minnemann autore rivela una
versatilità finora insospettata. Non è certo una sorpresa il Govan autore,
versatile e di spessore pur nella sua estrema leggibilità; ma è per certi versi
sorprendente come un suo contributo si candidi, senza alcuna forzatura, a vero
"momento accessibile" dell’album.
La
versione dell’album che consigliamo al lettore è quella in nostro possesso: la
"Deluxe Edition" comprendente un CD e un DVD-V. Del CD (un’ora di
musica) si dirà tra breve. Il DVD-V offre un’intervista di presentazione di
circa mezz’ora con spezzoni video delle sedute di registrazione; un’altra
intervista di circa un quarto d’ora; versioni alternate di alcuni brani; e tre
demo, a illustrare il concetto e i contributi. Le "sedute di
riscaldamento" di cui possiamo vedere brevi spezzoni sono state tenute
all’Alvas Showroom, luogo già familiare a chi ricorda il concerto video Boing,
We’ll Do It Live!
Produzione
del gruppo, registrazioni effettuate nei leggendari studi losangelini Sunset
Sound. Registrazione a cura di Erich Gobel e Geoff Neal. Missaggio di Erich
Gobel. Masterizzazione – ottima, e ancor di più se consideriamo i tempi – di
Dan Shike.
L’ascoltatore
noterà subito, magari senza accorgersene, la qualità e il gusto delle timbriche
e la loro versatilità in risposta alla varietà stilistica delle composizioni.
Suono appropriato, dunque, con il basso mai slabbrato, i rullanti ricchi di
particolari, i tamburi mai "tonanti", le chitarre a volte in
"technicolor". Qui va detto di un uso parco ma intelligente della
sovraincisione, a valorizzare con misura climi e atmosfere.
In
apertura, la Stupid 7 firmata Minnemann accoppia un riff sghembo dal sapore
quasi beefheartiano a momenti di pura aggressività rock-metal. Due begli assolo
chitarristici – a 1′ 26" e a 1′ 53" – dall’andamento assai bizzarro,
con un movimento microtonale che ci ha a tratti rimandato alla
"rotella" del Minimoog di Jan Hammer dei tempi di Birds Of Fire.
La Jack’s
Back firmata Govan rimanda logicamente alla Furtive Jack del primo album. Anche
qui più di un pizzico di Tango, atmosfere da cartoon e da film noir e una
grande varietà di timbri e momenti. Apre un tema melodico per basso, segue una
chitarra pizzicata, poi il tema per chitarra, poi di nuovo il basso. Due
momenti dal sapore zappiano, con rullante – a 2′ 18" e a 3′ 18" – un
assolo feroce di chitarra a 2′ 33" e un episodio batteristico a seguire.
Un brano indubbiamente elegante.
Beller
pigia sul pedale del divertimento per Texas Crazypants, che ricollega a Steve
Ray Vaughan e ai Dixie Dregs. Begli unisono chitarra-basso e un ricordo di
Sweaty Knockers a 2′ 35". Chi scrive ha trovato echi chitarristici di El
Becko – qualcuno la ricorda? – a 44", 1′ 43" e 3′ 14".
ZZ Top è
il curioso titolo di un brano firmato Minnemann, qui anche alle tastiere. Il
pezzo alterna momenti "frippiani" – quale riferimento offriamo la
parte centrale di Breathless, dove la ritmica era costituita da Tony Levin e
Narada Michael Walden – a movenze "alla ZZ Top". Bell’assolo di
chitarra, batteria pirotecnica sul finale.
Pig’s Day
Off è un altro contributo di Govan, complesso ma immediato all’ascolto. Bel
tema melodico suonato per accordi, poi un’atmosfera che diremmo bluesante, eco
e sovraincisioni, bei timbri batteristici. Un "inserto" quasi
sinfonico, imperioso, a 4′ 12", si torna poi al momento "blues"
e al tema.
Una
durata che diremmo eccessiva è l’unico difetto imputabile a Smuggler’s
Corridor, che Beller apparenta ad atmosfere di Calexico e Ween. A noi ha
ricordato l’Ennio Morricone di C’era una volta il West – e, curiosamente, anche
il famoso "hook" sassofonistico dell’hit di Gerry Rafferty intitolato
Baker Street. Bel solo di basso, assolo di chitarra "tangoso", scherzoso
coro finale che immaginiamo occasione potenziale per un "audience
participation time".
Grandi
sorprese nel brano di Minnemann intitolato Pressure Relief, dove l’autore siede
anche al pianoforte. Titolo che ci ha rimandato alla zappiana Blessed Relief
per un’atmosfera che più zappiana non si può. Bel tema melodico, una condotta
chitarristica che rimanda alla versione di Pink Napkins contenuta su Shut Up ‘n
Play Your Guitar e un rapporto chitarra-batteria che – per rimanere a
quell’album – si riallaccia a quello intercorrente tra la chitarra di Zappa e
la batteria di Vinnie Colaiuta in brani quali The Deathless Horsie e Shut Up ‘n
Play Your Guitar. Bella coda strumentale a precedere il tema finale.
Allegra e
comunicativa, The Kentucky Meat Shower di Govan ha un bell’attacco
chitarristico in stile chicken-pickin’ e un tema inizialmente illustrato dal
basso. A 1′ 30" due bellissimi armonici sul basso danno il via a una serie
di armonici e a un fluido assolo contrappuntato dal pianoforte, anch’esso
suonato da Beller. Grande assolo di chitarra, tema e chiusa.
Gli oltre
undici minuti di Through The Flower costituiscono per certi versi l’apice
dell’album. Composizione di Beller articolata su uno sviluppo tematico
cangiante e controllato, sembra riallacciarsi a due precedenti composizioni del
bassista: View – brano conclusivo dell’album solo dallo stesso nome – per quei
momenti melodici posti a 1′ 45", 3′ 53" e 7′ 55" che ci hanno a
tratti rimandato al tocco chitarristico di Griff Peters (soprattutto quello a 7′
55"); e Love Terror Adrenaline/Break Through – il brano più ambizioso del secondo album solo di Beller, Thanks In Advance – per la "scala"
della costruzione e per i momenti "heavy" cadenzati dal sapore
sinistro qui situati a 3′ 03", 5′ 10 e 8′ 31".
Apertura
per tema melodico eseguito dalla sola chitarra in "rubato", entra la
ritmica, poi l’alternanza dei momenti delicati e "heavy" di cui s’è
detto. Un grande assolo di Govan con spettacolare assolvenza a 5′ 48".
Bell’uso del phasing sulla batteria e sul totale, in particolare tra 9′
10" e 9′ 20".
Finale
perfettamente articolato: a 9′ 49" entra una chitarra
"frippiana" dal suono lamentoso su cui a 10′ 21" si innesta una
chitarra con wha-wha. Spettacolare disposizione nello spettro stereo.
La
sorpresa è che invece di trovare una risoluzione, come avvenuto per il secondo
dei brani appena citati, qui il quadro sfuma con lentezza lasciando
all’ascoltatore l’ingombrante presenza di un punto interrogativo destinato a
rimanere anche quando la musica è svanita.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2015
CloudsandClocks.net
| Aug. 23, 2015