Nota per i lettori,
2011
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di Beppe Colli
Jan. 27, 2011
Niente panico, per favore!
Ecco i nudi fatti esposti in maniera chiara e concisa.
A partire da oggi Clouds and Clocks si prende un lungo periodo
di riposo. Quanto lungo non sapremmo dire. Sappiamo solo che non sarà breve,
e che l’esito di questo periodo di riflessione sarà "aperto". Il
lettore potrà, sol che vorrà, tracciare un parallelo con l’ormai celebre
"extended hiatus" del quartetto statunitense dei Phish.
Il nostro webzine non "chiude". L’affitto dello
spazio web verrà pagato come al solito, i materiali rimarranno accessibili
alla lettura e alla consultazione, insomma, "business as usual".
Il che è soltanto ovvio, se riflettiamo su quanti siano oggi i link (di musicisti,
fan, case discografiche, distributori, risultati di Google e voci di Wikipedia)
che da tutto il mondo portano a materiali (soprattutto in lingua inglese)
di Clouds and Clocks. Ci piace anche immaginare che persone di età più giovane
possano trovare qui, se non proprio una "nuova frontiera", un modo
diverso di porsi le domande.
E questa è la fine dei nudi fatti.
Ovviamente queste non
sono decisioni che si prendono all’improvviso. Il lettore potrà quindi agevolmente
rintracciare il nostro spostarci lungo un continuum nella successione degli
editoriali in cui tentavamo di fare il punto della situazione (quella "generale",
non "la nostra"). E’ pacifico che il nostro decrescente entusiasmo
nei confronti dei nuovi materiali che abbiamo avuto modo di ascoltare non
è ascrivibile a "taedium" soggettivo (ne parliamo tra poco). Piuttosto,
esso va in parallelo all’accentuarsi di quelle dinamiche sfavorevoli a ciò
che noi chiamiamo "musica di qualità". Purtroppo, come già argomentato
varie volte in passato, si tratta di
"tendenze" di lungo periodo che non pare verosimile immaginare
come reversibili. Lungo il continuum, il 2010 ci è parso però un anno spartiacque,
almeno a giudicare dal numero di musicisti le cui attività hanno subito un
arresto che non ci sentiremmo di definire temporaneo.
Va da sé che, in qualità di persone adulte e responsabili,
ci siamo interrogati a lungo sul nostro stato di salute. Forse eravamo anche
noi vittime del tristemente famoso Morbo di Meltzer? Com’è noto, il morbo
prende il nome dal critico statunitense Richard Meltzer. Segni caratteristici:
il paziente comincia a pronunciare, con frequenza via via crescente, frasi
quali "La musica non è più quella di una volta", "Il rock
è morto nell’anno…", "Il commercio ha spento ogni creatività" e
così via. La triste progressione della malattia è contrassegnata da un fatto
curioso: man mano che il tempo passa il punto in cui le cose hanno iniziato
ad andar male si sposta inesorabilmente all’indietro.
E in effetti abbiamo cominciato a notare il crescente fastidio
con cui ci accorgevamo che l’ascolto del nuovo album X, stupido e dilettantesco,
ci toglieva ogni possibilità di rivisitare il vecchio album Y. Ma questo
è un punto che va subito chiarito e che è tipico della situazione dei
"boomers": una grande quantità di album innovativi è stata ascoltata
in età verde e su impianti di qualità orribile. Il crescere delle conoscenze,
l’affinarsi dell’orecchio e il migliorare degli hi-fi a disposizione rende
l’ascolto di quei materiali qualcosa che va molto al di là di un recupero
nostalgico. (Siamo coscienti che questo è un punto non semplice da capire
per chi ha sempre praticato l’ascolto "a chilo" o non si è mai
posto problema alcuno. Ed è una tipologia in quantità crescente.)
Il che va a combinarsi con un fattore pragmatico fondato su
incontrovertibili dati biologici: nel (poco) tempo che resta, decidiamo di
ascoltare questo o quello? Un dilemma una volta riservato ai possessori –
ovviamente adulti – di ampie discografie, ché la disponibilità concreta di
album "classici" pubblicati solo alcuni anni prima si rivelava
spesso problematica. Ma oggi, al tempo di "Tutto in Rete, e gratis"?
Crediamo davvero che quelle copertine dedicate ad artisti "del passato" siano
rivolte in misura preponderante ai boomers? Facciamo un esempio di comodo,
avendo davanti agli occhi la copertina del più recente numero di Mojo: crediamo
davvero che un ragazzo sceglierà di ascoltare l’ultimo di John Somebody invece
di un album storico di Neil Young? Chi non ha capito questo ha capito
ben poco: ascoltare Don’t Let It Bring You Down vuol dire ascoltare anche
una Martin fatta di buon legno, un microfono dalla resa "musicale",
un pre e un banco di registrazione e missaggio adatti alla bisogna, un registratore
analogico con il nastro che viene morbidamente saturato dal segnale; ascoltare
la parte solista di Danger Bird vuol dire anche ascoltare una chitarra elettrica
dove i pick-up, tipo e diametro delle corde, la leva del vibrato, tutta la
catena del segnale fino ai coni e poi i microfoni e tutto il resto creano
un suono complesso che il nostro orecchio trova stimolante indagare, e ciò
a prescindere dalla nostra comprensione tecnica del fatto. E ora ascoltiamo
il nuovo di John Somebody.
