Pick
of the Week #15
Blue Öyster Cult
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di Beppe Colli
Mar. 21,
2021
"Maggiore il cammino effettuato, minore il numero di
oggetti che appaiono nel nostro specchietto retrovisore."
La diremmo una premessa sensata.
Ma degli oggetti del passato tendiamo spesso ad avere una
visione estremamente semplificata, e non di rado ingannevole.
Un esempio perfetto è costituito dai Blue Öyster Cult. Proviamo a vedere di cosa è sinonimo oggi il
nome del gruppo, ed ecco spuntare tre canzoni: (Don’t Fear) The Reaper,
Godzilla e Burnin’ For You. La prima è una "ballad elettrica"
sentimentale, la seconda un brano "metal da cartoon", la terza una
spigliata versione da anni settanta di una canzone "pop" degli anni
sessanta. Tutte e tre cantate da qualcuno in possesso di una voce che diremmo
"femminile": sottile, con molta estensione nella gamma alta e pochi
bassi.
Proviamo però a dare un’occhiata a immagine e fama dei Blue Öyster Cult e quello che ci troviamo davanti è
un gruppo "hard rock" o "proto-metal" con contorno di
occhiali scuri, pantaloni di pelle, predilezione per il mistero e l’occulto,
chitarre e amplificatori a mille, arene con 18.000 spettatori, luci laser
all’avanguardia, tecnica strumentale impeccabile e pubblico ululante.
La somma di questi fattori ci offre un elenco di paradossi.
Un gruppo poco conosciuto che ha venduto milioni di copie. Una serie di album
validi e attualissimi ma snobbati da pubblico e critica. Un chitarrista
solitamente poco considerato ma cui spetterebbe di diritto un posto tra i
grandi dello strumento: non un innovatore formale, ma un solista perfettamente
a proprio agio nei contesti stilistici più disparati, succinto ed elegante
nell’espressione. Il tutto in una discografia che nel primo decennio di
attività ha prodotto dieci album che è possibile ascoltare con piacere ancora
oggi e che offre un ritratto lusinghiero delle multiformi capacità
"americane" di fare dischi in grado di catturare subito, offrire
profondità da scoprire in seguito e suonare alla grande.
"La risposta americana ai Black Sabbath": questo
l’intendimento del manager e produttore dei Blue
Öyster Cult, Sandy Pearlman – uno dei primi giornalisti "rock"
statunitensi – nel "dare forma" a un gruppo di già lunga
esperienza con due "false partenze" discografiche al passivo, buona
tecnica e bella versatilità. Pearlman immerge i cinque in un’atmosfera
"scura" e misteriosa che se darà un’immagine forte a un gruppo forse
in questo senso manchevole ne limiterà grandemente le possibilità espressive e
lo esporrà alla critica di essere poco più di un prodotto fasullo. Sì che
quando i cinque proveranno a giocare un gioco diverso, facendo il botto
commerciale sfuggito nella fase "per veri uomini", ci sarà chi
griderà al tradimento dell’antica purezza e chi festeggerà un’autenticità
ritrovata.
I Blue Öyster Cult degli
inizi – l’omonimo album di esordio viene pubblicato nel 1972 (gli album
successivi arriveranno puntuali al ritmo di uno per anno) – si presentano con
credenziali da "rock intellettuale newyorkese" e "copertura
critica" di prim’ordine: i testi sono opera di Pearlman e del grande
pioniere della critica rock americana Richard Meltzer; ai due si aggiungerà
presto l’ancora giornalista ma già poetessa Patti Smith; mentre l’altro
"noise boy", Lester Bangs, offrirà una recensione positiva dell’album
di esordio su Rolling Stone e ampio spazio sul giornale di "rock
alternativo" di cui lo stesso Bangs è stella di prima grandezza: Creem. (I
Blue Öyster Cult vinceranno il referendum annuale di
Creem quale "miglior nuovo gruppo".)
