Pick of the Week #15
Blue Öyster Cult
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di Beppe Colli
Mar. 21, 2021



"Maggiore il cammino effettuato, minore il numero di oggetti che appaiono nel nostro specchietto retrovisore."

La diremmo una premessa sensata.

Ma degli oggetti del passato tendiamo spesso ad avere una visione estremamente semplificata, e non di rado ingannevole.

Un esempio perfetto è costituito dai Blue Öyster Cult. Proviamo a vedere di cosa è sinonimo oggi il nome del gruppo, ed ecco spuntare tre canzoni: (Don’t Fear) The Reaper, Godzilla e Burnin’ For You. La prima è una "ballad elettrica" sentimentale, la seconda un brano "metal da cartoon", la terza una spigliata versione da anni settanta di una canzone "pop" degli anni sessanta. Tutte e tre cantate da qualcuno in possesso di una voce che diremmo "femminile": sottile, con molta estensione nella gamma alta e pochi bassi.

Proviamo però a dare un’occhiata a immagine e fama dei Blue Öyster Cult e quello che ci troviamo davanti è un gruppo "hard rock" o "proto-metal" con contorno di occhiali scuri, pantaloni di pelle, predilezione per il mistero e l’occulto, chitarre e amplificatori a mille, arene con 18.000 spettatori, luci laser all’avanguardia, tecnica strumentale impeccabile e pubblico ululante.

La somma di questi fattori ci offre un elenco di paradossi. Un gruppo poco conosciuto che ha venduto milioni di copie. Una serie di album validi e attualissimi ma snobbati da pubblico e critica. Un chitarrista solitamente poco considerato ma cui spetterebbe di diritto un posto tra i grandi dello strumento: non un innovatore formale, ma un solista perfettamente a proprio agio nei contesti stilistici più disparati, succinto ed elegante nell’espressione. Il tutto in una discografia che nel primo decennio di attività ha prodotto dieci album che è possibile ascoltare con piacere ancora oggi e che offre un ritratto lusinghiero delle multiformi capacità "americane" di fare dischi in grado di catturare subito, offrire profondità da scoprire in seguito e suonare alla grande.

"La risposta americana ai Black Sabbath": questo l’intendimento del manager e produttore dei Blue Öyster Cult, Sandy Pearlman – uno dei primi giornalisti "rock" statunitensi – nel "dare forma" a un gruppo di già lunga esperienza con due "false partenze" discografiche al passivo, buona tecnica e bella versatilità. Pearlman immerge i cinque in un’atmosfera "scura" e misteriosa che se darà un’immagine forte a un gruppo forse in questo senso manchevole ne limiterà grandemente le possibilità espressive e lo esporrà alla critica di essere poco più di un prodotto fasullo. Sì che quando i cinque proveranno a giocare un gioco diverso, facendo il botto commerciale sfuggito nella fase "per veri uomini", ci sarà chi griderà al tradimento dell’antica purezza e chi festeggerà un’autenticità ritrovata.

I Blue Öyster Cult degli inizi – l’omonimo album di esordio viene pubblicato nel 1972 (gli album successivi arriveranno puntuali al ritmo di uno per anno) – si presentano con credenziali da "rock intellettuale newyorkese" e "copertura critica" di prim’ordine: i testi sono opera di Pearlman e del grande pioniere della critica rock americana Richard Meltzer; ai due si aggiungerà presto l’ancora giornalista ma già poetessa Patti Smith; mentre l’altro "noise boy", Lester Bangs, offrirà una recensione positiva dell’album di esordio su Rolling Stone e ampio spazio sul giornale di "rock alternativo" di cui lo stesso Bangs è stella di prima grandezza: Creem. (I Blue Öyster Cult vinceranno il referendum annuale di Creem quale "miglior nuovo gruppo".)

"By Silverfish Imperatrix whose incorrupted eye/Sees through the charms of doctors and their wives": questo l’attacco di Workshop Of The Telescopes, uno dei dieci brani contenuti sul primo album. Il punto cruciale è che i testi non erano stampati sulla copertina, e mai lo furono. Cosa che, va da sé, contribuiva a infittire il mistero. Era però possibile inviare una busta già affrancata e auto-indirizzata e mezzo dollaro per avere i testi, stampati su carta da computer. Cosa che facemmo quasi subito, tramite un nostro lontano parente stabilitosi in California.

