Craig
Taborn
Avenging Angel
(ECM)
Primo album
da titolare per la ECM, Avenging Angel è anche il primo lavoro per solo
piano inciso da Craig Taborn. Una circostanza che ci ha molto stupito,
e per due ordini di fattori. Innanzitutto, Taborn aveva già alle spalle
un discreto curriculum al momento in cui ci capitò di ascoltarlo per la
prima volta – era il 1999, l’album era quello di Roscoe Mitchell con la
Note Factory intitolato Nine To Get Ready – e da allora la sua discografia
si è arricchita di un buon numero di nuovi capitoli. Inoltre, Taborn ha
da tempo dimostrato di possedere molte qualità che avrebbero potuto dispiegarsi
compiutamente proprio nell’ambito del solo piano. Se a questo aggiungiamo
la difficoltà di venire a conoscenza (per non parlare dell’ascolto vero
e proprio!) di quanto si pubblica oggi nel mondo, sarà chiaro il perché
della nostra convinzione che, "da qualche parte", dovesse forzatamente
già esistere un "Craig Taborn, solo".
La stessa
casualità ci diede modo di vedere Taborn dal vivo con la Note Factory di
Mitchell, a Roccella Ionica nell’estate del 2000. Come sull’album, anche
in quell’occasione Taborn si affiancava a Matthew Shipp, e non abbiamo
difficoltà ad ammettere – ne fa fede la recensione che scrivemmo di lì
a poco – che il lavoro di Taborn ci parve allora più incisivo e determinante
di quello del suo più illustre collega.
Per restare
in ambito mitchelliano, non può non essere sottolineata la caratura dell’apporto
di Taborn sul recente Far Side (2010), album della Note Factory che lo
vede affiancarsi a Vijay Iyer (un pianista che oggi non ha certamente bisogno
di presentazioni, ma che all’incirca dieci anni fa ci capitò di vedere
intento a districarsi nella complessa grammatica musicale di Mitchell quale
sostituto dell’ultimo momento di un defezionario Matthew Shipp!).
Fu un’altra,
però, l’occasione in cui ci fu data la possibilità di esplorare da vicino
(in senso letterale: sedevamo a un paio di metri dalla tastiera del pianoforte)
un diverso aspetto della personalità di Taborn: lo vedemmo quale parte
del trio "Folkloriko" di Susie Ibarra essere perfettamente a
suo agio nel completare le arie esotiche di una formazione dove un violino
affiancava le scarne e melodiche percussioni della leader.
Avenging
Angel è un lavoro che è impossibile non definire ben riuscito ma il cui
gradimento soggettivo dipenderà forzatamente dai gusti e dalle capacità
di ascolto di ciascuno. Il silenzio ambientale è ovviamente un prerequisito.
Ottima la registrazione di Stefano Amerio, sulle prime siamo rimasti colpiti
dalla "rotondità" del suono del piano e del tocco di Taborn,
che ricordavamo più "aguzzo". Ben assistito dallo strumento,
il musicista ne sfrutta qui in modo magistrale la pedaliera, la chiarezza
agli estremi di tastiera, la notevolissima gamma dinamica.
E per il
linguaggio? Dobbiamo ammettere che sulle prime – letteralmente: brano uno
– ci è venuto in mente Anthony Davis, e più precisamente il suo album per
solo piano Lady Of The Mirrors (1980). Un ascolto parallelo tra il suo
pezzo di apertura, Beyond Reason, e The Broad King Day, su Avenging Angel,
e una rinnovata frequentazione di quell’angolare composizione che è Under
The Double Moon ci hanno persuaso che qui le differenze contano molto più
delle somiglianze, che pure esistono. Si veda la ricerca sull’indipendenza
delle mani, l’articolazione del loro lavoro su tempi e tonalità complementari
oppure opposte, nonché l’accogliere il timbro come imprescindibile fattore
compositivo. Dando per scontata la diversa personalità dei due musicisti,
per ciò che concerne gli album in questione diremmo che la differenza maggiore
consiste nel fatto che mentre Davis cercava un modo "elastico" di
invenzione compositiva, Taborn è qui intento a indagare una dimensione "teleologica" dell’improvvisazione
quale pratica "riflessiva". (O almeno, così ci è parso di capire
dall’ascolto in assenza di note di copertina. Non è musica facile.) Nella
quasi totalità dei casi Taborn è assai parco di note, un meccanismo di
"filtro" essendo evidentemente all’opera prima che il flusso giunga
alle mani; il che è per noi fatto decisamente positivo, ma non è detto che
ogni ascoltatore condivida la nostra avversione per i "fuochi d’artificio".
The Broad
Day King è il brano che ci ha rimandato a Davis per motivi
"strutturali". Una nota alta fa da "sfondo", da
"tela", e da "cardine" al procedere lento e melodico
degli accordi, da cui viene poi "inglobata". Bella – e fuggevole
– traccia monkiana, 4’09" – 4’12".
A dispetto
del nome, Glossolalia è un arpeggio veloce a due mani su coordinate che
diremmo senz’altro jazzistiche.
Diamond
Turning Dream è un arpeggio lento a tutta tastiera, sei o sette note gradualmente
sottoposte a un processo di asciugamento. Restano tre note ai due estremi.
Diremmo qui evidente un influsso mitchelliano, come in certe scarne esplorazioni
al soprano ricurvo.
Avenging
Angel offre un ritmo cadenzato sulla parte bassa della tastiera, un
"tema" facilmente avvertibile, variazioni su un "basso continuo" che
sul finale sale al proscenio.
Unico brano
di durata estesa, This Voice Says So apre con una figura di tre note, lenta,
ripetuta, sulla parte alta della tastiera. Un graduale mutamento porta
a una complessa parte a due mani, laddove la sinistra prima "anticipa" e
poi "ritarda" sulla pulsazione della destra. (Come descrizione
è carente assai. Si proceda quindi all’ascolto diretto!) Basso "hopperiano",
si torna alla figura di tre note già ascoltata in apertura.
Neverland
è qualcosa a metà tra il "quartetto d’archi barocco" e un contrappunto
bachiano.
True Life
Near ha un tema lieve, e la grazia di un carillon. Arrivando grosso modo
a metà dell’album funge egregiamente da cesura naturale, vera fine della
facciata 1 di un album troppo lungo (72′) per poter essere ascoltato con
immutato piacere tutto d’un fiato.
Gift Horse/Over
The Water è in qualche senso jazzistico, con forse più di un ricordo di
Muhal Richard Abrams e un finale che potremmo dire "un incrocio tra
Scott Joplin e Conlon Nancarrow" (!).
A Difficult
Thing Said Simply vede uno svolgimento "pesante", quasi
"neoclassico", cedere il passo a una figura minimale a due mani
con suono leggero.
Spirit
Hard Knock è jazzistica, chiude con un bel temino.
Neither-Nor
è svelta, e poi accelera. Chiusura brusca.
Altro brano
lungo, Forgetful apre come Monk che interpreta Ellington – o come Anthony
Davis che li interpreta ambedue. Bellissimo momento compositivo a 3′ 06",
dove la destra genera un raggio di luce procedendo in direzione della parte
alta della tastiera. Il brano vaga piacevolmente e a lungo per poi fare
ritorno all’atmosfera di partenza.
Appropriata
chiusura, This Is How You Disappear parte lenta sui bassi, poi un
"mandolino" sugli acuti, e un’atmosfera minimale con note agli
estremi della tastiera. Inattesa ma inevitabile, una nota bassa ci conduce
alla fine.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| June 7, 2011