"By Silverfish Imperatrix whose incorrupted eye/Sees through the charms of doctors and their wives":
questo l’attacco di Workshop Of The Telescopes, uno dei dieci brani contenuti
sul primo album. Il punto cruciale è che i testi non erano stampati
sulla copertina, e mai lo furono. Cosa che, va da sé, contribuiva a infittire
il mistero. Era però possibile inviare una busta già affrancata e
auto-indirizzata e mezzo dollaro per avere i testi, stampati su carta da
computer. Cosa che facemmo quasi subito, tramite un nostro lontano parente
stabilitosi in California.
Proviamo però a non tenere conto delle chiacchiere dei
giornalisti e ad ascoltare il primo album. Con l’eccezione di Cities On Flame
With Rock And Roll, dove uno dei temi trova la sua diretta ispirazione in The
Wizard dei Black Sabbath, l’album offre un quadro che più chiaro non si
potrebbe: trattasi di rock americano, con un brano d’apertura a dimostrare che
il gruppo ha più di un album dei Rolling Stones nella sua collezione; si
prosegue con una "ballad" sinistra, un po’ di psichedelia pura
"al rallentatore", echi di Grateful Dead, MC5, Doors, Steppenwolf e
così via: un retroterra tutto sommato normale per musicisti già attivi alla
fine degli anni sessanta; ragion per cui è solo logico aggiungere alla lista
delle influenze gruppi della "British Invasion" quali Yardbirds e
Troggs e "meteore fatta in casa" come gli Iron Butterfly.
Donald "Buck Dharma" Roeser è l’ottimo chitarrista
di cui s’è detto (Pearlman aveva inventato un "nome d’arte" per
ciascuno dei componenti – echi di Captain Beefheart? – ma Roeser fu l’unico ad
adottarlo). Gli si affiancavano il batterista Albert Bouchard; il tastierista e
chitarrista Allen Lanier (all’epoca boyfriend di Patti Smith, i cui testi
giungevano al gruppo per interposta persona); il bassista Joe Bouchard
(fratello di Albert); e il cantante Eric Bloom. Le musiche erano soprattutto
opera di batterista e chitarrista, anche se la consuetudine di scrivere in
albergo nei post-concerto (chi non lavora non mangia, i cinque ricevevano una
piccola somma settimanale) spiega le firme plurime per brani che erano frutto
di un lavoro anche collettivo.
I primi tre album dei Blue Öyster
Cult – l’omonimo del ’72, Tyranny And Mutation e Secret Treaties, con
l’appendice del doppio dal vivo On Your Feet Or On Your Knees – costituiscono
quello che solitamente viene definito il periodo "in bianco e nero"
del gruppo. Una definizione che, al pari di altre similari – "la trilogia
berlinese", "la trilogia del ditch" – sono comode da usare ma a
volte oscurano differenze più importanti delle somiglianze. Se l’album di
esordio è quel lavoro composito cui si è accennato, Tyranny And Mutation oppone
a una prima facciata tesa che risente dell’atmosfera dei concerti dal vivo (e
della loro frequenza) una seconda parte decisamente sofisticata pur nel suo
approccio sveltamente chitarristico, mentre cominciano ad affiorare quelle
tastiere che progressivamente arricchiranno il suono del gruppo; Secret
Treaties mette a fuoco in modo perfetto l’estetica del periodo e introduce
brani che rimarranno a lungo momenti irrinunciabili delle esibizioni live.
(Di Secret Treaties esiste anche
un’edizione della Audio Fidelity rimasterizzata da Steve Hoffman, dal suono
decisamente pregevole: organo Hammond nitido, piatti della batteria che suonano
uno diverso dall’altro, basso non slabbrato, chitarre grintose ma leggibili.)
Pur registrato in modo non ottimale, On Your Feet Or On Your Knees è la migliore testimonianza possibile
della sicurezza e della precisione raggiunte in questa fase sul palco. Fu anche
un modo di prendere fiato, valutare le mosse successive e scegliere le
variazioni da apportare alla formula (variazioni che, come vedremo tra breve,
saranno numerose e decisive).
