Evan Parker
Boustrophedon
(ECM)
Se parliamo
di musica sono davvero poche le espressioni che riescono a metterci altrettanto
di malumore – e a farci temere il peggio – quanto quella di
"Specially Commissioned Pieces", in special modo quando essa va
a braccetto con "World Premiere". Il perché è presto detto: lungi
dall’esprimere un "vero amore per l’Arte", le procedure di finanziamento
che privilegiano questi aspetti del lavoro artistico implicano – e danno
per scontata – un’assoluta indifferenza per il risultato finale di tanto
scalmanarsi. Un’importante sottocategoria, e una pratica diffusa fin dalla
notte dei tempi, è quella definibile come "accoppiamento sensazionale":
laddove si scommette sul fatto che due cose già buone di per sé – come per
esempio gli spaghetti e la marmellata – risulteranno ancora più buone qualora
consumate insieme. (Nei casi peggiori il fedele scriba può sempre ricorrere
agli "interessantissimi risultati che scaturiscono dalla stridente frizione
tra entità incompatibili".)
Le
"interessanti e inattese jam session" sono sempre esistite – e
Max Roach ha duettato sia con Anthony Braxton che con Cecil Taylor. Ma in
un’epoca in cui l’Evento – o per meglio dire, l’attesa dell’Evento (viviamo
o no nel
"pointillist time"?) – è l’unica cosa che conta, tutto va sacrificato
alla novità dell’esperimento. E quindi, temendo l’approssimarsi del momento
in cui Braxton e Taylor sarebbero andati a suonare su un palco nel Cielo
insieme a Max Roach, c’è chi ha ritenuto più prudente farli salire subito
su uno stesso palco qui in Terra. Più in generale, sembra a volte che i tour
e gli accoppiamenti vengano decisi tenendo d’occhio la data di nascita –
e i risultati delle analisi cliniche più recenti.
Ci era
quindi non poco dispiaciuto, qualche anno fa, leggere di una
"collaborazione sensazionale" tra Roscoe Mitchell, Evan Parker
e musicisti assortiti: il Transatlantic Art Ensemble (più chiaro di così…).
E questo proprio perché, sia in qualità di strumentisti che di impro-compositori,
Mitchell e Parker sono da sempre tra i nostri musicisti preferiti. Cosa che
ha reso ancor più bruciante il nostro disappunto per il primo dei due album
realizzati dal "sensazionale accoppiamento".
Assemblato
in seguito ad alcune conversazioni telefoniche avvenute agli inizi del
2004, l’Ensemble in questione aveva poi effettuato alcuni giorni di prove
a Monaco nel settembre di quello stesso anno. Il 10 settembre l’ensemble
guidato da Parker ha effettuato il primo dei due concerti in programma,
con il materiale mitchelliano eseguito la sera seguente. Notissimi i nomi
coinvolti: se Mitchell (qui al sax alto e soprano) ha voluto i fidati Tani
Tabbal (batteria e percussioni), Jaribu Shahid (contrabbasso), Craig Taborn
(pianoforte), Corey Wilkes (tromba e flicorno), Anders Svanoe (sax alto
e baritono) e Nils Bultmann (viola), Evan Parker (qui al sax soprano e
tenore) ha scelto Neil Metcalfe (flauto), John Rangecroft (clarinetto),
Philipp Wachsmann (violino), Marcio Mattos (violoncello), Barry Guy (contrabbasso)
e Paul Lytton (batteria e percussioni).
Pubblicato
lo scorso anno, l’album a nome Mitchell intitolato Composition/Improvisation
Nos. 1, 2 & 3 ci aveva non poco deluso. Troppi, innanzitutto, gli ottanta
minuti di durata – eliminare il primo e l’ultimo dei brani conferiva già
una necessaria leggerezza all’insieme. Ma era stato tutto l’impianto a
lasciarci perplessi. E anche dal punto di vista delle prestazioni dei singoli,
con l’eccezione di un assolo di Parker al tenore e di uno di Svanoe al
baritono, nulla colpiva veramente. Diciamo subito che la frequentazione
successiva alla stesura della recensione non ha mutato la nostra impressione.
Difficile
effettuare ipotesi sulle cause di tale disastro, eravamo ancora più curiosi
di ascoltare l’album a nome Parker. E qui, dopo una serie di ascolti (anche
comparati) siamo pervenuti alle seguenti conclusioni, che diremmo ragionevolmente
definitive.
