Nucleus
Live
In Bremen
(Cuneiform)
Oggi
pressoché dimenticato, eccezion fatta per i cultori del jazz-rock
parlato con pronuncia inglese (ma è una minoranza decisamente
più numerosa di quanto comunemente creduto), il gruppo dei Nucleus
ha per un breve momento – diciamo il 1970 di Elastic Rock e di We’ll
Talk About It Later – contraddistinto un’epoca. E anche se oggi è
forse difficile crederci, quei due dischi – e la loro influenza – erano
a quei tempi imprescindibili. Le cose andarono bene anche con il successivo
Solar Plexus e per qualche tempo ancora (vedi Belladonna, ’72), ma il
gruppo si trovò privato dei suoi elementi più distintivi,
alcuni dei quali confluirono nei Soft Machine. Fu a quel punto che il
jazz-rock (o meglio, fusion) di marca statunitense (Return To Forever,
Mahavishnu Orchestra) giocò con successo la carta dell’amplificazione
e del virtuosismo innanzitutto chitarristico, lasciando commercialmente
nella polvere il suono tanto più discreto della controparte inglese.
Riff
rockeggianti, una chitarra agile e disinibita, temi all’unisono tromba/sassofono.
In fondo la ricetta era tutta qui – chi non ricorda Song For The Bearded
Lady, il brano che apre Radio Bremen? Un’ora e mezza di concerto, registrazione
tutto sommato molto soddisfacente, e perfettamente in grado di trasmettere
senso e atmosfera da teatro affollato di quella sera. Puntuali al loro
posto la tromba e il flicorno del leader Ian Carr, davisiano senza troppi
complessi. Senz’altro il migliore solista, Brian Smith ai sassofoni
e al flauto. Regista della situazione, Karl Jenkins (sua buona parte
del materiale e i brani più celebri), buono all’oboe e senz’altro
decisivo al piano elettrico, dal quale fa partire i celebri riff. Di
imprescindibile sostegno la batteria di John Marshall. Rispetto alla
formazione classica mancano qui il basso di Jeff Clyne, sostituito da
Roy Babbington, e la chitarra versatile e innovativa di Chris Spedding,
qui sostituita dalla saturazione aggressiva di Ray Russell, che firma
Zoom Out, il bel brano di sapore di calypso che chiude il primo CD.
A
brani famosi quali Torrid Zone, Elastic Rock e Snakehips’ Dream si affiancano
alcune belle improvvisazioni disinibite "da club"; e il tiro,
l’affiatamento e l’autentica convinzione che con tutta evidenza animava
i musicisti sono abbastanza per non farci rimpiangere il tempo trascorso
ad ascoltare questi CD.
Alla
fine dell’ascolto si affaccia alla mente uno scomodo pensiero: a differenza
dei Soft Machine, quella dei Nucleus era una musica che si godeva senza
porsi troppi problemi (che non è la stessa cosa che dire "senza
prenderla troppo sul serio"). Eppure questa musica funzionò.
(Piccolo aneddoto: nella primavera del ’74 i Soft Machine della formazione
di Seven – cioè a dire, costituiti per tre quarti da ex membri
dei Nucleus – con l’aggiunta di Allan Holdsworth aprirono il concerto
con la citata Song For The Bearded Lady: il posto – un teatro da 1.000
e più sedie, gremito all’inverosimile – venne giù.) Corre
allora il pensiero a formazioni più vicine a noi e che in fondo
non sono state più inventive o innovative ma che un battage pubblicitario
con pochi eguali – ancorché "alternativo" – ha sapientemente
venduto ben oltre i (non inesistenti) meriti, salvo poi ritrovarsi tra
le mani un cavallo spompato. (Troppo criptico?)
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| June 24, 2003