Sequoia
Rotations
(Evil Rabbit Records)
Album in
grado di offrire un’esperienza auditiva altamente stimolante a ogni ascoltatore
ben disposto nei confronti dell’avventura sonora, Rotations è senz’altro
definibile come un lavoro "tradizionale" – a patto, beninteso, di
volgere lo sguardo in direzione del calendario. Vivace nei timbri, inventivo
nell’organizzazione del materiale, sufficientemente "aperto" da
coinvolgere attivamente l’ascoltatore ma non tanto "indeterminato" da
lasciargli per intero la responsabilità di trovare un senso in quanto
ascoltato.
Quattro i
musicisti: in ordine alfabetico, Antonio Borghini, Meinrad Kneer, Klaus Kürvers
e Miles Perkin. La copertina rende nota la loro disposizione nello spazio, cosa
che consentirà all’ascoltatore attento, all’occorrenza dotato di cuffia, di
poter apprezzare il contributo dei singoli.
Nitida la
registrazione di Roy Carroll, l’album è stato missato e masterizzato da uno dei
componenti del quartetto, Miles Perkin. Durata da vecchio LP in vinile. Ottima
la dinamica.
Le sedute
di registrazione hanno avuto luogo in un solo giorno. Crediamo di poter dedurre
un accurato lavoro di preparazione, ché la natura dei brani – qui la copertina
è taciturna, ma a orecchio diremmo di essere in presenza di
"improvvisazioni guidate" e forse di "partiture grafiche" –
esponeva al rischio di produrre qualcosa di informe. Ribadiamo la nostra
impressione di un senso che è già presente, diversamente da situazioni in cui
una sequenza casuale di eventi si trova a riceverne uno dall’abitudine
conseguente agli ascolti effettuati.
Per
quanto concerne la strumentazione, potremmo dire di sintetizzatori,
percussioni, voci, echi e frequenze basse, dato è proprio questa la gamma
timbrica che l’ascoltatore si trova di fronte. Invece si tratta
"solo" di quattro contrabbassi.
Ed è
un’informazione che abbiamo voluto tenere per ultima, dato che la nostra
esperienza "in trincea" ci dice di ascoltatori coraggiosi a fronte di
una miscela sonora ardita, ma terrorizzati di fronte a combinazioni strumentali
per loro poco usuali quando lette su carta.
Ovviamente
è proprio la grande varietà dei timbri ottenuti per via acustica a costituire
uno degli aspetti più stimolanti del lavoro. Ci pare di poter dire che
l’editaggio e il missaggio hanno aggiunto una stratificazione dei piani –
mediante il variare dei volumi e l’aggiunta di spazi riverberanti artificiali –
in grado di dare un supplemento aggiuntivo di forma al materiale. Ma in che
misura ciò sia vero è cosa che solo una comunicazione diretta sarebbe in grado
di svelare.
Ritenendo
bastante il quadro d’insieme fin qui offerto, diamo un’occhiata al dettaglio.
Resting
Crows apre con un’assolvenza che suona imparentata al Free di matrice
ayleriana. C’è un momento centrale percussivo/corpuscolare. Si chiude con un
"tutti" agitato.
Birdcages
è diviso in due parti distinte. La prima mostra una frase melodica arpeggiata
che viaggia fra i quattro contrabbassi, con il variare del colore sonoro
(hocketing) a spostarsi nello spettro stereo; chiude un accordo
"tutti" dal sapore di flamenco. La seconda parte mostra assolvenze di
accordi suonati in collettivo con l’arco, e un’atmosfera non troppo distante da
certe esecuzioni lente di Nonaah di Roscoe Mitchell; poi l’accordo si apre in
una melodia, con i quattro strumenti a differenziare i compiti. Si avverte un
lirismo austero, à la Mitchell. "Pedale" conclusivo.
Il
compito dei due brevi episodi intitolati Interlude I e II è soprattutto quello
di incorniciare il lungo brano intitolato Rotations. Ambedue presentano un
carattere arpeggiato e percussivo.
Unitamente
a Inside, la lunga Rotations (14′ 56") ci pare rivelare un aspetto da
"scored improvisation" e mostrare un missaggio attivo. "Effetti,
sfregamenti e loop" sono gli elementi sonori percepiti. Fasce sonore a
intersecarsi. A tratti pare di sentire un "flauto etnico". Dopo una
accelerazione del ritmo, a 5′ ca., a partire da 7′ si ascolta una curiosa
combinazione di timbri che ricordano il daxophone di Hans Reichel e l’onda
quadra del vecchio VCS3. Segue quello che suona come un coro vocale, poi
l’atmosfera si fa maggiormente rarefatta. (Il prolungato silenzio che segue
pare quasi riservare lo spazio per un meritato applauso.)
Lifts
& Escalators suona come un brano "programmatico", forse un
"graphic score". C’è un incessante movimento ascendente che tende a
ripartire da se stesso. Un’improvvisazione "minimale/meditativa" con
lontani "echi di oriente". Momenti "vocali" (?). Poi una
lunga frase melodica discendente a chiusura, con bell’effetto di "nastro
rallentato".
Inside
presenta un sommarsi percussivo, con "loop" di armonici e frasi
disposte nello spazio a dare profondità, con qualche eco dei Biota. Più che
altrove, sembra qui di poter percepire un impiego ex post di spazio
riverberante. Bel brano, dal carattere maggiormente "astratto"
rispetto ai due che lo affiancano.
Si chiude
con Passing By. Consapevoli di correre il rischio di svilirlo attribuendogli
una connotazione antropomorfica, diremmo il brano una bella illustrazione di un
punto di osservazione fisso immerso nello spazio cangiante di una stazione
ferroviaria. Bello, e nient’affatto prevedibile con il succedersi degli
ascolti, il brano attende un regista teatrale o cinematografico.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| May 6, 2014