"Rubare
la musica":
un’espressione
ormai priva di senso?
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di Beppe Colli
Apr. 16, 2012
Al pari di fenomeni
quali l’inquinamento ambientale, la corruzione dei politici e il "tasso
naturale di disoccupazione", anche lo scambio illegale di file sembra
ormai diventato "parte del paesaggio". Ma a differenza degli altri
fenomeni qui menzionati, lo "scarico" si presenta oggi come una
pratica universalmente diffusa dai contorni privi di qualsiasi percezione
di illecito, esemplare tipico della categoria dei "crimini senza vittime",
attività esplorativa naturalmente connotata da attributi positivi quali "l’arricchimento
individuale" (ovviamente inteso nel senso della crescita delle conoscenze
di cui l’individuo dispone), nonché
"stato naturale dell’esistenza" per tutti quei giovani socializzati
nei tempi recenti dello "scaricafacile".
Conseguenze economiche a parte (un campo minato di difficile
misurabilità, come testimoniato dalle eterne dispute su cosa sia veramente
definibile come "mancata vendita"), un pensiero doveroso va alla
categoria di chi scrive su giornali (soprattutto, ma non esclusivamente,
cartacei) costretti a presentare come "clamorosa anteprima" qualcosa
che è già (illegalmente) noto a tutti da almeno un paio di mesi.
Di tanto in tanto accade però qualcosa che riporta le conseguenze
implicite nella pratica dello "scarico" all’attenzione (di tutti
sembra decisamente un po’ troppo, diciamo) di quanti già interessati a queste
problematiche. E’ il caso della vicenda che concerne un album di molto recente
uscita di cui andiamo ora a parlare.
Abbiamo avuto più volte
occasione di menzionare Do The Math, l’ottimo blog del pianista statunitense
Ethan Iverson, musicista che diremmo noto soprattutto per il suo lavoro con
il trio jazz denominato The Bad Plus ma la cui attività non è limitata a
quella formazione. E proprio un recente album del quartetto di Billy Hart,
di cui Iverson fa parte, ha costituito l’occasione per un vivace dibattito.
A metà del mese scorso Iverson postava un intervento il cui
titolo – All Our Reasons? – era un evidente rimando a un album del Billy
Hart Quartet su ECM non ancora pubblicato ma già agevolmente disponibile
su vari blog musicali di notissima accessibilità. Iverson si diceva molto
addolorato per i commenti pieni di gratitudine di chi aveva così avuto la
possibilità di scaricare gratuitamente un album di qualità non ancora in
commercio.
Va notato che, aspetti legali e morali a parte, l’argomento
di Iverson era eminentemente pragmatico. Se il trio dei Bad Plus, ragionava
Iverson, è ormai sufficientemente celebre da poter lavorare con una certa
tranquillità e assorbire molti colpi bassi, lo stesso non può dirsi del quartetto
di Billy Hart, formazione ancora ai suoi primi passi. Se tutti scaricano
All Our Reasons e nessuno lo compra, dare un seguito alla storia diventerà
quasi impossibile.
Il post di Iverson dava origine a un dibattito aperto raccolto
sotto la sigla di Forumesque 10 (Forumesque essendo la denominazione-ombrello
delle discussioni ospitate su Do The Math). E sospettiamo che alla decisione
di Iverson non sia stata estranea una "chiacchierata amichevole" apparsa
sul forum contrabbassistico del sito denominato Talk Bass.
Tra i protagonisti della discussione notavamo subito il nome di
Damon Smith, di cui ricordavamo l’apparizione su un album collettivo intitolato
Healing Force – The Songs Of Albert Ayler, da noi qui recensito. Alla batteria
Weasel Walter, nel cui trio acustico da noi colto su un palco una sera di
molti anni fa ricordavamo un ottimo contrabbassista che avrebbe potuto anche
essere Damon Smith. E posto che il testo della conversazione, che si è articolata
per alcuni giorni e su diverse pagine, è accessibile su Talk Bass e andrebbe
letto per intero, commenteremo qui alcune affermazioni di Smith.
