Pick of the Week #10
10 by 10cc
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di Beppe Colli
Feb. 13, 2021



Ecco la lista dei "grandi successi" dell’estate del 1970 che la nostra memoria, a gentile richiesta, ci porge: American Woman dei Guess Who, Question dei Moody Blues, Instant Karma! di John Lennon e In The Summertime dei Mungo Jerry. All’epoca acquistammo i primi due, ed è una scelta che confermeremmo ancora oggi. Va anche detto che i nostri brani preferiti erano i meno trasmessi dei quattro, e che Lennon e Mungo Jerry furono tra gli indiscussi protagonisti di quei mesi: bastava accendere la radio e prima o poi sarebbero saltati fuori.

Ma accanto a quei quattro la nostra memoria ci porge un titolo che si situa senz’altro tra le cose più diaboliche mai inventate da mente umana: Neanderthal Man. Per chi non l’ha mai ascoltato, diciamo di un ritmo "tribale" martellante e senza variazioni accoppiato a un testo comprensibile anche dal nostro magro inglese di quei giorni: I’m a Neanderthal Man/You’re a Neanderthal Girl/Let’s make a Neanderthal Love/In this Neanderthal World. Tutto qui, o quasi. Anche se per poco tempo, il brano divenne un tormentone insopportabile al quale solo un progresso tecnico ancora agli albori impedì di diventare un "motivetto da claxon automobilistico" in grado di ossessionarci anche per strada.

Ma ci accorgemmo che l’accumularsi degli ascolti metteva a fuoco una parte centrale con una bella dinamica di volumi, dei cori, e una specie di suono "spaziale" che dopo uno stacco portava a dei magri flautini, e poi… ecco di nuovo il tormentone. Nel nostro linguaggio mentale rudimentale da ragazzini spuntò uno strano quesito: come può gente capace di pubblicare una simile stupidaggine essere in grado di concepire un intermezzo così accattivante "per contrasto"? E fu grazie al brano degli Hotlegs – questa la sigla del gruppo – che confusamente iniziammo a capire che la musica non era (solo) "l’aprirsi dell’anima", come da noi sempre creduto, ma che esisteva un aspetto "deliberato" dell’agire per il quale gli "elementi" erano "cose".

E crediamo proprio che il rifiuto dell’aspetto "deliberato" del fare musica sia alla base della scarsa considerazione in cui la stampa dell’epoca – e, a nostro avviso, anche il giudizio ex post – tenne un gruppo come i 10cc (il lettore che si starà chiedendo cosa c’entrino i 10cc con gli Hotlegs è pregato di avere pazienza). Ovviamente i soldi non si discutono, quindi tutti i singoli finiti ai posti alti delle classifiche meritano rispetto. Ma era musica "vera"?

Sorprendente accorgersi di quanto la stampa contemporanea considerasse il carattere "riflessivo" della musica dei 10cc quale una prova della sua mancanza di autenticità. C’è un’intera serie di critiche, da quella di Charles Shaar Murray che sul New Musical Express (The Punk And I or Two Jews Blues, March 15, 1975) definisce l’atteggiamento dei 10cc quale "total nihilism" alla posizione di Andrew Tyler, che nell’introduzione a una lunga intervista apparsa sul New Musical Express (The 10cc Fine Art Collection, 7 February 1976) così si esprime:

"Agreed, 10cc have a sure grasp of technique that is admirable, plus a directness of lyric that is rare. But often a piece is thick with technology and totally bereft of emotional drive. Musical lines are searched out and discarded with an almost phobic frenzy, as though repetition, however much organic or emotional sense it makes, is to be avoided whatever the cost."

Notiamo: "Spesso un brano è pieno di elementi tecnici e del tutto privo di spinta emotiva", come se una cosa rendesse di per sé impossibile l’altra (se rileggiamo la frase di cui sopra cambiando il contesto, potrebbe andar bene anche per la musica di molti gruppi "Prog", dai King Crimson ai Gentle Giant).

