The
Aristocrats
Boing, We’ll Do It Live! (DVD-V
+ CD)
(Boing!)
Non abbiamo
alcuna difficoltà ad ammettere che l’annuncio della nascita di una sorta
di
"supergruppo fusion" suscitò in chi scrive uno stato d’animo a
metà strada tra l’indifferenza e l’ostilità. E’ vero che nutriamo ampia stima
nei confronti di Beller, ma l’idea di un "trio di virtuosi", accoppiata
alla nostra scarsissima conoscenza del lavoro degli altri musicisti della
formazione – composta (in ordine alfabetico) da Bryan Beller al basso, Guthrie
Govan alla chitarra e Marco Minnemann alla batteria – bastava a farci presagire
sedute d’ascolto che si tramutavano in involontari sonnellini.
E’ ovvio
che non abbiamo niente contro le "capacità tecniche prodigiose";
è solo che in certi contesti stilistici – e qui ci tocca dire che a differenza
di quella dell’ottimo, omonimo CD uscito all’incirca un anno fa, la copertina
di Boing, We’ll Do It Live! è esattamente il tipo di copertina repellente
che ci capita di vedere nelle vetrine dei negozi di strumenti e che mai
ci indurrebbe a chiederci cosa c’è dentro (davvero non c’è proprio alternativa
a questa estetica da "macho delle caverne"?) – la musica eseguita
finisce per coincidere con scale suonate a velocità pazzesca e tempi di
difficoltà estrema per un contenuto che si avvicina pericolosamente allo
zero.
Grande
quindi la nostra sorpresa nell’accorgerci – un’impressione confermata al
di là di ogni ragionevole dubbio dall’aver visto il gruppo dal vivo, e
da questa documentazione concertistica – che a ben considerare l’unica
cosa veramente
"fusion" del gruppo è il nome della testata dell’amplificatore
per basso (per essere precisi, un Fusion 550 della Gallien-Krueger) posizionato
dietro Beller. (I meccanismi di sponsorizzazione essendo quelli che sono,
anche il pedale wha-wha di Beller – un Cry Baby bass, se leggiamo bene –
si guadagna un paio di meritatissimi primi piani.)
Da parte
nostra non nutriamo alcun dubbio: gli Aristocrats sono una "rock band" che
suona della complessa musica strumentale. E’ ovvio che chi identifica il "rock" con
quanto è accaduto a partire dai Nirvana potrà trovarsi spiazzato, ma è
invitato qui senza esitazione a fare qualche passo in più: potrebbe trovarsi
a essere piacevolmente sorpreso.
I tre sono
anche dei buoni compositori – ché è di composizioni che qui si parla, e
non di
"temini" seguiti da interminabili assolo (l’unico assolo per chi
scrive davvero interminabile è come al solito quello di batteria, che avremmo
volentieri tagliato dopo la parte con le due bacchette sopra il charleston).
Non possiamo tacere della matura dimensione melodica di questi temi e degli
assolo, tutto materiale che (ovviamente a proprio rischio e pericolo!) è
possibile fischiettare quasi tale e quale. Govan ci è parso il compositore
più maturo e versatile; Beller riesce a far rendere al meglio i due filoni
– fusion (ahem…) e rock zeppeliano – che ci sembrano le due colonne portanti
della sua estetica (ma dobbiamo dire che la bella Flatlands già testimonia
di orizzonti che si ampliano); mentre le composizioni che Minnemann porta
in dono al gruppo mostrano un modo esteticamente felice e musicalmente maturo
di assemblare materiali in sé decisamente semplici, con dei curiosi rimandi
a musiche che diremmo quasi da Beat Group dei primi anni sessanta (mentre,
in concerto come su album, la lunga coda "metal" di Get It Like
That è di un tedio indicibile)
Due CD
e un DVD-V compongono la versione DeLuxe di questo album, disponibile anche
in versione doppio CD – ma prendere quest’ultima vorrebbe dire privarsi
della dimensione a nostro avviso più avvincente. Due ore e mezza circa
di durata, ottimo suono registrato da Tim Pinch nel corso di due concerti
effettuati il 2 e 3 giugno di quest’anno all’Alvas Showroom di San Pedro,
in California; missaggio stereo curato da Mark Niemiec, missaggio surround
5.1 a cura di Steven Wilson. Regia video di David Foster e Bryan Beller.
Produzione a cura del gruppo.
Non sappiamo
se nel decidere di includere tre interviste quale "materiale bonus" (ci
sono anche degli estratti audio dal soundcheck, ma è poca cosa – cos’è
quella, una citazione di Something Stupid dei Sinatra?) il gruppo abbia
avuto in mente l’esempio dei Cream del Farewell Concert. Sono comunque
dei buoni inserti, con Govan a illustrare accordi e fraseggi, Minnemann
a mostrare i componenti che fanno il nuovo pezzo Dance Of The Aristocrats
e a eseguire un arduo passaggio batteristico, Beller a ricostruire per
lo spettatore dei momenti creativi alla chitarra elettrica, strumento al
quale davvero non eccelle: ed è proprio questo, diremmo, lo spirito della
cosa.
Il repertorio
eseguito ripropone il materiale già presente sull’album del gruppo, con
l’aggiunta di alcune pagine provenienti dal repertorio solista dei tre.
Si susseguono quindi con bella sequenza e grande affiatamento – già evidente
su album, l’interscambio strumentale di questi musicisti è tutto da gustare
– brani quali Bad Asteroid, Greasy Wheel, Boing… I’m In The Back, Flatlands,
I Want A Parrot, quella Blues Fuckers che – con o senza l’assolo di batteria
– ci pare il momento musicalmente più debole del repertorio dei tre e la
Waves di Govan, con il tema a ricordare un synth monofonico con portamento
degli anni settanta (un’intenzione da noi già percepita nella versione
registrata di Bad Asteroid).
A seguire,
Get It Like That, Furtive Jack (con quell’aria di musica da cartoon che
diremmo non estranea alla dimensione estetica del chitarrista), la per
noi nuova Train Tracks di Minnemann, eseguita in medley con la Cave Dweller
di Beller, la Mr. Kempinsky di Minnemann da noi già ascoltata in concerto
e della quale non avevamo in precedenza colto il nome, See You Next Tuesday,
la nuovissima Dance Of The Aristocrats di Minnemann (si presti attenzione
alla parte di basso – un vero e proprio sequencer umano!), e chiusura perfetta
con la Sweaty Knockers di Beller e la Erotic Cakes di Govan, con il chitarrista
alla chitarra fretless, strumento usato anche altrove in concerto, con
esiti spettacolari.
La regia
mostra con democratica eguaglianza le prodezze dei tre – anche inquadrature
da dietro dei piedi di Minnemann, che ovviamente siede su seggiolino con
marchio – ma a nostro avviso è la mano destra del chitarrista – un’articolazione
versatile frutto di lungo studio e di applicazione metodica – a costituire
l’aspetto più gustoso. Ma vanno anche lodati il gusto e la maturità di
Beller, che mai indulge a quelle pirotecnie che fanno la fama facile.
In chiusura,
dobbiamo confessare di fare un po’ il tifo (ma, diremmo, senza per questo
rinunciare all’obiettività critica) per questo trio, buon esempio di musicisti "ancora
giovani ma non più giovanissimi" che cercano di cavarsela in uno scenario
dove il saper suonare è qualcosa che può giocare a proprio sfavore e che
salgono sul palco vestiti un po’ come capita.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net
| Dec. 12, 2012