Proviamo però a non tenere conto delle chiacchiere dei giornalisti e ad ascoltare il primo album. Con l’eccezione di Cities On Flame With Rock And Roll, dove uno dei temi trova la sua diretta ispirazione in The Wizard dei Black Sabbath, l’album offre un quadro che più chiaro non si potrebbe: trattasi di rock americano, con un brano d’apertura a dimostrare che il gruppo ha più di un album dei Rolling Stones nella sua collezione; si prosegue con una "ballad" sinistra, un po’ di psichedelia pura "al rallentatore", echi di Grateful Dead, MC5, Doors, Steppenwolf e così via: un retroterra tutto sommato normale per musicisti già attivi alla fine degli anni sessanta; ragion per cui è solo logico aggiungere alla lista delle influenze gruppi della "British Invasion" quali Yardbirds e Troggs e "meteore fatta in casa" come gli Iron Butterfly.

Donald "Buck Dharma" Roeser è l’ottimo chitarrista di cui s’è detto (Pearlman aveva inventato un "nome d’arte" per ciascuno dei componenti – echi di Captain Beefheart? – ma Roeser fu l’unico ad adottarlo). Gli si affiancavano il batterista Albert Bouchard; il tastierista e chitarrista Allen Lanier (all’epoca boyfriend di Patti Smith, i cui testi giungevano al gruppo per interposta persona); il bassista Joe Bouchard (fratello di Albert); e il cantante Eric Bloom. Le musiche erano soprattutto opera di batterista e chitarrista, anche se la consuetudine di scrivere in albergo nei post-concerto (chi non lavora non mangia, i cinque ricevevano una piccola somma settimanale) spiega le firme plurime per brani che erano frutto di un lavoro anche collettivo.

I primi tre album dei Blue Öyster Cult – l’omonimo del ’72, Tyranny And Mutation e Secret Treaties, con l’appendice del doppio dal vivo On Your Feet Or On Your Knees – costituiscono quello che solitamente viene definito il periodo "in bianco e nero" del gruppo. Una definizione che, al pari di altre similari – "la trilogia berlinese", "la trilogia del ditch" – sono comode da usare ma a volte oscurano differenze più importanti delle somiglianze. Se l’album di esordio è quel lavoro composito cui si è accennato, Tyranny And Mutation oppone a una prima facciata tesa che risente dell’atmosfera dei concerti dal vivo (e della loro frequenza) una seconda parte decisamente sofisticata pur nel suo approccio sveltamente chitarristico, mentre cominciano ad affiorare quelle tastiere che progressivamente arricchiranno il suono del gruppo; Secret Treaties mette a fuoco in modo perfetto l’estetica del periodo e introduce brani che rimarranno a lungo momenti irrinunciabili delle esibizioni live.

(Di Secret Treaties esiste anche un’edizione della Audio Fidelity rimasterizzata da Steve Hoffman, dal suono decisamente pregevole: organo Hammond nitido, piatti della batteria che suonano uno diverso dall’altro, basso non slabbrato, chitarre grintose ma leggibili.)

Pur registrato in modo non ottimale, On Your Feet Or On Your Knees è la migliore testimonianza possibile della sicurezza e della precisione raggiunte in questa fase sul palco. Fu anche un modo di prendere fiato, valutare le mosse successive e scegliere le variazioni da apportare alla formula (variazioni che, come vedremo tra breve, saranno numerose e decisive).

Ci fu però anche dell’altro, al tempo non di dominio pubblico: al buon Roeser venne riscontrato un problema cardiaco di quelli seri – crediamo un’aritmia – che per qualche tempo sembrò mettere in dubbio la stessa vita del gruppo (oltre che quella di Roeser). Il chitarrista reagì scrivendo un brano, (Don’t Fear) The Reaper, in cui con tutta evidenza esorcizzava la paura. Il brano entrò nei Top 20 cambiando per sempre le fortune commerciali della formazione.

(Diciamo tra parentesi di come il gruppo abbia deliberatamente coltivato alcune caratteristiche che ne hanno senz’altro limitato il potenziale successo commerciale. Si veda quale esempio il brano di Roeser intitolato Your Loving Heart, contenuto sul suo album solista Flat Out. Qui Roeser rende in senso letterale il luogo comune che riguarda "il cuore innamorato": uomo in attesa di trapianto cardiaco riceve, inizialmente a sua insaputa, un cuore proveniente dall’amata, "suicidatasi" al solo scopo di procuragli quanto necessario alla sopravvivenza. La melodia è accattivante, l’arrangiamento ricorda i Pink Floyd di Another Brick In The Wall, il video è ben fatto… ma il risultato complessivo, alquanto macabro, non è quanto indicato per andare ai primi posti in classifica.)