Ci fu però anche dell’altro, al tempo non di dominio
pubblico: al buon Roeser venne riscontrato un problema cardiaco di quelli seri
– crediamo un’aritmia – che per qualche tempo sembrò mettere in dubbio la
stessa vita del gruppo (oltre che quella di Roeser). Il chitarrista reagì
scrivendo un brano, (Don’t Fear) The Reaper, in cui con tutta evidenza
esorcizzava la paura. Il brano entrò nei Top 20 cambiando per sempre le fortune
commerciali della formazione.
(Diciamo tra parentesi di come il gruppo abbia
deliberatamente coltivato alcune caratteristiche che ne hanno senz’altro
limitato il potenziale successo commerciale. Si veda quale esempio il brano di
Roeser intitolato Your Loving Heart, contenuto sul suo album solista Flat Out.
Qui Roeser rende in senso letterale il luogo comune che riguarda "il cuore
innamorato": uomo in attesa di trapianto cardiaco riceve, inizialmente a
sua insaputa, un cuore proveniente dall’amata, "suicidatasi" al solo
scopo di procuragli quanto necessario alla sopravvivenza. La melodia è
accattivante, l’arrangiamento ricorda i Pink Floyd di Another Brick In The
Wall, il video è ben fatto… ma il risultato complessivo, alquanto macabro,
non è quanto indicato per andare ai primi posti in classifica.)
Mentre i Blue Öyster Cult
vivono un momento di forzato riposo, ogni componente riceve in dono un
registratore TEAC a quattro piste, tanto per vedere cosa ne viene fuori.
Risultato inatteso, un’esplosione di creatività e il fiorire di stili
individuali che renderanno possibile il grande successo commerciale della
formazione e, azzarderemmo, anche la longevità della musica.
Il lavoro di produzione diventa maggiormente policromo, si
spende di più per il momento della registrazione, si scelgono studi migliori,
mentre David Lucas – l’uomo che aveva guidato il gruppo nell’incisione del
cruciale primo album – torna ad affiancarsi ai produttori abituali, Sandy
Pearlman e Murray Krugman. Fatto estremamente importante, la copertina del
nuovo album, Agents Of Fortune, è colorata e piacevole all’occhio, con
l’immagine interna a mostrare il gruppo a colori. Sarà solo con l’album
successivo, Spectres, che al gruppo verrà data la possibilità di mostrarsi in
pubblico.
Il Pearlman paroliere non sparisce, ma il gruppo inizia ad
affiancargli altre firme, e altre stranezze, in aggiunta a quelle prodotte
"in proprio". Vengono fuori la passione di Bloom per la fantascienza
e quella di Bouchard bassista per i vampiri, mentre dagli altri tre arriva l’indicibile.
Il fatto di avere al suo interno cinque individualità tanto
spiccate rende i Blue Öyster Cult un gruppo
decisamente raro, anche se l’originale modo di porsi dei musicisti renderà
impossibile quella divisione dei compiti che – se va bene – fa di un gruppo un’icona.
Pensiamo ai Led Zeppelin – ma la formula è di marca Who – con il chitarrista
"eroico" e il cantante che fa ruotare il microfono. O Jimi Hendrix,
da solo. La formula commerciale mostra che il pubblico vuole sapere su cosa
deve posarsi l’occhio.
I Blue Öyster Cult sul palco sono
quanto di più strano possa esistere. Un cantante "di ruolo" che
quando non canta si dirige verso il fondo-palco a suonare tastiere e
sintetizzatori. Un chitarrista che canta "i successi". Un tastierista
che viene avanti a suonare intricati unisono chitarristici insieme al primo
chitarrista. Un batterista che urla la sua anima "rock" dal retro. E
tutti e cinque al proscenio, chitarre in mano, per il momento finale.
