Ray Manzarek
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di Beppe Colli
May 22, 2013
C’è un pezzo ancora
oggi celeberrimo – e crediamo siano davvero in pochi, nella sfera occidentale,
a non averlo ascoltato almeno una volta, con quell’introduzione di organo
che sembra fatta apposta per fissarsi in testa già al primo ascolto – che
nell’estate del ’67 sembrò sbucare dal nulla per diventarne la colonna sonora
e dominare le classifiche mondiali. Ci riferiamo ovviamente al brano dei
Procol Harum intitolato A Whiter Shade Of Pale e a quell’introduzione di
sapore bachiano ideata e magistralmente eseguita da Matthew Fisher all’organo
Hammond. L’enorme successo non porterà grandi fortune al gruppo inglese:
privo dei (colossali) profitti a causa di un contratto tipico di quei tempi;
privo di credibilità per la circostanza che vuole la canzone eseguita da
un gruppo ancora inesistente come collettivo, e quindi "finto";
privo di direzione e di contratto discografico a causa di manager poco accorti.
I Procol Harum entrano quindi nel futuro stritolati da un’alternativa che
così suona: ricordati per una sola canzone, o dimenticati del tutto; c’è
ovviamente una terza possibilità: che la canzone venga ricordata, e il gruppo
no.
L’estate del ’67 negli
Stati Uniti è segnata dall’esplosione di un singolo in grado di cambiare
il corso di molte vite: il mese di luglio vede Light My Fire dei Doors insediarsi
stabilmente al primo posto in classifica. Il brano ha un sapore fresco e
accattivante, segnato da un’introduzione dal sapore bachiano frutto della
fantasia dell’organista del gruppo, Ray Manzarek. Ma il grande successo della
canzone – le stazioni radio la trasmettono più volte nel corso di un’ora
– diventa isteria di massa quando un inatteso "fattore x" esplode
in televisione – celeberrima l’apparizione del gruppo all’Ed Sullivan Show
– e sui media a stampa: un "erotic politician" che risponde al
nome di Jim Morrison.
Non Light My Fire, ma Jim Morrison è la A Whiter Shade Of
Pale dei Doors (si dice che dopo la morte del cantante i tre strumentisti
abbiano scherzosamente considerato la possibilità di mutare il nome del gruppo
in And The Doors).
Certo che il cammino effettuato insieme è di quelli che segnano
in profondità. Se Riders On The Storm, il volume del batterista John Densmore,
è una testimonianza che, pur se forzatamente ex post, risulta bilanciata
e non priva di acute intuizioni, quello scritto da Manzarek, ovviamente intitolato
Light My Fire, è poca cosa, tutto teso com’è a perpetuare il mito del defunto
cantante, utile solo per il fatto di svelare con dovizia di particolari il
profondo retroterra musicale del suo autore: ma questo non è poco.
Curioso vedere l’atteggiamento dei tre intenti a guardarsi
indietro – e che cosa strana dev’essere stata passare la vita a guardare
tanto lontano alle proprie spalle allo scopo di guadagnarsi da vivere! Manzarek
è un formidabile
"raconteur", con quegli aneddoti che con il passare del tempo assomigliano
sempre di più ai vecchi racconti del nonno. Densmore oscilla tra il ricordo
piano e gli occhi ancora spalancati dallo sbigottimento per quanto visto
dal suo seggiolino di batterista – ma non dimentichiamolo mai: i tamburi
di John Densmore sono "il sistema nervoso" dei Doors. Robby Krieger,
il chitarrista autore di tanti brani celebri del gruppo, in primis Light
My Fire, parla delle cose in modo spesso neutro, ma a volte si apre in un
sorriso imperscrutabile.
Qui il tramite migliore è il DVD-V della serie Classic Albums
dedicato all’incisione dell’album di esordio, The Doors. Mentre lo spezzone
che mostra il gruppo provare in studio il brano Wild Child contenuto nel
documentario di Tom DiCillo intitolato When You’re Strange è una perfetta
illustrazione delle dinamiche interne al gruppo e del ruolo di "tramite" che
è verosimile Manzarek occupasse in sala d’incisione.
