"Pissing In The
Wind"
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di Beppe Colli
Jan. 18, 2018
Come da annuncio, il
1° gennaio di quest’anno il blog newyorkese denominato Do The Gig ha iniziato a
trasmettere. Come il lettore ben ricorda, Do The Gig nasce quale emanazione a
carattere eminentemente pragmatico dell’ormai assestata – e, aggiungeremmo,
frequentata e apprezzata – Do The Math, pagina critica animata dal pianista
statunitense Ethan Iverson.
Ben impersonando uno "spirito critico" con
finalità pragmatiche che porta addosso i segni distintivi di un procedere che
diremmo "tipicamente americano", Iverson ha sempre tenuto d’occhio il
momento di crescita insito nell’educazione, e accanto alle molteplici
interviste e interventi di vario genere ha mostrato piena coscienza del momento
storico in cui il jazz si trova oggi a (soprav)vivere.
Esaurita da tempo immemore la funzione
"testimoniale" del Village Voice, è stato con il drastico
ridimensionamento dello spazio dedicato al jazz, soprattutto alle recensioni e
ai concerti, da parte del New York Times – uno spazio, ricordiamolo, che
fungeva sia da vetrina che da sistema di validazione con valenza internazionale
– che si è compreso che l’ossigeno cominciava a mancare.
Do The Gig offre quindi un elenco dei concerti della
settimana in corso e recensioni di alcuni eventi recentissimi, con foto e
pareri critici che si annunciano stringati ma accurati.
Per molti aspetti, una ciambella di salvataggio, in uno
scenario che vuole l’appassionato ancora propenso al concerto dal vivo, dove
sarà agevole, se sol lo si vuole, sostenere il tutto con l’acquisto di musica.
Va da sé che la baracca di Do The Gig si regge su un lavoro
volontario.
Come d’abitudine,
durante le vacanze di fine anno abbiamo proceduto con l’invio di quel pacchetto
di auguri che è anche il pretesto per fare il punto della situazione insieme ad
amici e conoscenti che per svariati motivi sentiamo poco durante il resto
dell’anno.
Com’è ovvio, siamo abituati alle cattive notizie, ma mai
come stavolta abbiamo dovuto far ricorso ai sali. Inutile procedere alla
narrazione dei particolari, è il tutto che sembra avviato a una situazione di
blocco, per cause che diremmo "sistemiche" ma che hanno le proprie
radici non nel malocchio o nella mala sorte ma in comportamenti individuali la
cui sommatoria è il deserto.
In tempi che oggi
diremmo preistorici, i Phish avevano un sito che raccoglieva tutte le
recensioni in lingua inglese dedicate alla produzione del gruppo (c’erano anche
le nostre) accanto a interviste e articoli, così che i fan potessero avere
accesso alle informazioni, dovunque si trovassero a vivere.
In un folder sul nostro computer abbiamo trovato le
recensioni dedicate a Round Room – il primo album dei Phish recensito su Clouds
And Clocks – tra il dicembre del 2002 e il gennaio del 2003.
Tolti un paio di siti, una radio e poc’altro, ecco l’elenco:
Billboard
Magazine
Los
Angeles Times
Chicago
Tribune
Boston
Globe
Rocky
Mountain News
Cleveland
Plain Dealer
The
Boston Herald
Scarlet
& Black (Grinnell College, Iowa)
Star
Ledger (NJ)
Chicago
Sun-Times
The
Buffalo News
USA
Today
New
York Post
Iowa
State Daily
Seven
Days Vermont
Phoenix
New Times
News & Record
(Greensboro, NC)
Worcester
Telegram & Gazette
The Washington
Post
The Columbus
Dispatch
The
Virginian-Pilot (Norfolk)
Tulsa
World
Philadelphia
Inquirer
Baltimore Sun
Lantern (Ohio
State University)
Music
Today
Rolling
Stone Magazine
IGN
Entertainment
Riverfront
Times
The
Dartmouth
St.
Louis Post-Dispatch
Pittsburgh
Post-Gazette
The
Beacon Journal
Kansas Weekender
Va notata la particolare posizione del quotidiano,
"porta verso la cultura" di una parte consistente della popolazione.
Buffo accorgersi di conoscere non pochi di quei recensori, ché il lavoro in un
quotidiano è stato anche la ciambella di salvataggio di non pochi critici
travolti dalla crisi dei periodici illustrati, e anche il modo in cui molti di
loro si sono fatti le ossa, come testimoniato dalle (un tempo) numerose
interviste ospitate su Rock Critics.
