Spirit
Spirit
(Audio Fidelity)
Un grande
gruppo, un gran bell’album (l’esordio della formazione, gennaio ’68), il ricco
e appropriato missaggio originale (che compare qui per la prima volta dopo la
prima stampa su Ode) e un superbo lavoro di masterizzazione firmato Steve
Hoffman, musicale e ben bilanciato, che invita a girare verso destra la
manopola del volume. C’è bisogno di aggiungere altro?
Forse no,
ma qualche particolare in più non dovrebbe guastare.
Sempre
presenti ma poco valorizzati nelle storie del "rock che conta", gli
Spirit in formazione originale hanno inciso quattro album uno più bello
dell’altro, con uno stile riconoscibile ma elastico e una serie di
"colori" compositivi e strumentali che ne fanno un gruppo pressoché unico.
Una musica non sempre presentata al meglio dal punto di vista tecnico e alla
quale una serie di ristampe da parte della Audio Fidelity dovrebbe finalmente
fornire una chance di poter essere apprezzata da un pubblico che proprio in
ragione della scarsa attenzione prestata al gruppo non ha mai avuto la
possibilità di stancarsene "per troppo amore".
Una bella
dimensione melodica, un uso degli accordi non banale, un suono pieno e compatto
ma allo stesso tempo arioso (e qui la provenienza jazzistica di batteria e
piano elettrico ha senz’altro avuto il suo peso), un cantante "di
ruolo" e una serie di cori in grado di offrire una gamma completa di climi
e atmosfere, un chitarrista altamente originale già in grado di stupire –
diciassette anni o giù di lì – al tempo del primo album, dove crea degli assolo
melodicamente complessi e timbricamente "al limite". Ricordiamo un
Phil Manzanera fresco di successo con i Roxy Music citare proprio Randy
California tra i chitarristi tenuti d’occhio durante gli anni formativi.
A fronte
di un giovanissimo Randy California, il batterista Ed Cassidy è sempre stato
"l’uomo più vecchio del rock". Notazioni di colore a parte – la testa
pelata, la predilezione per gli abiti di colore scuro: un vero personaggio – il
musicista vantava collaborazioni jazzistiche di tutto rispetto. Il suono di
questa edizione di Spirit ne presenta in technicolor la gamma ben accordata dei
tamburi e il sapiente uso di crash e ride, con piatti scintillanti e una
fantasia non comune nel sostenere e arricchire le varie sezioni delle canzoni.
Al piano
elettrico – diremmo un Wurlitzer – e poco altro, John Locke porta con sé un
vocabolario jazzistico e un bel senso dell’economia. Il rifiuto dell’organo
(Hammond) consente al gruppo di avere un suono armonicamente ricco ma
"vuoto". (Interessante paragonare il suono dei primi tre album in
opposizione al quarto, prodotto da altra mano e con altri intendimenti.)
Poco
udibile sul vecchio vinile, il lavoro bassistico di Mark Andes (impegnato anche
alle parti vocali) si rivela "in digitale" versatile e di ottima
fattura.
Timbro
vocale per certi versi poco "rock", compositore solido, Jay Ferguson
è forse l’elemento che meno colpisce al primo ascolto, ma proviamo mentalmente
a sostituirlo con un altro cantante e il risultato diventa immediatamente
banale. E posto che gli arrangiamenti e le piccole trovate che restano in mente
sono con tutta evidenza frutto di un lavoro di gruppo, il primo album – come
gran parte dei successivi – si regge pressoché per intero sulle composizioni
del cantante.
Se è
concesso un ricordo personale – siamo nel dopo-Woodstock, che grosso modo
corrisponde al terzo album degli Spirit – diremmo che era lunga la lista dei
nomi ai quali Clive Davis, presidente della Columbia, aveva affidato il compito
di mutare le sorti "in rock" della sua casa discografica: Chicago,
Santana, Janis Joplin, Blood, Sweat & Tears… Il confronto diretto con gli
Spirit mostra immediatamente perché a questi ultimi sia andata peggio. (E
d’altra parte, chi si ricorda più i Flock, i Chambers Brothers e la Fifth
Avenue Band?)
Nello
spirito del tempo, abbiamo pensato di ascoltare questa edizione del primo album
degli Spirit dopo aver acceso un paio di canne di quelle robuste. Ma poi
abbiamo deciso diversamente, e abbiamo proceduto a un esame comparato delle
stampe in nostro possesso. (Chi ha fretta può saltare questa roba noiosa e
andare tranquillamente all’esame dei singoli pezzi.)
Come già
detto poc’anzi, questa è la prima volta che il missaggio originale dell’album
viene utilizzato dopo la prima stampa su Ode. Una stampa che negli ultimi anni
ci è capitato di vedere in qualche "fiera del disco", ma senza alcuna
indicazione di prezzo! E che un album tanto vecchio possa essere anche
ascoltabile è circostanza che diremmo assai dubbia.
La nostra
copia di riferimento fa parte di un "twofer" (Spirit + Clear) su Epic
del 1973 da noi acquistato a poco prezzo ancora sigillato in un negozio circa
quarant’anni fa. (Copertina con apparizione spettrale, da qualche anno ne
abbiamo visto in giro degli esemplari chiaramente contraffatti.) Rumore di
fondo notevole (l’assolo di basso di Elijah era destinato a rimanere
un’ipotesi, al pari di quello fatto da Rick Grech su Do What You Like dei Blind
Faith), ma il suono prendeva vita con un po’ di volume, e non ci vergogniamo di
dire che per quarant’anni questa è stata la nostra copia preferita. Vediamo
adesso che il missaggio è senz’altro più povero di quello originale, in special
modo il lavoro orchestrale su Taurus e gli sfondi vocali su Straight Arrow,
Topanga Windows, Gramophone Man e Water Woman.