Boustrophedon
è un bell’album, il cui ascolto consiglieremmo senz’altro. Procedendo per
via ipotetica, diremmo che Parker ha saputo utilizzare i musicisti decisamente
meglio di quanto non abbia fatto Mitchell – e questo vale tanto per i
"propri" quanto per le loro controparti transatlantiche. Azzardiamo:
forse il tentativo di Parker è stato qui meno ambizioso, ma più
"realista"; forse la (a nostro parere) minore responsabilità da
lui richiesta ai musicisti ha prodotto un insieme più "coerente",
e senz’altro immediatamente più godibile. E’ anche vero che Parker ha diretto
e indirizzato più del suo solito, e che il materiale ha preso forma sia in
una cornice di istruzioni che per effetto di (quello che a noi sembra senz’altro
essere frutto di) un accurato lavoro di editing: molti gli stop, le assolvenze,
le dissolvenze e i contrasti che diremmo ex post. C’è ancora da dire di un
ricorso a "effetti noti" in sede di arrangiamento – cadenze, climax,
"sostegni" – atti a far ben figurare i solisti; cruciale il rapporto
tra i primi piani e i ricchi sottofondi. Ma a ben considerare è possibile
che tutto possa essere riconducibile alla lunga pratica di direzione dell’Electro-Acoustic
Ensemble.
Chiara
la struttura del CD: apre una breve Overture, chiude un Finale che vede
i musicisti presentarsi in un breve assolo; in mezzo, sei brani di lunghezza
variabile, ognuno dei quali vede due musicisti diversi – scelti in ragione
di uno per parte transatlantica – fungere da solisti, con accuratissimo
e cangiante lavoro dialogico dell’ensemble. A differenza del CD
"gemello", le note di copertina di Steve Lake sono qui complete
e accuratissime (con l’eccezione di una piccolissima svista: il flauto solista
di Furrows 1 è ovviamente quello di Neil Metcalfe, e non di John Rangecroft),
cosa che consentirà all’ascoltatore di orientarsi senza problemi. Fattore
molto importante, la registrazione è ottima.
Tom e
timpani aprono la Overture, seguiti da flauto, pianoforte, violino, viola,
clarinetto, tromba sordinata… E’ quasi un minuetto, e un’accordatura.
Chiude con accordi all’unisono.
Furrow
1 vede il flauto e il pianoforte quali solisti. C’è un gran lavoro di archi,
e un tempo immoto dall’atmosfera che diremmo non poco mitchelliana. Il
finale, con gli archi e il tocco "staccato" sul piano, riporta
senz’altro alla mente certe pagine dell’Anthony Davis e del suo ensemble
di media grandezza denominato Episteme.
Furrow
2 presenta un quieto dialogo tra il violino e la viola, note in glissando
e appropriato commento di archi e fiati in sottofondo. Chiusa che pare
"tagliata".
Furrow
3 parte in assolvenza… con clarinetto, piano, archi, contrabbasso. Il
solista è il violoncello, con armonici in evidenza, e sottofondo di archi.
Bel clarinetto con note "tenute", contrabbasso dolente. Poi pianoforte,
flauto e violoncello danno vita a un trio dal sapore cameristico. A 7′
19" c’è uno stacco (frutto di un taglio?), poi orchestrazione ellingtoniana,
tempo swingante veloce, assolo di sax alto e piano be-bop; chiusa orchestrata,
all’unisono.
Furrow
4 vede solista il clarinetto (echi di Gershwin?), poi una tromba agitata
diretta da Mitchell. L’assolo di clarinetto è meditabondo, con sottofondo
"pastorale". Dopo il secondo assolo, di tromba, il brano chiude
su una nota lunga.
Furrow
5 vede i due contrabbassi quali solisti. Inizio lento, quasi da 1984. A
circa 3′ compare un ostinato di pianoforte a due mani, lento. Poi gli archi
tutti, di nuovo i contrabbassi, di nuovo l’ostinato, stavolta in accelerazione.
La bella chiusa è in "smorzando".
Furrow
6 vede solisti Parker e Mitchell. Dopo un attacco brusco, "eroico",
Parker va in assolo sul soprano, che qui diremmo in stile "ancia sarda".
Poi il tutto si surriscalda, preparando l’atmosfera per l’ingresso del
sax alto di Mitchell. C’è un ostinato di piano ben udibile ben prima di
5′, entrano i piatti a 5′ 18", poi Mitchell a 5′ 49". Il brano
chiude classicamente, con "fanfarette", bum-bum delle batterie
e un appropriato temino.
Finale:
assolvenza, poi in rapida successione gli strumenti in assolo, con l’intercalare
di brevissimi momenti per l’ensemble. Chiusa efficace con un
"tutti".
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Apr. 3, 2008