Radiohead
Hail
To The Thief
(Parlophone)
Dobbiamo
ammettere di non essere mai stati molto appassionati dei Radiohead, né
di averne seguito la carriera troppo da vicino. Certo, abbiamo ascoltato alcuni
brani dal loro OK Computer, senza peraltro esserne particolarmente conquistati.
E certamente nessuno è potuto sfuggire al pandemonio successivo alla
pubblicazione degli album gemelli Kid A e di quell’altro il cui titolo al
momento ci sfugge. Abbiamo ascoltato Kid A – beh? Molto Pink Floyd, molta
sperimentazione, non particolarmente degna di nota. Un nostro amico ha succintamente
messo la cosa in questi termini: "Kid A è ‘coraggioso’ solo perché
erano una pop band che ha poi fatto un CD ‘sperimentale’". Giusto. Ma
dato che siamo curiosi come tutti, dopo aver letto tutte queste recensioni
positive a proposito dell’ultimo Hail To The Thief
abbiamo deciso di procedere a un ascolto accurato. Abbiamo quindi scaricato
tutto il CD da un qualche sito da qualche parte – scherziamo! Faremmo mai
un ascolto accurato usando file MP3 supercompressi? Ovviamente no! Il fratellino
più piccolo ha comprato il CD, che abbiamo preso in prestito. Molte
ore dopo…
… Che è? E tutto quel pandemonio? Nel clima attuale è
ovviamente un disco sopra la media, ma è questo un fattore sufficiente
a renderlo tanto degno di nota? Secondo alcuni colleghi, in special modo in
Inghilterra, dove il fatto che i Radiohead sono meglio degli Oasis o dei Coldplay
è un motivo sufficiente (dev’essere il cibo), sì. Ma questo
è un argomento assurdo: chi entra in un negozio di dischi con venti
euro in mano chiedendo "qualcosa che sia meglio degli Oasis"? E
con tutto il catalogo di roba buona ad aspettarlo/a?
Sì,
la voce di Thom Yorke è abbastanza originale, ma dato che le singole
parti strumentali mancano decisamente di carattere (che ne direste di andarci
più adagio con la compressione la prossima volta, eh?) la sua voce
si trova a dover portare tutto il peso del disco, cosa che a nostra modesta
opinione non è in grado di fare (in altre parole, non è Peter
Hammill – e neppure David Bowie). Né la voce è all’altezza di
tutte le melodie dal punto di vista dell’estensione (e di solito non abbiamo
particolari problemi per lo "stirare" nel registro). C’è
molto (davvero molto) degli U2, molto più di quanto stili vocali differenti
non rivelino sulle prime. E anche molto dei Pink Floyd.
Alcuni
brani sono ovviamente meglio di altri – se è una questione di gusto
diremmo di aver preferito Sail To The Moon; There There e A Punchup At A Wedding
(che sospettiamo sia il modo in cui il disco suonerà dal vivo); gli
Yes secondo periodo di Scatterbrain; e il pezzo posto in chiusura, A Wolf
At The Door. Ma quello che abbiamo difficoltà a digerire è ciò
che descriveremmo come un tentativo di ottenere una "intimità
su scala di massa" – cosa che solo pochissimi cantanti sono in grado
di fare, e – ci ripetiamo – la produzione non aiuta, facendo suonare il disco
come uno stadio in casa.
L’amico
di cui sopra ci ha anche scritto: "usando lo standard degli anni sessanta
tutto ciò è profondamente patetico, ma ciò dimostra quanto
facilmente dimentichiamo…". A questo punto qualcuno tirerebbe immancabilmente
fuori la parola "nostalgico". E in effetti, la produzione di The
Piper At The Gates Of Dawn (1967!) dei Pink Floyd è mille volte più
creativa (già che ci siamo, riascoltiamo tutt’e due le versioni: mono
e stereo). Ma se dobbiamo parlare di "uscite recenti", che dire
del lavoro di Tchad Blake su Slide di Lisa Germano? O Lost In Space di Aimee
Mann? Non sono rock abbastanza? Allora … A Mere Coincidence.. dello Science
Group. E poi ne riparliamo.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| Aug. 26, 2003