Mentre i Blue Öyster Cult vivono un momento di forzato riposo, ogni componente riceve in dono un registratore TEAC a quattro piste, tanto per vedere cosa ne viene fuori. Risultato inatteso, un’esplosione di creatività e il fiorire di stili individuali che renderanno possibile il grande successo commerciale della formazione e, azzarderemmo, anche la longevità della musica.

Il lavoro di produzione diventa maggiormente policromo, si spende di più per il momento della registrazione, si scelgono studi migliori, mentre David Lucas – l’uomo che aveva guidato il gruppo nell’incisione del cruciale primo album – torna ad affiancarsi ai produttori abituali, Sandy Pearlman e Murray Krugman. Fatto estremamente importante, la copertina del nuovo album, Agents Of Fortune, è colorata e piacevole all’occhio, con l’immagine interna a mostrare il gruppo a colori. Sarà solo con l’album successivo, Spectres, che al gruppo verrà data la possibilità di mostrarsi in pubblico.

Il Pearlman paroliere non sparisce, ma il gruppo inizia ad affiancargli altre firme, e altre stranezze, in aggiunta a quelle prodotte "in proprio". Vengono fuori la passione di Bloom per la fantascienza e quella di Bouchard bassista per i vampiri, mentre dagli altri tre arriva l’indicibile.

Il fatto di avere al suo interno cinque individualità tanto spiccate rende i Blue Öyster Cult un gruppo decisamente raro, anche se l’originale modo di porsi dei musicisti renderà impossibile quella divisione dei compiti che – se va bene – fa di un gruppo un’icona. Pensiamo ai Led Zeppelin – ma la formula è di marca Who – con il chitarrista "eroico" e il cantante che fa ruotare il microfono. O Jimi Hendrix, da solo. La formula commerciale mostra che il pubblico vuole sapere su cosa deve posarsi l’occhio.

I Blue Öyster Cult sul palco sono quanto di più strano possa esistere. Un cantante "di ruolo" che quando non canta si dirige verso il fondo-palco a suonare tastiere e sintetizzatori. Un chitarrista che canta "i successi". Un tastierista che viene avanti a suonare intricati unisono chitarristici insieme al primo chitarrista. Un batterista che urla la sua anima "rock" dal retro. E tutti e cinque al proscenio, chitarre in mano, per il momento finale.

(La pluralità delle voci su album era sempre esistita, con il batterista Albert Bouchard – buon cantante, ma non un cantante abituale, né impostato – a interpretare l’anima rock "sopra le righe" della formazione. Quello che cambia è la misura.)

Si scopre che il bassista ha studiato chitarra classica, pianoforte e voce. Da cui, sofisticati momenti pianistici e millimetrici arpeggi.

Agents Of Fortune (’76) e Spectres (’77) sono due puntate della stessa storia. Da qui servizi su tutti i giornali, complimenti e più di un pizzico di incredulità.

Some Enchanted Evening (’78) consente una pausa mentre mostra il gruppo dal vivo. Non un doppio come On Your Feet… (ma una ristampa su CD ha raddoppiato la scaletta, annacquandone a nostro avviso l’impatto) l’album diventa un best seller (due milioni di copie). I cinque presentano grintose letture di momenti recenti e rifacimenti di cavalli di battaglia di MC5 e degli Animals.

Alla ricerca di un suono più commerciale, i Blue Öyster Cult tentano il gran salto assoldando un uomo delle classifiche, Tom Werman. Come forse prevedibile, il gruppo fa incazzare i vecchi ammiratori senza trovarne di nuovi. Bloom – "Mirrors è buono solo per farci il frisbee" – e Bouchard batterista non la prendono bene, gli altri si adattano.

Preso per il giusto verso, Mirrors (1979) non è un brutto album, anche se presenta un’immagine del gruppo molto parziale. Werman sfronda parecchio, cosa che consente un suono spettacolare. Insopportabili sempre, i coretti femminili erano parte del panorama sonoro dell’epoca. Donald Roeser è ovviamente privilegiato, come cantante e autore. Originali i contributi di Allen Lanier, che oltre a un impeccabile lavoro tastieristico offre al gruppo i momenti più atipici – qualcuno potrebbe definirli "fuori posto" – della sua produzione, dal "quasi-country" acustico di In Thee alla "quasi-disco" in levare di Lonely Teardrops.

