Skeleton Crew
Learn To Talk/The Country Of Blinds
(Fred Records/ReR)
Si potrebbe discutere a lungo a proposito di quale sia il
primo album "americano" di Fred Frith – e, ancor prima, se esista
poi davvero un Frith "americano". A parere di chi scrive, stante
la pronuncia non poco "americana" del trio rock Massacre, il primo
album considerabile "americano" di Frith è il recentemente
ristampato album di canzoni intitolato Cheap At Half The Price – e il suo
primo gruppo "americano" quello degli Skeleton Crew.
Gli Skeleton
Crew dell’album di esordio, Learn To Talk (1984), sono Fred Frith e Tom Cora:
un duo agguerrito e pluristrumentale (violoncello, basso elettrico, batteria,
tastierina Casio e canto per Cora; chitarra, basso elettrico a sei corde,
violino, Casio, piano, batteria e canto per Frith). Procedure leste cui non
è ovviamente estranea la pratica dell’improvvisazione, brani per lo
più brevi, uno spirito non poco "new-waver" che si riallaccia
per più versi allo spirito di denuncia della musica folk, una pluralità
di forme che mai rinnega il vastissimo retroterra musicale dei due, una fantasia
negli arrangiamenti da lasciare senza fiato, un uso "moderno" di
voci pre-registrate su nastro: "comunicativo con spessore", per
dirla con una svelta formuletta. Strumentali che possono essere intricati
(Que Viva/Onward And Upwards), canzoni ironiche e graffianti (Learn To Talk,
It’s Fine), tese e drammatiche (The Way Things Fall (Back Apart)), malinconiche
(Factory Song). Se Frith fa ovviamente la sua bella figura, fu il compianto
Tom Cora a costituire per chi scrive un’assoluta rivelazione. I quattro brani
qui aggiunti non aggiungono ma neppure nuocciono.
Due anni
dopo, The Country Of Blinds vedeva gli Skeleton Crew tramutarsi in trio con
l’aggiunta felice di Zeena Parkins (organo, arpa elettrica, fisarmonica, batteria,
voce) mentre la produzione dell’ex Henry Cow Tim Hodgkinson accresceva una
qual certa "aria di famiglia". Rispetto al suo predecessore, il
nuovo album precisava gli obiettivi ma, diremmo, a spese della tavolozza delle
possibilità (ma forse era un risultato obbligato). Certo è che
aumentano gli echi "europei" (qualcosa degli Art Bears, un pizzico
di News From Babel, anche qualche asprezza tipica di The Work), resi ancora
più evidenti dal lavoro di produzione. Mentre gli arrangiamenti risultano
senz’altro efficaci, ma decisamente più convenzionali ("prevedibili"
non sarebbe però la parola giusta). Canzoni comunicative sulla facciata
uno, strumenti più in evidenza sulla facciata due. Sei i brani aggiunti:
li diremmo non eccessivamente dannosi, ma in un paio di casi (Safety In Numbers,
Second Rate, Hasta La Victoria) sentire i tre che fanno i new wavers incazzati
è davvero un po’ troppo.
Esaminiamo
la ristampa. Detto della strana mancanza di un breve strumentale (Money Crack)
presente sul secondo album, la cosa davvero assurda è che mancano i
testi: sull’album d’esordio non c’erano (o almeno, non nella nostra copia),
e per anni abbiamo sognato la possibilità di integrare quello che eravamo
riusciti a capire con gli ascolti; il secondo album aveva un bel foglio cartonato
con tutti i testi. Chiediamo quindi a Frith che cavolo di senso abbia una
"edizione definitiva… senza i testi". La masterizzazione è
decente, anche se il confronto diretto vinile/CD ha fatto a pezzi il digitale:
il vinile aveva più livello (!), più alti (!) e meno compressione
(!), soprattutto nel caso del disco di esordio; ma dato che il lettore CD
attualmente a nostra disposizione non è gran che, mentre la testina
è di quelle serie, lasceremo la questione in sospeso.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net
| Feb. 3, 2006