(La pluralità delle voci su album era sempre esistita, con
il batterista Albert Bouchard – buon cantante, ma non un cantante abituale, né
impostato – a interpretare l’anima rock "sopra le righe" della
formazione. Quello che cambia è la misura.)
Si scopre che il bassista ha studiato chitarra classica,
pianoforte e voce. Da cui, sofisticati momenti pianistici e millimetrici
arpeggi.
Agents Of Fortune (’76) e Spectres (’77) sono due puntate
della stessa storia. Da qui servizi su tutti i giornali, complimenti e più di
un pizzico di incredulità.
Some Enchanted Evening (’78) consente una pausa mentre mostra
il gruppo dal vivo. Non un doppio come On Your Feet… (ma una ristampa su CD
ha raddoppiato la scaletta, annacquandone a nostro avviso l’impatto) l’album
diventa un best seller (due milioni di copie). I cinque presentano grintose
letture di momenti recenti e rifacimenti di cavalli di battaglia di MC5 e degli
Animals.
Alla ricerca di un suono più commerciale, i Blue Öyster Cult tentano il gran salto assoldando un
uomo delle classifiche, Tom Werman. Come forse prevedibile, il gruppo fa
incazzare i vecchi ammiratori senza trovarne di nuovi. Bloom – "Mirrors è
buono solo per farci il frisbee" – e Bouchard batterista non la prendono
bene, gli altri si adattano.
Preso per il giusto verso, Mirrors (1979) non è un brutto album,
anche se presenta un’immagine del gruppo molto parziale. Werman sfronda
parecchio, cosa che consente un suono spettacolare. Insopportabili sempre, i
coretti femminili erano parte del panorama sonoro dell’epoca. Donald Roeser è
ovviamente privilegiato, come cantante e autore. Originali i contributi di
Allen Lanier, che oltre a un impeccabile lavoro tastieristico offre al gruppo i
momenti più atipici – qualcuno potrebbe definirli "fuori posto" –
della sua produzione, dal "quasi-country" acustico di In Thee alla
"quasi-disco" in levare di Lonely Teardrops.
Per contenere i danni i Blue Öyster Cult assoldano Martin Birch, l’indimenticato produttore che aveva reso
possibile la svolta hard dei Deep Purple "In Rock". I
risultati sono entusiasmanti. Cultosaurus Erectus (1980) e Fire Of Unknown
Origin (1981) portano il gruppo a vette che non saranno più raggiunte.
Grinta timbrica, una spinta batteristica con pochi eguali,
indovinati impasti chitarra-tastiere e una serie di temi non da poco – la spada
che parla, gli astronauti che nello spazio replicano le malvagità da cui erano
fuggiti, un attacco a Khomeini, il ragazzo che medita di recuperare la ragazza
perduta diventando un eroe del rock, tossici in astinenza con voci di
ragazzini, mostruose apparizioni dallo spazio, la ragazza che usa il rasoio del
padre per tagliarsi e bere il sangue – fanno di Cultosaurus Erectus un album da
ascoltare per intero.
Al confronto, Fire Of Unknown Origin soffre un po’.
Purtroppo la storia che conta finisce qui. Bouchard il batterista litiga con
tutti, la stanchezza comincia a farsi sentire, e con l’eccezione del già citato
lavoro solista di Donald Roeser, Flat Out (1982), non resta più nulla di
davvero indispensabile.
La musica dei Blue Öyster Cult non
è di difficile ascolto. Abbiamo quindi pensato di evitare una descrizione
millimetrica degli album e di offrire invece una selezione in grado di fungere
da "best immaginario", fermo restando che i titoli citati non
esauriscono quanto di bello il gruppo ha prodotto.
Sia consentito un ricordo personale.