Per contenere i danni i Blue Öyster Cult assoldano Martin Birch, l’indimenticato produttore che aveva reso possibile la svolta hard dei Deep Purple "In Rock". I risultati sono entusiasmanti. Cultosaurus Erectus (1980) e Fire Of Unknown Origin (1981) portano il gruppo a vette che non saranno più raggiunte.

Grinta timbrica, una spinta batteristica con pochi eguali, indovinati impasti chitarra-tastiere e una serie di temi non da poco – la spada che parla, gli astronauti che nello spazio replicano le malvagità da cui erano fuggiti, un attacco a Khomeini, il ragazzo che medita di recuperare la ragazza perduta diventando un eroe del rock, tossici in astinenza con voci di ragazzini, mostruose apparizioni dallo spazio, la ragazza che usa il rasoio del padre per tagliarsi e bere il sangue – fanno di Cultosaurus Erectus un album da ascoltare per intero.

Al confronto, Fire Of Unknown Origin soffre un po’. Purtroppo la storia che conta finisce qui. Bouchard il batterista litiga con tutti, la stanchezza comincia a farsi sentire, e con l’eccezione del già citato lavoro solista di Donald Roeser, Flat Out (1982), non resta più nulla di davvero indispensabile.

La musica dei Blue Öyster Cult non è di difficile ascolto. Abbiamo quindi pensato di evitare una descrizione millimetrica degli album e di offrire invece una selezione in grado di fungere da "best immaginario", fermo restando che i titoli citati non esauriscono quanto di bello il gruppo ha prodotto.

Sia consentito un ricordo personale.

Nel dicembre del 1980 ci trovavamo a una festicciola pre-natalizia insieme a un manipolo di militari statunitensi che prestavano servizio nella vicina base NATO. Gli ascolti di quella sera: Scary Monsters di David Bowie, Gaucho degli Steely Dan e One Trick Pony di Paul Simon (non il nostro album preferito, ma la circostanza che un gigantesco afroamericano con il grado di sergente indicasse con evidente compiacimento alcuni dei musicisti presenti – Steve Gadd… Richard Tee… – ci consigliò la discrezione).

La padrona di casa, nostra amica, decise di prenderci garbatamente in giro chiedendoci perché non ci piacesse nessun gruppo di rock "normale".

"Non è affatto vero", fu la nostra replica. "Che mi dici di Hawkwind e Blue Öyster Cult?"

La nostra amica ci guardò divertita e disse: "Ma perché, secondo te quelli sarebbero gruppi di rock normale?".



Then Came The Last Days Of May
Bellissima ballad che inaugura una lunga serie di composizioni scritte e cantate da Donald Roeser e che era in grado di fare faville dal vivo, il brano nasconde sotto un’apparente serenità la storia di tre ragazzi che volevano fare fortuna comprando e vendendo una grossa partita di "roba". Ma il loro autista e tramite li fa fuori in mezzo al deserto. (Una storia vera.)

She’s As Beautiful As A Foot
Mentre gli interpreti si interrogano sul significato del testo, opera di Richard Meltzer, il brano spande un sottlle profumo "indiano" di psichedelia che lo manda dritto tra i "classici minori" della formazione.

Cities On Flame With Rock And Roll
Momento "rock" per eccellenza, a lungo cavallo di battaglia del gruppo dal vivo, il brano vive dell’interpretazione vocale decisamente "sopra le righe" del batterista Albert Bouchard. Ottime le chitarre di Roeser.

Wings Wetted Down
Assolo "psichedelico" su due canali per la prima delle ballad dal tono funereo scritte dal bassista (e tastierista) Joe Bouchard. Ci si interroga se le ali siano quelle di vampiri o di elicotteri (in Vietnam). (E sì, sappiamo che gli elicotteri non hanno le ali.)

Mistress Of The Salmon Salt (Quicklime Girl)
Morte e decomposizione nel ciclo della vita sembrerebbero (il condizionale è d’obbligo) caratterizzare il testo (di Sandy Pearlman) di un brano la cui musica misteriosa, oscura e dai molti piani chitarristici fa un figurone. Albert Bouchard l’autore, Eric Bloom il cantante, Roeser alle chitarre.

