Laura Nyro
Eli And The Thirteenth Confession

(Audio Fidelity)

Dobbiamo confessare che tutte le volte che ci è capitato di leggere frasi quali "E’ come avere l’artista che canta davanti a te, e non una semplice registrazione" ci siamo ritrovati ad alzare il sopracciglio con divertita incredulità. E non perché ci fossero ignote le differenze tra diverse stampe, di differenti nazioni, dello stesso album (sarebbe mai possibile, per chi è nato nel periodo storico del vinile?). E’ che – per dirla brutalmente – molto spesso gli amanti dell’alta fedeltà ci sono parsi decisamente più ferrati nella cavetteria che nella competenza musicale strettamente intesa.

Il lettore potrà quindi facilmente immaginare lo stupore da noi provato allorquando, giunti all’ascolto del secondo o terzo pezzo di questa nuova edizione del secondo album di Laura Nyro – il suo primo per la Columbia, e il primo sul quale si trovò ad avere pieno controllo dopo la gestione alquanto travagliata dell’album di esordio per la Verve – ci siamo trovati a pensare "Ma sembra proprio di avere Laura Nyro che canta, non sembra affatto di ascoltare un CD".

Da cui, solo logico porsi l’interrogativo: Farà differenza?

Diremmo che la stragrande maggioranza del pubblico ha mostrato con chiarezza di privilegiare aspetti quali portatilità, facilità d’uso e – siamo sinceri – "economicità" (un aspetto declinato nei modi più diversi, dallo "scaricafacile" di ieri all’odierna pratica dello streaming) rispetto a cose quali la qualità sonora. Perché questo accada con l’udito e non con la vista – chiunque sembra percepire senza problemi le differenze di definizione quando si tratta di video – è tuttora oggetto di acceso dibattito.

Di contro, il manipolo degli "Amanti del vinile" e la fiducia nel mezzo "a prescindere", in una curiosa riproposizione dell’atteggiamento tenuto da molti nei confronti del CD al momento del suo apparire.

C’è anche un "terzo settore": quello di chi ha trovato nell’odierna pratica del rimissaggio un modo per potere ascoltare "come fosse la prima volta" – perché, di fatto, così è – lavori già ascoltati per decenni.

Pubblicato da una Nyro non ancora ventunenne, Eli And The Thirteenth Confession apparve nel 1968. Acquistammo una copia in vinile statunitense – una ristampa "red Columbia" – all’incirca dieci anni più tardi. Da allora abbiamo ascoltato la prima versione in CD, diremmo degli anni ottanta, e una ristampa – sempre in formato CD – del 2002. Se quest’ultima si caratterizzava per un suono sgradevole e sgraziato (ma i tre demo acclusi come bonus track consentivano di cogliere il "rubato" pianistico della Nyro nella solitudine dello studio), le prime condividevano un suono aspro, tirato sugli acuti e tirchio nei bassi.

Il che ci porta alla considerazione della vocalità della Nyro come "aspra" e "stridula". La nuova versione di Eli And The Thirteenth Confession regala infatti alla sua voce una morbidezza e una rotondità che diremmo paradossalmente più vicine a ciò che mostra un album dal vivo quale Spread Your Wings And Fly: Live At The Fillmore East May 30, 1971 (un album, sia detto tra parentesi, che mostra quanto stretto fosse il rapporto tra la musicista e il suo pubblico: si ascolti la reazione a brani a quel tempo di bruciante attualità quali Christmas In My Soul e Save The Country) che all’edizione dell’album su Columbia.

Una faccenda – quella della vocalità "stridula" – che Laura Nyro condivide con Joni Mitchell. E qui è obbligatorio ricordare che i primi, clamorosi successi di ambedue furono dovuti a cover che per molti versi mettevano in ombra gli aspetti peculiari delle loro proposte. Va parimenti ricordato che mentre Joni Mitchell troverà grande successo in proprio, ciò non avverrà per Laura Nyro, le cui canzoni godranno di un gradimento su larga scala solo qualora rese "normali" da altri.

Curioso rileggere vecchie pagine di Rolling Stone e constatare in quanta poca considerazione alcune delle migliori penne di quel giornale – da Jon Landau a Alec Dubro, da Lenny Kaye a Dave Marsh – tenessero l’artista. Ma sono soprattutto i toni a colpire, e un’aria di chi è convinto di occuparsi di cose che a ben vedere non lo meriterebbero.

Il che suona alquanto paradossale, per un’artista che creò una sintesi di rara originalità in grado di fungere a sua volta da modello e che diede una bella spinta per quanto riguarda ciò che è "possibile" discutere in termini di testi.

L’esordio discografico intitolato More Than A New Discovery (successivamente ristampato come The First Songs) presenta bellissime canzoni "vestite" in un modo che cercava di rendere maggiormente appetibile l’artista. Eli And The Thirteenth Confession ripristina invece l’indissolubile binomio "piano e voce" quale nucleo a partire dal quale costruire un’orchestrazione. Co-produttore e arrangiatore è qui Charlie Calello, che regala la veste appropriata a ogni canzone.