Nel dicembre del 1980 ci trovavamo a una festicciola
pre-natalizia insieme a un manipolo di militari statunitensi che prestavano
servizio nella vicina base NATO. Gli ascolti di quella sera: Scary Monsters di
David Bowie, Gaucho degli Steely Dan e One Trick Pony di Paul Simon (non il
nostro album preferito, ma la circostanza che un gigantesco afroamericano con
il grado di sergente indicasse con evidente compiacimento alcuni dei musicisti
presenti – Steve Gadd… Richard Tee… – ci consigliò la discrezione).
La padrona di casa, nostra amica, decise di prenderci
garbatamente in giro chiedendoci perché non ci piacesse nessun gruppo di rock
"normale".
"Non è affatto vero", fu la nostra replica.
"Che mi dici di Hawkwind e Blue Öyster Cult?"
La nostra amica ci guardò divertita e disse: "Ma
perché, secondo te quelli sarebbero gruppi di rock normale?".
Then Came The Last Days Of May
Bellissima
ballad che inaugura una lunga serie di composizioni scritte e cantate da Donald
Roeser e che era in grado di fare faville dal vivo, il brano nasconde sotto
un’apparente serenità la storia di tre ragazzi che volevano fare fortuna
comprando e vendendo una grossa partita di "roba". Ma il loro autista
e tramite li fa fuori in mezzo al deserto. (Una storia vera.)
She’s
As Beautiful As A Foot
Mentre
gli interpreti si interrogano sul significato del testo, opera di Richard
Meltzer, il brano spande un sottlle profumo "indiano" di psichedelia
che lo manda dritto tra i "classici minori" della formazione.
Cities On Flame With Rock And Roll
Momento
"rock" per eccellenza, a lungo cavallo di battaglia del gruppo dal
vivo, il brano vive dell’interpretazione vocale decisamente "sopra le
righe" del batterista Albert Bouchard. Ottime le chitarre di Roeser.
Wings
Wetted Down
Assolo
"psichedelico" su due canali per la prima delle ballad dal tono
funereo scritte dal bassista (e tastierista) Joe Bouchard. Ci si interroga se
le ali siano quelle di vampiri o di elicotteri (in Vietnam). (E sì, sappiamo
che gli elicotteri non hanno le ali.)
Mistress Of The Salmon Salt (Quicklime Girl)
Morte
e decomposizione nel ciclo della vita sembrerebbero (il condizionale è
d’obbligo) caratterizzare il testo (di Sandy Pearlman) di un brano la cui
musica misteriosa, oscura e dai molti piani chitarristici fa un figurone.
Albert Bouchard l’autore, Eric Bloom il cantante, Roeser alle chitarre.
Dominance
And Submission
Di
nuovo la coppia Pearlman/Albert Bouchard per uno dei momenti più
"mossi" del gruppo dal vivo. Perché la notte di capodanno del 1964
era "l’ultima barriera"? Qual era il compito delle radio? Grande
batteria di Bouchard, che esplora tutte le sfumature vocali possibili,
dall’isterico al sinistro. Come bonus, un grande assolo di chitarra di Roeser.
Cagey
Cretins
Eric
Bloom sfodera il suo miglior naso, Albert Bouchard urla dallo sfondo, per una
storia nervosa. Musica Bouchard, testo Meltzer, grande batteria, ottime
chitarre.
Astronomy
Un
classico della melodia, il brano è soprattutto opera del bassista Joe Bouchard.
Ottimo naso di Bloom, testo di Pearlman ("Call me Desdenova"),
momento culminante in concerto con laser accecanti e lungo assolo di chitarra,
il brano è qui in una versione contenuta di sicuro fascino.
Subhuman
L’album
dal vivo On Your Feet Or On Your Knees rende palese l’energia del gruppo in
concerto. Non un’energia cieca e di grana grossa che va a discapito della
finezza, come questa versione dilatata di un brano da Secret Treaties dimostra
brillantemente.