Dominance And Submission
Di nuovo la coppia Pearlman/Albert Bouchard per uno dei momenti più "mossi" del gruppo dal vivo. Perché la notte di capodanno del 1964 era "l’ultima barriera"? Qual era il compito delle radio? Grande batteria di Bouchard, che esplora tutte le sfumature vocali possibili, dall’isterico al sinistro. Come bonus, un grande assolo di chitarra di Roeser.

Cagey Cretins
Eric Bloom sfodera il suo miglior naso, Albert Bouchard urla dallo sfondo, per una storia nervosa. Musica Bouchard, testo Meltzer, grande batteria, ottime chitarre.

Astronomy
Un classico della melodia, il brano è soprattutto opera del bassista Joe Bouchard. Ottimo naso di Bloom, testo di Pearlman ("Call me Desdenova"), momento culminante in concerto con laser accecanti e lungo assolo di chitarra, il brano è qui in una versione contenuta di sicuro fascino.

Subhuman
L’album dal vivo On Your Feet Or On Your Knees rende palese l’energia del gruppo in concerto. Non un’energia cieca e di grana grossa che va a discapito della finezza, come questa versione dilatata di un brano da Secret Treaties dimostra brillantemente.

Hot Rails To Hell
Per non essere da meno dei suoi compari, il bassista Joe Bouchard tira fuori un’interpretazione vocale decisamente "alcolica" a illustrare gli orrori dell’atmosfera metropolitana (nel senso del mezzo di trasporto). Accelerazione bruciante, formidabile uscita chitarristica di Roeser, "dive-bombing" del basso in un esplicito omaggio al Bill Wyman di 19th Nervous Breakdown.

Buck’s Boogie
Le radici chitarristiche di Roeser vengono rispolverate per questo brillante strumentale che vive anche di un agile e vivace organo Hammond di Allen Lanier. Esuberante e gioioso.

(Don’t Fear) The Reaper
Il brano più conosciuto dei Blue Öyster Cult, quello che cambiò la loro vita. Un bravo a Roeser, cantante e autore.

Morning Final
Una sparatoria, un omicidio e la metropolitana sono i protagonisti di questa canzone scritta e cantata da Joe Bouchard. Belle tastiere, ottimi cori, curatissimi colori strumentali.

Tenderloin
Allen Lanier non era un grande cantante, e saggiamente qui Eric Bloom gli presta il suo naso interpretando un brano fantasioso, ben scritto e arrangiato, con sezioni strumentali che non ci aspetteremmo.

Godzilla
Donald Roeser imposta un "cartoon metal" cadenzato e riuscitissimo. Un riff leggendario, perfetta batteria di Albert Bouchard, assolo bruciante, frase di basso "alla Stanley Clarke", intermezzo in giapponese, e l’inevitabile morale "History shows again and again/How Nature points out the folly of men".

I Love The Night
Una storia di "vampirizzazione" che potrebbe contemplare anche l’uso di eroina, una ballad inconfondibile di Roeser che cela sotto un’interpretazione "pop" un lato decisamente oscuro. Gli echi sulla batteria possono fungere da "guida a come si usavano gli echi negli anni settanta".

Nosferatu
Joe Bouchard scrive e interpreta una musica malinconica e sinistra, Helen Robbins/Wheels gli dà una mano con il testo, pianoforte e "string ensemble" impeccabili – è Allen Lanier, onore al merito – voce e assolo di chitarra finale immersi negli effetti (vedi la già citata "guida a come si usavano gli echi negli anni settanta").

We Gotta Get Out Of This Place
Nuovo album dal vivo, Some Enchanted Evening presenta con grinta e pulizia il repertorio più recente. Buona aggiunta, una bella interpretazione di un classico degli Animals, a rinfrescare le radici "British Invasion" del quintetto statunitense.

Moon Crazy
L’assetto strumentale dei Doors – pianoforte preciso e scandito, chitarra sottile – fa capolino in questo brano di Joe Bouchard, il cui scenario sonoro beneficia grandemente del nitore scelto a scopi commerciali dal produttore Tom Werman. "Vampiri nello spazio"? Non sapremmo. E’ certo che l’ingresso di chitarra con sottofondo di "string ensemble" al momento dell’assolo è decisamente emozionante, mentre la "fuga chitarristica" del finale è uno di quei momenti "bizzarri" che il gruppo amava tirare fuori di tanto in tanto.