Com’è noto, il singolo
di Light My Fire sacrificò alla trasmissibilità in AM la lunga sezione centrale
occupata dagli assolo di organo e di chitarra. Erano ottimi strumentisti,
Manzarek e Krieger, ma proprio il fatto di "accompagnare" un cantante
risparmiò loro il triste destino di essere trascinati nel gorgo delle
tante "jam band" che oggi suonano irrimediabilmente datate, o una
fine da "folk-rock" per Krieger e da "blues jam in Chicago",
alla Paul Butterfield Blues Band, per Manzarek. E se i concerti dal vivo
si stendevano sovente in direzione dell’happening creando una leggenda, pure
la dimensione di studio rimane quella ideale del gruppo.
Il suono dei Doors in studio è sempre chiaro, nitido, meticoloso.
E se ovviamente il produttore Paul Rothchild e il tecnico Bruce Botnick hanno
la loro enorme parte di merito, pure la limpidezza di un brano e il suo non
suonare "pieno zeppo" di roba partono da una cosa chiamata arrangiamento.
E qui è evidente la sapiente combinazione di accordi, timbri e linee melodiche
che gli strumentisti, batterista incluso, inventano e che dà sempre alle
esecuzioni quel senso di pulito.
Avevano un suono inconfondibile, i Doors, e in quel suono
una parte preponderante l’avevano spesso le tastiere, in primis l’organo.
Attenzione però a non confondere il suono di uno strumento con il suono di
uno stile: anche se nel ricordo è possibile accomunare suoni e situazioni,
la realtà ci dice di un mutare di tastiere e di tecniche di incisione tali
da rivelare appieno l’individualità del musicista: Ray Manzarek.
Quello di Light My Fire è senz’altro l’assolo di organo più
celebre di tutta la storia del rock. Ma che dire dell’introduzione? Preceduta
da un sonoro colpo di rullante, la frase si sviluppa gioiosa per poi stendersi
in un accordo che porta alla canzone vera e propria.
E’ largamente noto
che durante il periodo di assestamento del gruppo Jim Morrison annunciò la
sua ferma intenzione che i quattro dividessero i profitti in parti uguali:
proposito generoso, considerato che fino a quel momento le canzoni originali
che i Doors eseguivano vedevano Morrison quale unico autore. E sappiamo che
fu solo per motivi di
"identità" che a partire da The Soft Parade i contributi dei singoli
cominciarono a essere resi evidenti in quanto tali.
Ma è nel
"vestire" i brani altrui, in primis quelli di Morrison, che esce
fuori immediatamente la cifra stilistica degli accordi di Manzarek. E quale
primo esempio non c’è bisogno di andare tanto lontano: basta girare il singolo
Light My Fire e mettere la puntina su The Crystal Ship. Passare mentalmente
in rassegna il catalogo fornisce un elenco di tutto rispetto per quanto riguarda
il pianista: People Are Strange, Love Street, Yes, The River Knows, The Spy…
Una caratteristica bella e inconfondibile di Manzarek è quella
di esporre un motivo e poi ruminarci sopra: si ascolti l’assolo "minimale" di
organo su Break On Through (To The Other Side), il solo di piano a mani parallele
su People Are Strange, l’assolo di "tack piano" su L.A. Woman…
Manzarek rifulge anche nel
"riempire" un quadro: Hello, I Love You, ovviamente, ma anche Waiting
For The Sun, il suono inconfondibile del piano elettrico Wurlitzer con tremolo
su Queen Of The Highway, la già citata L.A. Woman…
E che dire delle introduzioni? Ricordiamone alcune: ovviamente
Light My Fire, poi l’organo di Strange Days, When The Music’s Over, Hello,
I Love You e Touch Me (con quel samba brasiliano che trova una perfetta replica
nella batteria di Densmore, che allarga la figura ai vari pezzi dello strumento
con uso magistrale del charleston semi-aperto), e poi l’Hammond di The Changeling
e il piano elettrico Fender Rhodes su Riders On The Storm – e ripensiamo
a quest’ultimo: due frasi su un ostinato di basso, e poi quella frase discendente
che pare non finire mai e che dà l’illusione di una tastiera "infinita"…
L’epoca di cui parliamo
è contraddistinta da caratteristiche che diremmo oggi se non scomparse certo
decisamente meno comuni. L’ascolto dei vecchi album dei Doors ci dice di
una cura certosina e di un impiego del tempo in studio finalizzati a ottenere
il miglior risultato possibile. E di una caratteristica – quella di presentare
"elementi" in grado di arricchire l’ascolto pur se non coscientemente
percepiti – che diremmo del tutto al di fuori del modo corrente di ascoltare
musica.