Per mettere le cose in chiaro: "Questo pezzo di rock ‘n’ roll è vero o finto? E se mi scateno ascoltandolo mi rendo ridicolo? Come può esistere un brano dedicato a un ballo che consiste nello stare seduti? Può un gruppo tanto dedito allo humour e al gioco di parole essere serio?".

(Ci fu un tempo in cui il nome dei 10cc veniva pronunciato accanto a quello di Frank Zappa, e per quanto l’accostamento sia fuorviante il ragionamento alla base del giudizio ha dei punti di merito.)

Crediamo di avere detto abbastanza. E chiarito che qui si tratterà della fase in quartetto dei 10cc che copre gli anni 1972-1976 e quattro album, possiamo iniziare il discorso partendo dagli anni Sessanta.

Un lungo e (per i tempi) esaustivo articolo di Alan Betrock apparso sulla rivista newyorkese The Rock Marketplace e poi in U.K. su Zigzag (issue #44, January 1975) con il titolo di 10cc: The Worst Band In The World? rivelava l’enorme lavoro fatto dai componenti dei 10cc tra i sessanta e i settanta.

Per limitarci ai punti salienti, se Eric Stewart (chitarrista, tastierista e cantante) era ricordato soprattutto quale ex componente dei Mindbenders, Graham Gouldman (bassista, chitarrista e cantante), a dispetto della giovane età, poteva vantare una lunga lista di successi da primi posti in classifica nella versione fatta da gruppi all’epoca celebri: andando lesti, ricordiamo For Your Love degli Yardbirds, No Milk Today degli Herman’s Hermits e Bus Stop degli Hollies.

La Rete ci consente di vedere il Gouldman di oggi seduto su uno sgabello con la chitarra in mano, ed è facile vedere che si tratta spesso di canzoni "robuste" dalla bella costruzione e con qualche accordo "sfizioso"; ancor più se consideriamo che si trattava di canzoni scritte da un ragazzo allo scopo di vendere.

(E’ una dimensione, quella del "mestiere", per molto tempo tenuta in scarsa considerazione perché "ordinaria". Ma se abbiamo chiaro che il termine di paragone non è Jeff Beck che sputa fuoco e fiamme in una serata di grazia, ma la musica di ogni giorno, oggi che il celeberrimo Tapestry di Carole King compie mezzo secolo diventa chiaro perché l’ascolto di tanta musica contemporanea sia spesso fonte di noia.)

Un curriculum meno prestigioso ma solido per Lol Creme (chitarra, tastiere e voce) e Kevin Godley (batteria, percussioni e voce), tipici studenti di arte e design appassionati di arti figurative in genere, in primo luogo il cinema.

Convinto che lì sia il suo futuro, Eric Stewart apre uno studio – Strawberry Studios, con chiaro omaggio ai Beatles – e inizia a imparare l’arte. Un motivetto creato lì per lì al solo scopo di provare le nuove apparecchiature – Godley and Creme sono già della partita – scatena l’entusiasmo di un amico discografico andato a trovarli. Contratto, e di lì a poco Neanderthal Man è in classifica.

Il futuro non è quello sperato, con i singoli successivi a fare cilecca e un album splendido – Thinks: School Stinks – che non somiglia affatto al singolo e che passa del tutto inosservato. Va invece recuperato e ascoltato con attenzione, con la sua dimensione melodica ancora fresca (Take Me Back, Fly Away), momenti che anticipano i 10cc (Um Wah, Um Woh, Suite F.A.), pastiche più Beach Boys degli stessi Beach Boys (All God’s Children).

I quattro – Gouldman si unisce alla compagnia dopo l’uscita dell’album – si imbarcano in una serie enorme di lavori mercenari che consentono di tenere in piedi e arricchire lo studio, dimensione della quale diventano maestri.

E di nuovo, quasi per caso, un singolo quale Donna va ai primi posti in classifica, mentre un nuovo contratto (di quelli "sparagnini") regala un nome e rende possibili altri singoli di alta classifica: Johnny Don’t Do It e la definitiva consacrazione commerciale di Rubber Bullets.