Se è vero che i siti dedicati alla musica sono oggi un
numero pressoché infinito, è anche vero che il lavoro nei quotidiani
statunitensi presupponeva una qual forma di remunerazione monetaria, a volte
degna di essere chiamata "stipendio". E in ragione della propria grandezza
e prosperità quei quotidiani impiegavano anche critici di jazz, classica, arti
figurative, cinema, teatro e quant’altro.
Un fatto che ha
destato una certa impressione durante i primi giorni dell’anno è stato
l’annuncio che l’etichetta statunitense denominata Cuneiform – nome che diremmo
non necessiti di presentazioni per gli appassionati di rock e di jazz – non
avrebbe pubblicato nessun album nel corso del 2018.
La sorpresa – ma tutto è relativo: ci è capitato di leggere
più di un commento pubblico che recitava pressappoco "sono sorpreso che
siano durati tanto a lungo" – era resa più viva dalla circostanza
concomitante che vede l’etichetta ben figurare in quei poll di fine anno che
fungono anche da "borsino".
Nulla sapendo oltre quello che c’è nei comunicati ufficiali,
è però ovvio che se i profitti delle vendite avessero oltrepassato le spese a
nessuno sarebbe venuto in mente di chiudere, se non per stanchezza.
Da estranei alla cosa – e completamente all’oscuro sin
dall’infanzia di cose che riguardano "la cucina" dei media –
ricordiamo comunque che l’acquisto di pubblicità e la luminosità dei pareri
critici favorevoli sono da sempre l’ossatura della comunicazione. Ricordiamo
che il processo inflattivo connesso alla moltiplicazione delle uscite ha reso le
recensioni scarsamente influenti, con le interviste, servizi di copertina,
articoli, belle foto a colori, numero delle pagine, a indicare senza ombra di
dubbio le "priorità".
Il meccanismo presuppone che il cavallo beva. Ma se poi non
beve? Questa – purtroppo – è la situazione corrente, con il lettore che –
qualora convinto – "fa esperienza" della musica saltando l’acquisto.
Logica imprenditoriale consiglierebbe di diminuire le spese pubblicitarie. Ma
in un mondo sovraffollato di stimoli "sparire" equivale a "non
esistere". Come il giocatore d’azzardo, anche l’inserzionista può solo
sperare che sia il suo quel danaro che darà frutto. Auguri!
Darsi un’occhiata
intorno comincia a somigliare un po’ troppo a uno spettacolo macabro. C’è il
proprietario di etichetta che va nei forum a discutere i pareri (non sotto
falso nome, con quello vero), il critico che un tempo "o King Crimson o
niente" e ora scrive articoli elogiativi sui Marillon, quello che pubblica
estratti e link sui forum per paura che i titoli da lui recensiti non vengano
notati e non vendano e così via.
Le recensioni negative, va da sé, sono scomparse da tempo,
mentre la competenza latita. C’è chi trova accostamenti assurdi – un pezzo dei
10cc come imparentato al dub, non crediamo si sia sentito di meglio – e chi,
probabilmente per motivi di età, non ha la minima idea di quello che c’è
scritto nel comunicato dell’ufficio stampa da cui deve "attingere".
Vergogna!
Durante le
corrispondenze di fine anno abbiamo approfittato dell’occasione per chiedere ai
nostri interlocutori statunitensi (nota a lato: sarà che il nostro campione è
difettoso, ma da tempo gli italiani con i quali abbiamo contatti sembrano
parlare esclusivamente con il vicino di ballatoio) cosa pensassero di A Ghost
Story ("limited theatrical release" negli Stati Uniti, in Europa è
uscito lunedì scorso in formato DVD-V), se l’avessero visto e se a loro parere
valesse la pena di acquistarlo. Con nostra grande sorpresa, nessuno ne aveva
mai sentito parlare.
Il che è strano assai, dato che – anche in ragione del suo
procedere, sul quale nulla diremo – A Ghost Story non è certo film che può
passare inosservato. Festival a parte, c’è un insieme di pareri critici davvero
impressionante – per dirne due: A.O. Scott sul New York Times e Matt Zoller Seitz
su Roger Ebert.com, come bonus europeo ci mettiamo Peter Bradshaw sul Guardian.
Giustamente ci viene fatto notare che ormai il parere
critico può poco, e quel che conta davvero è il passaparola. Ma che passaparola
può mai avere un film che non esce in sala, se non quello dei critici che però
non leggiamo più?
© Beppe Colli 2018
CloudsandClocks.net | Jan. 18, 2018