E’ una cura tipica dell’artigiano, e un lavoro che nel caso
dei Doors è ancor più lodevole se solo si ha presente il pandemonio che il
gruppo aveva di fronte nei concerti dal vivo.
Per sfuggire al pericolo di astrattezza facciamo due esempi
concreti, certi che il lettore, se solo lo vorrà, sarà in grado di trovarne
degli altri.
La tastiera protagonista su Hyacinth House è un organo Hammond,
qui con generoso vibrato. Si veda però il timbro che contraddistingue la
parte (comunemente chiamata "inciso") il cui testo inizia con
"I see the bathroom is clear". Qui l’Hammond adotta una funzione
chiamata "percussion", e il suo sottofondo suonato a note staccate
incarna perfettamente quel senso di procedere con cautela, quasi in punta
di piedi, che è proprio di questa sezione.
Come sappiamo, la caratteristica prima del brano Waiting For
The Sun è la contrapposizione drammatica tra pieni e vuoti. Data questa cornice,
il timbro sottile e dal vibrato sinistro della parte di organo – dovrebbe
essere un Gibson G-101 – che sbuca sotto il verso "Is this the strangest
life I’ve ever known?" attribuisce alla linea vocale un sovrappiù di
tensione, ignoto e paura che funge da perfetto complemento.
Tornando indietro nel
ricordo, ci sentiamo di dire che in prima fila tra quelli che trovavano tanto
da ridire su Jim Morrison c’erano quelli che neppure vedevano gli altri tre.
E siamo certi che una scorsa a recensioni e pezzi dell’epoca, anche a cura
di penne illustri, ne mostrerebbe in pieno la miopia. Ma non è che la visione
ex post sia necessariamente più acuta, e per lo stesso motivo: c’è Jim Morrison…
And The Doors. E mai capiremo coloro i quali, allora come oggi, asseriscono
che i Doors hanno realizzato solo tre buoni album: i primi due, e l’ultimo.
Soprattutto quando viene fuori una lettura di L.A. Woman che lo vorrebbe
"album dal vivo in studio" (ma le avranno le orecchie?) e
"fresco e bluesato".
In realtà l’ultimo lavoro di studio del quartetto mostra senza
orpelli la versatilità dei tre, che eseguono con grande sicurezza una quantità
vastissima di stili.
L’introduzione di The Changeling è un Hammond con vibrato
che sembra rimandare a gente come Les McCann (c’è anche una lontana eco di
Tramp, di Otis Redding e Carla Thomas, che illumina in modo buffo un brano
potenzialmente un po’ troppo drammatico). Si ascolti però l’assolo di chitarra
(tre!) e le "spazzate" dell’organo.
Il "tack piano" su Love Her Madly rimanda a cose
blues/barrelhouse quali Roadhouse Blues e You Make Me Real – e anche L.A.
Woman. L’organo "sottile" sembra il Vox Continental dei primi due
album.
L’ascoltatore conosce già l’accoppiata Fender Rhodes –
"tack piano" del brano che dà il titolo all’album.
L’atmosfera tesissima di L’America trova origine negli arpeggi
dell’organo con eco – diremmo il Gibson – all’inizio del brano. Si ascolti
poi il mutare del registro e degli accordi ("Come on, people"…)
e lo sbucare dell’assolo.
Di Hyacinth House si è già detto. Si faccia però attenzione
alla "polonese" che fa da incongruo intermezzo organistico (dopo
"… left to play").
Bello il contrasto tra l’assolo di chitarra nervoso di Krieger
e l’approccio sonnolento, da narcosi, del Wurlitzer su Crawling King Snake.
The Wasp (Texas Radio And The Big Beat) è la perfetta illustrazione
di che splendido suonatore di Hammond fosse Manzarek, che mai fu identificato
con l’uso di quest’organo.
Riders On The Storm ha corso il serio rischio di risultare
gualcita dalla troppa familiarità. Si riascolti a mente serena l’assolo di
Fender Rhodes.
Raymond Daniel Manczarek, Jr., known as Ray Manzarek (February
12, 1939 – May 20, 2013)
© Beppe Colli 2013
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