Pur "magro" e fatto di poche cose, il suono dell’album di esordio del gruppo, 10cc (1973), è fresco e personale. Piace l’impasto delle voci, il basso "secco" e melodico, i testi spiritosi e pieni di giochi di parole, con mille riferimenti cinematografici e culturali: il "juvenile delinquent" dal triste destino di Johnny Don’t Do It; il mingherlino umiliato che recupera la ragazza e umilia il rivale dopo un corso di culturismo di Sand In My Face; lo scenario da musical "starring Doris Day" di The Dean And I; la "rivolta carceraria, prete incluso" di Rubber Bullets. Sorpresa delle sorprese, chiude un brano dal sapore gospel con interpretazione memorabile di Kevin Godley: Fresh Air For My Mama (da vedere, finché è possibile, un filmato targato BBC del 1974 dove il brano è eseguito in tandem con Old Wild Man).

(Veloce notazione sulle voci. Graham Gouldman è quello con la voce "bassa" e melodica, Lol Creme quello dal falsetto acido e dall’allegria rock ‘n ‘ roll, Eric Stewart un impeccabile "sosia di Paul McCartney", Kevin Godley quello dalla voce "celestiale" e dal falsetto etereo.)

Il successo conseguito consente ai quattro di dedicarsi esclusivamente alla musica dei 10cc. Sheet Music (1974, che pur nella economia di mezzi dell’immagine di copertina inaugura un lungo e splendido sodalizio con lo studio Hipgnosis) è per molti versi l’album "perfetto" del gruppo. Un suono spettacolare, estremamente inventivo, ricco di sorprese, per brani destinati a rimanere nella memoria: The Wall Street Shuffle, The Worst Band In The World, Somewhere In Hollywood e Old Wild Man (da vedere, finché è possibile, un filmato targato BBC del 1974 dove il brano è eseguito in tandem con Fresh Air For My Mama).

Il buon riscontro fino allora ottenuto consente al gruppo di siglare un nuovo contratto discografico. Copertina di bella complessità per The Original Soundtrack (1975), album dove due lavori "epici" spiccano su tutto: la lunga Une Nuit A Paris firmata Godley e Creme in apertura, e l’innovativa (e celeberrima) I’m Not In Love, firmata Stewart-Gouldman ma il cui elaborato sviluppo è senz’altro da attribuire a tutti e quattro, a seguire. (Un lungo e dettagliato articolo uscito sul mensile Made in U.K. Sound On Sound illustra genesi e lavorazione di un brano unico.) I brani restanti sono per una volta un po’ diseguali, ma il livello complessivo è decisamente alto: Blackmail (un maldestro tentativo di ricatto fa della presunta vittima una celebrità mondiale, brano dal sapore decisamente retro nell’epoca della celebrità da sextape), The Second Sitting For The Last Supper, Brand New Day, Life Is A Minestrone.

Solido, perfetto, scorrevole, dalle mille facce (ma non sterile!), sono alcuni degli appellativi possibili per How Dare You! (1976), dalla copertina memorabile, che porta a conclusione l’esperienza del quartetto. L’enorme successo di I’m Not In Love deve aver pesato, e con esso il retroterra e gli obbiettivi dei quattro, con Stewart e Gouldman "musicisti", e quindi consapevoli del fatto che un gruppo prima fa un disco e poi va in tour, e poi fa un altro disco e poi fa un altro tour, e gli "artisti" Godley e Creme (che per loro stessa ammissione fumavano quantitativi industriali di roba – a sentire Eric Stewart, "wacky baccy", espressione da noi mai sentita prima) a voler "fare lo sgambetto" ai pezzi commerciali degli altri due, e poco propensi a seguire la strada usuale dei gruppi rock.

Abbiamo scelto dieci pezzi dai quattro album dei quattro. Non ci sono "tutti" i 10cc, ma come introduzione dovrebbero bastare.



Rubber Bullets
Primo successo "formato gigante" del gruppo, Rubber Bullets trasmette un’allegria contagiosa e presenta una varietà "filmica-da cartoon" di voci ed episodi. Chitarre a "doppia velocità" nel finale.


Fresh Air For My Mama
Album in gran parte all’insegna dell’allegria, della parodia e dello sberleffo, 10cc si chiude con una canzone toccante dal sapore gospel. Interpretazione memorabile di Kevin Godley, cori all’altezza da parte degli altri tre.