Lonely Teardrops
Cadenza "disco" in levare, introduzione di Clavinet, "string ensemble" in evidenza, un brano ipnotico – e, diremmo, decisamente "tossico" – di Allen Lanier cantato alla perfezione da Donald Roeser. Si ascolti con attenzione la finezza ritmica dell’assolo di chitarra.

Divine Wind
La musica cadenzata e brutale di questo brano ci fa ricordare l’assente frequentazione del blues da parte dei Blue Öyster Cult. Qui Roeser inizia a fare i conti con le nuove vesti chitarristiche che cominciano a imporsi (qualcuno ricorda le discussioni "Kahler vs. Floyd Rose"?), con un entusiasmante uso della leva del vibrato. Un naso particolarmente aggressivo e belligerante da parte di Eric Bloom in un brano di Roeser che è un attacco all’Ayatollah Khomeini (sono i tempi degli ostaggi che costarono la presidenza a Jimmy Carter). "Se pensa davvero che noi siamo il Diavolo/Allora mandiamolo all’inferno". Un roadie con la maschera di Khomeini "mostrava il dito" al pubblico dei concerti durante questo brano.

Hungry Boys
Solo i Blue Öyster Cult potevano fare interpretare a un gruppo di ragazzini – si tratta in realtà di voci velocizzate – una storia da sindrome da sospensione (crediamo da eroina, ma non è il nostro campo). Inizio con pianoforte rovesciato, un "tiro" pazzesco di Albert Bouchard alla batteria – qui, come su tutto l’album, con dei suoni che in tempi di microchip faranno spuntare una lacrima ai veri rocker – e un ritmo che sembra in grado di far schiantare il brano contro un muro.

Lips In The Hills
Brano dall’atmosfera apocalittica che accoglie uno dei testi più imperscrutabili di Richard Meltzer, Lips In The Hills colloca i Blue Öyster Cult ai vertici del Metal. Un plauso alla gola di Eric Bloom, all’accelerazione della batteria di Albert Bouchard e alle chitarre di Donald Roeser.

Heavy Metal: The Black And Silver
Come l’album precedente, Cultosaurus Erectus, anche Fire Of Unknown Origin beneficia grandemente del lavoro di produzione di Martin Birch. Il momento chiave è l’hit Burnin’ For You, brano agile e spigliato firmato Roeser/Meltzer che il chitarrista aveva immaginato momento di punta per un prossimo lavoro solista ma che il gruppo accolse – immaginiamo un po’ malvolentieri – per dare una speranza in più a un album che non sembrava destinato a enormi vendite. Unico brano suonato in trio – qui Eric Bloom è alla voce e al basso – Heavy Metal: The Black And Silver (testo di Sandy Pearlman: "Into the whirlpool/Where matter vanishes") sembra un brano normale finché non tentiamo di cantare "l’inciso".

Don’t Turn Your Back
L’ultimo album della formazione originale si chiude con un brano che ne illustra perfettamente la versatilità e la leggerezza in una costruzione che è al contempo altamente sofisticata e altamente comunicativa. Ritmo "elastico" di basso e batteria, "strappi" di chitarra in levare, tastiere essenziali, una bella interpretazione vocale di Roeser, rilassata a dispetto del testo (una storia di agenti segreti?). Un plauso agli autori: Lanier/Roeser/Albert Bouchard.

Flaming Telepaths
La versione su singolo a 12" di Burnin’ For You in nostro possesso ospita sul retro due brani dal vivo di recente esecuzione: Dr. Music (un sano rock’n’roll con testo Meltzer che apriva il controverso Mirrors) e un recupero d’eccezione. Flaming Telepaths (testo di Pearlman, e quindi: esperimenti di laboratorio finiti male? racconti del soprannaturale? uso tossico delle vene?) giunge dal periodo Secret Treaties e dimostra come il gruppo sia in grado di immergersi in modo convincente, con un di più di accresciuta sicurezza, nei climi "oscuri" di quella che è già storia. E dato che sono i tempi dei "digital delay" e dell’"infinite repeat" anche dal vivo, l’assolo di chitarra ne approfitta. Ma è la sinistra risata che sulle prime sembra provenire dalla stanza di chi ascolta a caratterizzare questa versione, chiusa dal classico e martellante "pianino" che accompagna il famoso epilogo: "And the joke’s…/On you!" (con, ovviamente, "On you!" in "infinite repeat").


© Beppe Colli 2021

CloudsandClocks.net | Mar. 21, 2021