Hot
Rails To Hell
Per
non essere da meno dei suoi compari, il bassista Joe Bouchard tira fuori
un’interpretazione vocale decisamente "alcolica" a illustrare gli
orrori dell’atmosfera metropolitana (nel senso del mezzo di trasporto).
Accelerazione bruciante, formidabile uscita chitarristica di Roeser,
"dive-bombing" del basso in un esplicito omaggio al Bill Wyman di
19th Nervous Breakdown.
Buck’s
Boogie
Le
radici chitarristiche di Roeser vengono rispolverate per questo brillante
strumentale che vive anche di un agile e vivace organo Hammond di Allen Lanier.
Esuberante e gioioso.
(Don’t
Fear) The Reaper
Il
brano più conosciuto dei Blue Öyster Cult, quello che
cambiò la loro vita. Un bravo a Roeser, cantante e autore.
Morning
Final
Una
sparatoria, un omicidio e la metropolitana sono i protagonisti di questa
canzone scritta e cantata da Joe Bouchard. Belle tastiere, ottimi cori,
curatissimi colori strumentali.
Tenderloin
Allen
Lanier non era un grande cantante, e saggiamente qui Eric Bloom gli presta il
suo naso interpretando un brano fantasioso, ben scritto e arrangiato, con
sezioni strumentali che non ci aspetteremmo.
Godzilla
Donald
Roeser imposta un "cartoon metal" cadenzato e riuscitissimo. Un riff
leggendario, perfetta batteria di Albert Bouchard, assolo bruciante, frase di
basso "alla Stanley Clarke", intermezzo in giapponese, e
l’inevitabile morale "History shows again and again/How Nature points out
the folly of men".
I
Love The Night
Una
storia di "vampirizzazione" che potrebbe contemplare anche l’uso di
eroina, una ballad inconfondibile di Roeser che cela sotto un’interpretazione
"pop" un lato decisamente oscuro. Gli echi sulla batteria possono
fungere da "guida a come si usavano gli echi negli anni settanta".
Nosferatu
Joe
Bouchard scrive e interpreta una musica malinconica e sinistra, Helen
Robbins/Wheels gli dà una mano con il testo, pianoforte e "string
ensemble" impeccabili – è Allen Lanier, onore al merito – voce e assolo di
chitarra finale immersi negli effetti (vedi la già citata "guida a come si
usavano gli echi negli anni settanta").
We Gotta Get Out Of This Place
Nuovo
album dal vivo, Some Enchanted Evening presenta con grinta e pulizia il
repertorio più recente. Buona aggiunta, una bella interpretazione di un
classico degli Animals, a rinfrescare le radici "British Invasion"
del quintetto statunitense.
Moon
Crazy
L’assetto
strumentale dei Doors – pianoforte preciso e scandito, chitarra sottile – fa
capolino in questo brano di Joe Bouchard, il cui scenario sonoro beneficia
grandemente del nitore scelto a scopi commerciali dal produttore Tom Werman.
"Vampiri nello spazio"? Non sapremmo. E’ certo che l’ingresso di
chitarra con sottofondo di "string ensemble" al momento dell’assolo è
decisamente emozionante, mentre la "fuga chitarristica" del finale è
uno di quei momenti "bizzarri" che il gruppo amava tirare fuori di
tanto in tanto.
Lonely
Teardrops
Cadenza
"disco" in levare, introduzione di Clavinet, "string
ensemble" in evidenza, un brano ipnotico – e, diremmo, decisamente
"tossico" – di Allen Lanier cantato alla perfezione da Donald Roeser.
Si ascolti con attenzione la finezza ritmica dell’assolo di chitarra.