La versione di Eli And The Thirteenth Confession di cui ci occupiamo è un "Hybrid Multichannel SACD" contenente una versione quadrifonica e due versioni stereo – quella ad alta risoluzione propria al formato SACD e quella propria alla risoluzione del normale CD – ambedue masterizzate da Steve Hoffman e Stephen Marsh. Il lettore sarà forse stupito nell’apprendere che chi scrive possiede solo un normale lettore CD, e che quindi la nostra decisione di procedere all’acquisto dà per scontata la non fruizione degli altri due aspetti.

Detto che "pare davvero di vedere Laura Nyro cantare davanti a noi", diciamo che è l’album tutto a venire senz’altro meglio, dalla retina dei rullanti al sordinato delle trombe al "peso" proprio al suono del sax baritono e alle corde del basso elettrico. Ed è una versione che – a differenza delle precedenti – non presenta controindicazioni qualora ascoltata a volume discretamente elevato. Chi conosce l’album non dovrebbe aver bisogno di altre sollecitazioni.

Il discorso potrebbe variare per chi non ha invece familiarità con "questo tipo di musica". La prima qualità che potrebbe risultare spiazzante è la grande varietà di stili e climi, cosa che una volta era considerata un pregio ma alla quale l’ascoltatore odierno non è più avvezzo da tempo. A ciò collegata, la grande ampiezza della "varietà interna" dei pezzi, con una dinamica vocale semplicemente inconcepibile in tempi di "linea piatta".

C’è poi una cosa che non ci sarebbe mai venuta in mente se non ci fosse capitato di leggere un dibattito in Rete a proposito delle orchestrazioni presenti sul capolavoro di Nick Drake intitolato Bryter Layter (e sul suo predecessore, Five Leaves Left), percepite quali "estranee" da ascoltatori che si indovinavano "di giovane età" e che celebravano quella "nudità" di Pink Moon un tempo considerata un limite.

L’album si apre con tre canzoni di bella e contagiosa esuberanza destinate a creare un ponte con l’album di esordio: Luckie, ritmata, orchestrata, con fiati; Lu, con fiati, chitarra "jazz" e voci multiple; e la al tempo celeberrima Sweet Blindness, con bella condotta pianistica dell’autrice.

Seguono due brani più scarni ad alto tasso di drammaticità vocale: Poverty Train è "bluesy", con chitarra acustica, vibrafono, flauto, piano, e una bella chiusa "sospesa", Lonely Women vede la presenza del sax.

In chiusura di facciata nell’album originale, Eli’s Coming è puro Gospel, con la voce sovraincisa nel più classico "call and response", pianoforte e basso elettrico elastici e propulsivi (dovrebbero essere, rispettivamente, Paul Griffin e Chuck Rainey), un’apertura di organo Hammond che non è azzardato definire storica (ancora Griffin), e una bellissima sezione fiati.

Altrettanto, se non più, composita l’ex facciata B.

Timer ricorda un musical di Broadway. Multitematica, ben orchestrata, ricca, con voci multiple.

Stoned Soul Picnic è aerea e leggera come da titolo. Un mid-tempo con sfumature R&B, begli incastri vocali, archi distesi e un ottimo basso elettrico.

Emmie ha una condotta sognante. Vibrafono, chitarra, rullante, archi, piano, timpani, arpa, il tutto in grande economia.

Woman’s Blues apre con voce e sfondo di fiati (si ascolti il bell’effetto "spezzato" sulla parola "broken") per poi esplodere in un "levare" tiratissimo con rullante, fiati, e un bel "groove" del basso elettrico.

Once It Was Alright Now (Farmer Joe) ha un drive e fiati incalzanti, si "interrompe", rilancia e raddoppia (anche qui, Paul Griffin dovrebbe essere al piano).

December’s Boudoir è forse il brano che maggiormente guadagna da questa nuova masterizzazione. Una suite in miniatura, piano, arpa, oboe, archi (un "fremito" che anticipa quelle orchestrazioni subliminali che saranno il tratto distintivo del superbo album pubblicato l’anno successivo, New York Tendaberry). Coda spettacolare per orchestra, arpa e piano.

Posta in chiusura, The Confession può ben fungere da summa dell’intero album. Apertura con arpeggio di chitarra acustica, propulsivo rullante con le spazzole, una emozionante sez. B con archi, e un raddoppio concitato dopo l’acuto di "slave" che conduce a un apice maestoso.

Eli And The Thirteenth Confession non è mai stato un album "facile", e più che mai oggi. Con l’augurio che le vendite di questa edizione rendano possibile una versione parimenti splendida di New York Tendaberry.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2017

CloudsandClocks.net | Jan. 17, 2017