La nostra decisione
di prenderci una pausa trova uno sfondo (che diremmo drammatico) nel fatto
che a noi piace ascoltare musica che ci risulta nuova, e la nostra carriera
di spettatori di concerti è lì a dimostrarlo: dai Pan Sonic ai Chokebore
a Meira Asher non ci siamo negati nessuna porcheria. Svogliati nell’approccio
in Rete, se si tratta di nuovi album abbiamo in serbo la proverbiale "arma
da fine du mondo": un negozio ben fornito il cui proprietario ascolta
paziente i nostri commenti sui nuovi materiali. L’operazione è semplice:
a sinistra (prospettiva cliente) ci sono le mazzette dei giornali (non si
intende qui fare alcuna allusione a fattori in grado di "ammorbidire" i
pareri, si tratta semplicemente della pila dei mensili), a destra le novità.
Quindi: Disco del mese a sinistra (recensione), Disco del mese a destra (il
CD). Azzardiamo: di recente non poche recensioni ci sono parse recare con
sé un tono dubbioso, un’enfasi insicura di se stessa. Pochezza dei materiali
o presa di coscienza di una crescente irrilevanza? Il dilettantismo resta
quello di sempre.
Ovviamente la scelta non è mai tra "il passato" e
"il presente", e per fortuna il numero degli album di fresca stampa
da noi apprezzati nel corso degli ultimi anni, pur non strabiliante, è tutt’altro
che esiguo. Però ci permettiamo di far notare che se affermare che
"la musica è finita nel 19…" è palesemente assurdo, dire "ci
sarà sempre buona musica" non lo è meno, e proprio per la disparità
sempre crescente tra l’investimento (in tempo e in denaro) necessario a fare
musica e la sua potenziale remunerazione. Un giornale che si pone come "bollettino
delle nuove uscite" sostenuto in misura preponderante dalla pubblicità
degli stessi soggetti che distribuiscono le uscite di cui il giornale si
occupa non ha alcuna necessità di tener presente "il quadro complessivo".
Ma gli altri?
E a proposito di quadro
complessivo è con sempre maggiore perplessità che ci troviamo a riflettere
sulle odierne possibilità di remunerazione dei musicisti. Siamo quindi rimasti
sbalorditi nel leggere un recente articolo del critico statunitense Ann Powers
(una persona che non si può certo definire scema). Avevamo già letto degli
interventi di Bob Lefsetz – l’avvocato che si occupa di ambiti collegati
all’entertainment – dove si ipotizzava che vendere "una serie di piccoli
oggetti singoli distribuiti nel tempo" al posto dell’album come oggetto
unico potesse rivelarsi operazione remunerativa per artisti e case discografiche,
e solo modo per "fidelizzare" un pubblico come quello odierno.
In pop music, a whole new way of doing business. Questo il
titolo dell’articolo di Ann Powers pubblicato sul Los Angeles Times in data
January 16, 2011. Qui di seguito alcuni stralci.
"Wayne Coyne dei Flaming Lips ha detto a un giornalista
di Rolling Stone che il gruppo ha in programma di registrare e condividere
una canzone al mese invece di produrre un altro album tradizionalmente inteso.
(…) "Vogliamo provare a vivere attraverso la nostra musica mentre
la creiamo, invece di distribuire una collezione degli ultimi due anni della
nostra vita."
A noi suona strano.
"Questo è parte di una tendenza più ampia che tocca tutti
gli angoli della cultura. Alcune voci isolate professano ancora la loro predilezione
per dei capolavori all’antica. (…) Però, in misura crescente, artisti che
operano in generi e media disparati sperimentano modi di abbattere le vecchie
gerarchie tra lavoro alto e basso, casuale e formale – e persino tra finito
e no."
E cosa sarebbe un lavoro "non finito"? E chi potrebbe
essere interessato ad acquistarne uno?
"La grande musica oggi sta diventando sempre più disponibile
in modi che ci costringono a riconsiderare quello che sentiamo e come lo
sentiamo. Per mezzo secolo i musicisti e i fan si sono raccolti attorno a
due poli: l’album e il singolo. (…) Il problema è che noi non abbiamo ancora
inventato un linguaggio per descrivere l’area sempre più vibrante che si
situa tra l’album di studio e il singolo di successo (…), questo territorio
di rimissaggi e facciate B ed EP e nastri fatti in casa. E nel 2011 questo
territorio è sempre di più il luogo dove le cose accadono."
"E questo non perché gli artisti abbiano smesso di fare
album profondi, complessi, coerenti. (…) I musicisti stanno cominciando
ad acconsentire a esporsi creativamente in modi molto vicini al tempo reale."
Fantastico!
"Gli ascoltatori – e in special modo quel tipo particolare
di ascoltatori che sono i critici e la gente che popola quell’iceberg alla
deriva conosciuto come "industria della musica" – devono trovare
modi per valutare con accuratezza questo lavoro, promuoverlo, aiutarlo a
trovare il suo spazio accanto alla uscite "vere e proprie"
che dominano ancora le liste di fine anno, le sezioni delle recensioni e
i piani di vendita."
Chiaro, no?
Un nostro amico ci ha inviato questo commento in proposito:
"Traendo le logiche conseguenza dal suo modo di ragionare, se qualcuno
dei Flaming Lips dicesse ‘Tutta la mia vita è ridotta a una serie di interazioni
con il mio smartphone della durata di quindici secondi, quindi d’ora in poi
produrrò solo spezzoni di musica della durata di quindici secondi creati
nel mezzo della mia frequentazione di twitter, e i miei agili fan avranno
quindici secondi per catturarli sul mio sito web’ allora lei scriverebbe
quanto perfettamente moderno sia tutto ciò".
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net | Jan.
27, 2011