Phish
Undermind
(Elektra)
La
notizia dello scioglimento dei Phish – una separazione che stavolta
pare lecito considerare definitiva al di là di ogni ragionevole
dubbio – si è immediatamente diffusa in tutto il mondo via Internet
cogliendo tutti assolutamente di sorpresa: era ormai imminente la pubblicazione
del nuovo album, Undermind, già inciso e missato; ed era già
programmato il tour estivo, meno esteso e sfibrante di quelli che il
quartetto del Vermont era solito effettuare prima di quello "extended
hiatus" che avrebbe dovuto ritemprare le forze e rifondare la personalissima
attitudine a coltivare l’inatteso che nel corso di un ventennio aveva
reso i Phish un prezioso e vitale anacronismo. E in effetti la lunga
pausa (nel corso della quale i quattro si erano dedicati a progetti
solistici decisamente eterogenei per ambizioni, intendimenti e spessore)
sembrava avere pienamente raggiunto il suo scopo: Round Room risultava
infatti album più scattante, nervoso e vitale del suo predecessore,
Farmhouse; mentre i concerti effettuati – molti dei quali acquistabili
in forma "virtuale" – parevano mostrare un gruppo (sempre)
in grado di evitare la routine e (talvolta) di raggiungere vette di
pura trascendenza.
Ben
diversa l’opinione di Trey Anastasio, il chitarrista e indiscusso leader
dei Phish autore di un buon novanta per cento del repertorio della formazione.
Nel corso di un annuncio apparso in Rete il 25 maggio – un comunicato
la cui sobrietà non riusciva a celare un palpabile tormento –
Anastasio affermava: "Non vogliamo diventare
la caricatura di noi stessi o, peggio, uno spettacolo meramente nostalgico".
Un concetto che il musicista ha ribadito nel corso di una lunga intervista
televisiva condotta il 26 maggio da Charlie Rose durante il Charlie
Rose Show, trasmesso dalla PBS. Non eravamo ancora a quel punto, diceva
Anastasio, "però ci stavamo arrivando".
Com’è
per certi versi comprensibile, il pandemonio suscitato dall’inattesa
decisione (inattesa anche per gli altri membri dei Phish) ha relegato
in secondo piano Undermind, trattato con il sollievo dovuto allo "scampato
pericolo" (è infatti innegabile che il disco non suoni come
lo stanco prodotto di un gruppo prossimo allo scioglimento), mentre
parte dell’attenzione veniva dedicata a quanto la separazione fosse
presagibile dai testi delle canzoni. (Assolutamente nessuna traccia
di tensione anche nelle session mostrate da Specimens Of Beauty, il
film di ventisei minuti diretto da Danny Clinch che in formato DVD è
accluso alla prima edizione dell’album.)
Rimanendo
in ambito strettamente musicale, è senz’altro agevole definire
Undermind lavoro complesso e dai molti meriti, forse non sempre palesi,
né sempre facilmente leggibili. Un album dove a volte i conti
non tornano, e dove alcune scelte potrebbero forse testimoniare di un
qualche imbarazzo – se non creativo, certo diplomatico/organizzativo.
Nel
leggere il comunicato che qualche mese fa annunciava l’inizio della
lavorazione dell’album ci è parso immediatamente strano leggere
che Undermind sarebbe stato prodotto da Tchad
Blake, il quale avrebbe poi missato il tutto nei Real World Studios
di Peter Gabriel. La nostre perplessità non riguardavano (ovviamente)
le capacità di Blake, un vero asso nel trattamento "personalizzato"
dei suoni, come dimostrato – in ruoli diversi, e a volte insieme a Mitchell
Froom – su album di Peter Gabriel, Los Lobos, Tom Waits, Sheryl Crow,
Pearl Jam e Suzanne Vega (a parere di chi scrive un posto d’onore spetta
però all’album di Lisa Germano intitolato Slide, pubblicato nel
1998).
Numerosi
ascolti ci dicono che le nostre perplessità non erano infondate:
Blake immerge i Phish in un insieme di echi e riverberi che non sempre
si attagliano alla musica di un gruppo che pur nel mutare di tecnici
e produttori ha sempre mostrato una decisa affinità per certe
asciuttezze di impronta quasi frippiana (e scordiamoci immediatamente
la cassa che apriva Seven Below, su Round Room). Quando il gioco riesce
(e, a onor del vero, questo accade molto spesso: si ascolti quale buon
esempio A Song I Heard The Ocean Sing, con le sue acide reminescenze
– phasing, panning e vibrato – decisamente hendrixiane) tutto va a meraviglia;
ma a volte la nota predilezione di Blake per un gioco di contrasti –
tra i brani, e tra le singole componenti dei brani stessi – dà
l’impressione (quanto voluta?) di una mancanza di cifra stilistica unitaria.
E in un caso – la Access Me di Mike Gordon, con timbri "incongrui"
di chitarra e batteria e un sintetizzatore in stile "organo demente"
– il risultato sembra pericolosamente simile a un "novelty record".
Probabilmente chi è avvezzo alla frequentazione (semi)esclusiva
di odierne convenzioni tecniche non troverà nulla da ridire.
Da parte nostra, complici titanici tweeter al titanio, abbiamo alzato
di molto il volume dell’amplificatore ottenendo una maggiore nitidezza
dell’immagine stereo.
Una
cosa è comunque certa: già a partire dalla durata (settantotto
minuti), Round Room diceva di una grinta e di una voglia di fare che
prometteva l’abbattimento di molti steccati. Mentre Undermind (cinquantuno
minuti), peraltro ottimo album, pare rassegnarsi a quello che è
possibile qui e ora, venendo meno (per necessità, e non per dubbio
calcolo: una distinzione che crediamo abbia ancora un senso) al tacito
patto tra "il rock" e l’ascoltatore non rassegnato alla mediocrità.
Uno
strano inizio, dove Strange And Subtle Sounds (Intro), Undermind e The
Connection – quest’ultima dal contagioso entusiasmo – sembrano venire
più da un disco solo di Anastasio che da un album dei Phish (e
su Undermind il Fender Rhodes è suonato da Ray Paczkowsky, del
gruppo di Anastasio). Poi il disco decolla: A Song I Heard The Ocean
Sing è a dir poco eccellente (e a circa 4′ Anastasio fa un assolo
di chitarra che ricorda molto da vicino il Frank Zappa "single
coil" degli anni ottanta); Army Of One è una splendida ballad
pianistica cantata da Page McConnell (che strano! il suono è
quello di Round Room); Crowd Control risolve in senso rock una melodia
country; Scents And Subtle Sounds è una cosa esplosiva molto
"British" (diciamo gli Who?) dal memorabile crescendo; già
nota per essere apparsa sul triplo Live Phish 07.15.03, la ballad Secret Smile gode qui dell’apporto
di una sezione d’archi (ben) arrangiata da Maria Schneider. Ed è
questa la "vera" fine del disco, anche se i Phish hanno probabilmente
voluto controbilanciarne il retrogusto (giudicato forse troppo malinconico?)
facendola personalmente seguire da una spiritosa e "a cappella"
Grind, brano che i bene informati fanno risalire alle session di Billy
Breathes.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net
| June 20, 2004