The Sacro-Iliac
La dimensione discreta e garbata della scrittura di Graham Gouldman viene fuori con la consueta pulizia in questo brano dedicato a un ballo che consiste nello stare seduti. "If your mind is trippin’/But your disc is slippin’/Here’s what you gonna do/Nothin’". Bel rapporto tra voci soliste e cori.


Old Wild Man
Momento serio e toccante, arrangiamento e suoni al meglio, ottimo lavoro di studio, melodia divisa tra Eric Stewart e Kevin Godley. "Old men of rock ‘n roll/Came bearing music/Where are they now?".


Clockwork Creep
Una bomba sull’aereo pronta ad esplodere, un dialogo a più voci che vede protagonisti la bomba, il meccanismo a orologeria, l’aereo, il narratore, il tutto con un ritmo accelerato e febbrile. Riusciranno i nostri eroi…?


Somewhere In Hollywood
Il brano più lungo inciso dal 10cc fino a quel momento, Somewhere In Hollywood accosta scene e (diremmo) decenni in un’atmosfera che passa dal malinconico al lieve all’amaro nello spazio di attimi. Suoni creativi, parti vocali memorabili, un momento poetico da guardare.


Brand New Day
I brani celebri di quest’album sono altri, ma un posto di riguardo nella produzione del gruppo spetta di diritto all’esplorazione della giornata di un povero disgraziato con poche possibilità di riscatto che vive in quieta sopportazione la sorte che gli è toccata: "At the end of the day/When you look around you/And the sun sets/Deep inside you".


Lazy Ways
Un momento pigro e sereno dalla melodia contagiosa e un arrangiamento in technicolor. Spettacolare "esplosione" di suoni nel finale, con le casse dell’impianto che sembrano prendere vita.


Iceberg
Un maniaco che telefona con la voce artefatta, un orfano abbandonato in un cesto nei pressi dell’autostrada, il volto comico del terrore in un brano altamente creativo per suoni e arrangiamento. Gouldman e Godley protagonisti, e "Iceberg – I’ve heard/That it’s cool", con una pronuncia di "cool" impossibile da dimenticare.


Don’t Hang Up
Triste commedia hollywoodiana, con un suadente "Hello" telefonico ad aprire e il suono nasale della linea dopo che la cornetta è stata sbattuta sull’apparecchio a chiudere. Intermezzi con nacchere e chitarre a go-go, e un dive-bombing del basso a "You got a low impedance/She’s got a rocky terrain".


E con questo pezzo la bella storia si conclude. La separazione non fu indolore, Stewart e Creme non si parlarono per decenni (e il primo aveva sposato la sorella del secondo – ouch!).

Stewart e Gouldman interpretarono con coerenza il loro ruolo di musicisti, e finché la freschezza poté contrastare la formula… (qui i pareri variano grandemente). All’interno della cornice detta, Deceptive Bends è un album solido, e la formazione messa in piedi per il tour del 1977 era senz’altro più "affidabile e professionale" del vecchio quartetto, e per fare certe cose questo è senz’altro preferibile.

Stewart era un ottimo chitarrista, e il suo assolo alla fine di Feel The Benefit (sia sull’album che dal vivo, si cerchi in Rete) è sentito e di bella fattura, con quel variare del selettore di pick-up che un occhio minimamente distratto rischia di non cogliere.

Mentre la bella posizione del singolo Dreadlock Holiday e dell’album Bloody Tourists sembrava voler far presagire ulteriori traguardi Stewart ebbe un serio incidente d’auto (finì contro un albero), perse un occhio, parte dell’udito, e da lì, come si suol dire, fu tutta una discesa. Negli anni ottanta ci furono comunque molte collaborazioni di successo, in primis con un certo Paul McCartney.

Godley & Creme continuarono come artisti "non calcolanti", e c’è una serie di album – cominceremmo da Freeze Frame – tutta da scoprire.

Poi divennero registi di videoclip, e fu fatta.


© Beppe Colli 2021

CloudsandClocks.net | Feb. 13, 2021