In
seguito acquistammo un’edizione CBS UK Embassy del 1979 (aveva il doppio del
volume e un vinile di qualità eccellente, ma un missaggio povero e una timbrica
rozza, con la batteria che suonava come un’incudine e un martello) e la prima
versione in CD della quale siamo venuti a conoscenza, quella curata da Vic
Anesini per la Sony nel ’96, con aggiunta di inediti. Missaggio e
masterizzazione ci parvero "non troppo male", e l’assenza di fruscio
era un notevole punto a favore. Ma senza voler usare l’espressione
"sanguina-orecchie", quello era il tipo di CD che riusciamo ad
ascoltare solo a basso volume, e che poi finiamo per non ascoltare mai. (A onor
del vero, va detto che sul nostro nuovo CD player suona molto meglio che sul suo
predecessore – il progresso nei convertitori non è una panzana inventata dai
costruttori – ma le caratteristiche da noi giudicate negative permangono.)
Per
evitare eccessive complicazioni, lasciamo qui da parte la versione mono della
Soundazed del 2005.
Accreditamenti
dell’album originale. Produttore: Lou Adler. Parte tecnica: Eirik Wangberg,
Armin Steiner, Mike Leitz. Arrangiamenti di archi e fiati: Marty Paich.
La
versione qui recensita è in formato SACD, con uno strato ad alta risoluzione e
uno a risoluzione di normale CD, che è quello da noi ascoltato.
Fresh
Garbage è la famosa, dinamica apertura. Melodia da venditore di strada
medio-orientale, bel solo di piano elettrico.
Uncle
Jack ha un riff "rock" e degli impasti vocali "alla
Beatles". Bel timbro di batteria, assolo di chitarra su due canali meno
"stridulo" che in passato, cori più chiari.
Mechanical
World è introdotto da hi-hat e fiati. Per molti versi il pezzo più ambizioso,
cangiante e drammatico, andamento orchestrale epico, assolo di chitarra su due
canali, bel rullante.
Taurus è
tornata recentemente alla ribalta in tribunale quale presunta ispirazione per
la notissima Stairway To Heaven dei Led Zeppelin. A noi ha sempre ricordato la
Michelle dei Beatles, nel senso in cui ce la ricorda una sezione di Ladies Of
The Road dei King Crimson di Islands. Brano strumentale con grande apporto
orchestrale e bell’uso della chitarra acustica, è l’unica composizione firmata
da Randy California su quest’album.
Girl In
Your Eye risente molto, ma solo nell’arrangiamento, del Sirtaki e della al
tempo celeberrima musica del film Zorba il greco. Andamento pigro, chitarra
elettrica che imita il sitar, bellissimo assolo in distorsione "onda
quadra", con bel contrappunto di Wurlitzer e basso.
Straight
Arrow è un brano brioso e leggero. Intermezzo "jazzato", con basso
"swing" e ottima chitarra, una sezione che si ripete nel finale, con
assolo più lungo e ottimo contrappunto del piano elettrico.
Topanga
Windows apre la seconda facciata con un’aria "sognante", chitarra
"psichedelica", archi e voci. Poi "double time" e assolo di
chitarra "jazz", con contrappunto di piano elettrico. Va detto che la
nostra porzione preferita dell’album finiva qui, ma la nuova masterizzazione –
che evidenzia e valorizza il piano acustico e le parti vocali – ci ha indotto a
rivalutare la ex facciata due.
Gramophone
Man è firmata da tutto il gruppo. Divisa in molti quadri, con bella chitarra e
cori. Curiosamente, l’impasto vocale della parte che inizia con le parole
"Gramophone eyes" ci ha sempre ricordato i Pink Floyd (ma la
cronologia è inversa). Double time, "swing", assolo di chitarra sugli
accordi. Bella parte finale, con la voce "avanti".
Water
Woman ha una melodia "folk", con chitarra acustica, voci sovraincise,
percussioni.
The Great
Canyon Fire In General è un brano di "rock psichedelico". Chitarre
soliste armonizzate, pianoforte.
Elijah,
composta da Locke, è un momento "fuori dagli schemi". Semplice
composizione di sapore jazzistico, presenta quattro assolo che – sorprendentemente:
ricordiamo la caratura strumentale comune all’epoca – reggono bene la distanza.
L’album
originale si chiudeva qui. Dobbiamo confessare di amare poco i "brani
aggiunti", ma qui probabilmente la logica del mantenere i quattro brani
inediti missati da Anesini per l’edizione del ’96 è forse dettata dal timore
che l’acquirente pensasse di essere chiamato a spendere "più"
per avere "meno". Va comunque detto che anche questi brani sono stati
masterizzati da Hoffman.
Veruska,
firmata California, apre con un attacco di chitarra arpeggiata-basso, poi un
tema rock, ribadito dall’Hammond, in una rara apparizione per il gruppo
(curiosamente, è come se Mark Stein dei Vanilla Fudge si fosse intrufolato in
studio). Fatto strano, una manciata di secondi in più dopo la dissolvenza della
batteria rispetto alla versione Anesini del ’96.
Free
Spirit di Locke vede il pianoforte, un eccellente rullante, un’aria che il
gruppo utilizzerà su Clear, chitarra jazzata per accordi, un assolo di basso
che pare risentire della lezione di Jack Casady, assolo di batteria con
rullante e spazzole.
If I Had
A Woman è confusa e disorganica ma a suo modo piacevole, con impiego del
vibrafono e una parte chitarristica che il suo autore utilizzerà sull’album
successivo.
Elijah
(alternate take) è una versione senz’altro inferiore, ma non priva di motivi di
interesse.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2017
CloudsandClocks.net | July 17, 2017