Divine
Wind
La
musica cadenzata e brutale di questo brano ci fa ricordare l’assente
frequentazione del blues da parte dei Blue Öyster Cult. Qui Roeser inizia
a fare i conti con le nuove vesti chitarristiche che cominciano a imporsi
(qualcuno ricorda le discussioni "Kahler vs. Floyd Rose"?), con un entusiasmante
uso della leva del vibrato. Un naso particolarmente aggressivo e belligerante
da parte di Eric Bloom in un brano di Roeser che è un attacco all’Ayatollah
Khomeini (sono i tempi degli ostaggi che costarono la presidenza a Jimmy
Carter). "Se pensa davvero che noi siamo il Diavolo/Allora mandiamolo
all’inferno". Un roadie con la maschera di Khomeini "mostrava il
dito" al pubblico dei concerti durante questo brano.
Hungry
Boys
Solo i Blue Öyster Cult potevano fare interpretare a un gruppo di
ragazzini – si tratta in realtà di voci velocizzate – una storia da sindrome da
sospensione (crediamo da eroina, ma non è il nostro campo). Inizio con
pianoforte rovesciato, un "tiro" pazzesco di Albert Bouchard alla
batteria – qui, come su tutto l’album, con dei suoni che in tempi di microchip
faranno spuntare una lacrima ai veri rocker – e un ritmo che sembra in grado di
far schiantare il brano contro un muro.
Lips
In The Hills
Brano
dall’atmosfera apocalittica che accoglie uno dei testi più imperscrutabili di
Richard Meltzer, Lips In The Hills colloca i Blue Öyster Cult ai
vertici del Metal. Un plauso alla gola di Eric Bloom, all’accelerazione della
batteria di Albert Bouchard e alle chitarre di Donald Roeser.
Heavy Metal: The Black And Silver
Come
l’album precedente, Cultosaurus Erectus, anche Fire Of Unknown Origin beneficia
grandemente del lavoro di produzione di Martin Birch. Il momento chiave è l’hit
Burnin’ For You, brano agile e spigliato firmato Roeser/Meltzer che il
chitarrista aveva immaginato momento di punta per un prossimo lavoro solista ma
che il gruppo accolse – immaginiamo un po’ malvolentieri – per dare una
speranza in più a un album che non sembrava destinato a enormi vendite. Unico
brano suonato in trio – qui Eric Bloom è alla voce e al basso – Heavy Metal:
The Black And Silver (testo di Sandy Pearlman: "Into
the whirlpool/Where matter vanishes") sembra un brano normale
finché non tentiamo di cantare "l’inciso".
Don’t
Turn Your Back
L’ultimo
album della formazione originale si chiude con un brano che ne illustra
perfettamente la versatilità e la leggerezza in una costruzione che è al contempo
altamente sofisticata e altamente comunicativa. Ritmo "elastico" di
basso e batteria, "strappi" di chitarra in levare, tastiere
essenziali, una bella interpretazione vocale di Roeser, rilassata a dispetto
del testo (una storia di agenti segreti?). Un plauso agli autori:
Lanier/Roeser/Albert Bouchard.
Flaming
Telepaths
La
versione su singolo a 12" di Burnin’ For You in nostro possesso ospita sul
retro due brani dal vivo di recente esecuzione: Dr. Music (un sano rock’n’roll
con testo Meltzer che apriva il controverso Mirrors) e un recupero d’eccezione.
Flaming Telepaths (testo di Pearlman, e quindi: esperimenti di laboratorio
finiti male? racconti del soprannaturale? uso tossico delle vene?) giunge dal
periodo Secret Treaties e dimostra come il gruppo sia in grado di immergersi in
modo convincente, con un di più di accresciuta sicurezza, nei climi
"oscuri" di quella che è già storia. E dato che sono i tempi dei
"digital delay" e dell’"infinite repeat" anche dal vivo,
l’assolo di chitarra ne approfitta. Ma è la sinistra risata che sulle prime
sembra provenire dalla stanza di chi ascolta a caratterizzare questa versione,
chiusa dal classico e martellante "pianino" che accompagna il famoso
epilogo: "And the joke’s…/On you!" (con, ovviamente, "On
you!" in "infinite repeat").
© Beppe Colli 2021
CloudsandClocks.net | Mar. 21, 2021