Il contrabbassista
così argomentava: "Nessuno ha scassinato la cassaforte della ECM e ha
rubato l’album. Il management della ECM ha deciso di mandare dei promo (probabilmente
in formato digitale) nella piena consapevolezza dell’esistenza del "filesharing",
e il file è stato messo in Rete. Degli adulti hanno preso una decisione consapevole,
considerando che la copertura della stampa e delle radio valesse il rischio." (…) "Gli
adulti che immettono la loro musica in un mondo in cui viene praticato lo "scarico" stanno
(in senso pragmatico) accettando le conseguenze inevitabili di quel gesto."
Attenzione: Smith non
"giustificava" il comportamento dello scarico illegale. Semplicemente,
si limitava a prendere atto della sua esistenza come pratica diffusa nel
mondo. Per poi operare un’importante distinzione sul piano personale: "Se
scarico senza pagare un album di Mark Dresser o uno di Barry Guy li sto privando
di una vendita. Questo per me è il punto insuperabile: dobbiamo continuare
a sostenere gli artisti il cui lavoro consideriamo prezioso per noi."
Forse perché era da molto tempo che non ci capitava di leggere
dibattiti di questo tipo (una circostanza che attribuiamo senz’altro alla "normalizzazione" di
fatto della pratica dello "scarico", e all’accettazione "di
fatto" di quell’imprescindibile suo corollario che è l’upload, l’immettere
per la prima volta quei file in Rete) siamo rimasti colpiti dagli argomenti,
che sono sempre i soliti, a partire dal classico "se io ti prendo la
macchina, tu non hai più la macchina; ma se io copio un tuo file, io ho il
file ma tu ce l’hai ancora". Bella variante di "le case discografiche
non falliranno per questo", l’argomento "i musicisti di jazz non
hanno mai guadagnato niente dalle vendite di dischi, volete che si impoveriscano
per questo?". E così via.
A parere di chi scrive il punto debole della posizione di
Damon Smith è quello di accettare lo stato di cose come senza rimedio. Ma
("non è lecito ricavare norme da fatti") la circostanza che un
fatto esiste non implica in alcun modo un’accettazione delle "conseguenze
inevitabili di quel gesto". Facile pensare alle
"discriminazioni per motivi di razza, sesso o orientamento sessuale",
o a quelle legate alla propria posizione sociale: non è stata certo l’accettazione
dei comportamenti discriminatori da parte delle maggioranze, o addirittura
la loro mancata percezione come tali, a convincere le minoranze che quei
comportamenti fossero "naturali e senza rimedio."
Certo, a livello macro
"la società" sembra oggi voler privilegiare gli interessi dei fabbricanti
di apparecchiature hardware e i fornitori di servizi Internet rispetto a
quelli di chi fornisce loro un "contenuto". Ed è vero che la percezione
della "naturalità" della gratuità della fruizione sembra basata
su un’abitudine difficile da scalfire, e del tutto indifferente alla conseguenze.
Pure, se il consumo "volatile" basato sul
"capriccio" tratta gli oggetti come "fungibili", possiamo
affermare che questo sia l’atteggiamento proprio di ogni categoria di
"consumatori" di musica? E che tutti siano indifferenti al fatto
che – proprio ora che la musica è libera di viaggiare in tutto il mondo sotto
forma di file – saranno invece i musicisti a essere legati a una dimensione
"locale" che li vedrà economicamente impossibilitati a salire su
un aereo per andare a suonare altrove?
Quasi contemporaneamente
a queste discussioni, compariva sul New York Times un articolo di Stuart P. Green
(che ci dicono professore alla Rutgers Law School di Newark) intitolato When
Stealing Isn’t Stealing, il cui passo cruciale ci pare il seguente: "(…) dobbiamo
riconoscere che una legge è tanto meno efficace – e maggiormente priva di
una base di legittimità – quanto più cozza con delle credenze morali diffuse." Torniamo
così all’eterno dibattito dei
"mores", della differenza tra "norma sociale" e "norma
giuridica" e così via.
Solo il futuro – e la musica che saremo in grado di ascoltare
– potrà dirci se, e in che modo, saremo stati in grado di dare una risposta
adeguata a questi interrogativi.
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net | Apr.
16, 2012