Nove
anni
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di Beppe Colli
Nov. 26, 2011
E così – com’è vero
che il tempo passa più velocemente quando ci si diverte! – un altro anno
se n’è andato, e Clouds and Clocks riesce a festeggiare un altro compleanno:
il nono. Solita occasione per tracciare bilanci e cercare di individuare
prospettive possibili.
A questo punto ci vediamo costretti a rivelare un piccolo
fatto di natura tutto sommato personale: un lettore ha gentilmente promesso
di inviarci una T-shirt con una scritta che recita "Dour Power!".
Il riferimento – che il lettore ci precisa essere cordiale, come testimoniato
dal termine "affectionate" – è a quello che molto spesso è il nostro
modo di vedere le cose, che qualcuno non di rado definisce "apocalittico" e
che nel caso in questione potremmo definire "uno sguardo tetro e pessimista
oltre ogni dire sugli esiti possibili" (ma questo sulla maglietta non
ci entrerebbe).
E non è che in questo non ci sia molto di vero, ma fermarsi
qui vorrebbe dire raccontare solo metà della storia. Nel nostro atteggiamento
c’è molto di pragmatico, nel senso del
"futuro condizionante" o della "utopia negativa": "le
cose potrebbero andare in questo modo, quindi se questo esito non ti piace
fai così e così" (che è poi il classico "se… allora"). A
volte l’analisi ci potrebbe dire che l’esito è ineluttabile, ma anche questo
non sarebbe un risultato inutile: "se cerchi un nuovo paradigma di compensazione
per il lavoro dei musicisti, beh, sappi che alle condizioni attuali esso
non esiste" ci farebbe quanto meno risparmiare tempo.
Se ben capiamo, le
vendite di musica registrata continuano a scendere, con la crescita dell’acquisto
dei file digitali (una crescita che qualcuno vorrebbe destinata a ulteriore
aumento – un’asserzione, questa, contestata da molti) che non riesce a compensare
il calo vertiginoso dell’acquisto delle copie "fisiche", anche
in virtù delle diverse tipologie di oggetti, laddove il file è molto spesso
quello di un singolo brano e la copia fisica un CD a lunga durata.
Ma se limitiamo lo sguardo a chi ha vent’anni o meno, viene
fuori – e questo sembra un tratto comune a tutte le nazioni del mondo occidentale
– che non solo l’acquisto è quasi inesistente, ma che pagare per qualcosa
che è gratis appare un comportamento estremamente bizzarro e bisognoso di
una spiegazione. E la cosa – che si ammanti di giustificazioni ideologiche
o che indossi le vesti di un pragmatismo che basta a se stesso in quanto
comportamento diventato ormai "tradizione" – non è affatto limitata,
come qualcuno vorrebbe, ai generi di musica "da classifica" e "commerciali".
Qui, come già detto più volte, la variabile "età/cultura" è in
grado di spiegare molto di più (il che non esclude, ovviamente, il ben noto
fenomeno dei "nonni che scaricano").
La "cosa" di successo – sia essa canzone, gruppo,
film, o altro – viene sempre più ad assumere le caratteristiche del gadget,
obsolescenza compresa. Va da sé che il consumatore-tipo non "cresce",
e quindi diventa sempre più esigua quella fascia di pubblico sulla quale
un artista "difficile" poteva un tempo contare. E’ ovvio che se
parliamo di "auto-percezione" c’è sempre un certo numero di persone
che pensa a sé come "amante del difficile e dell’insolito", ma
un’occhiata alla "lista degli oggetti" è in grado di raccontare
una storia ben diversa.
Inutile, a questo punto, parlare di "ruolo della critica".
Ma qui ci pare di poter dire che il fondo si avvicina a velocità vertiginosa.
Un esempio recente: sul magazine di uno dei più noti quotidiani italiani,
un servizio di due pagine su Brian Eno ci ricordava che "fondatore del
gruppo dei Roxy Music, Eno ne era il chitarrista".
I dibattiti in Rete
più stimolanti che ci è capitato di leggere di recente? Senz’altro "E
le case discografiche, saranno in grado di sopravvivere in un mondo fatto
solo di file digitali da scaricare?" e "Ma è vero che i CD cesseranno
di esistere alla fine del 2012?".
Quella della fine del CD – nel senso che ne cesserà la fabbricazione
in quanto oggetto fisico, come già successo con le cassette audio e le macchine
per scrivere – è una discussione interessante, che tira in ballo la nozione
di "volume". Se i lettori ottici che garantiscono grandezze di
produzione – quelli contenuti nei computer e sulle automobili – cedono il
passo a un modo diverso di immagazzinare e leggere i dati verrà meno la ragione
stessa del profitto. La questione era già nota. Quella che si presenta come
nuova è l’accelerazione della velocità di cambiamento, che si ritiene potrebbe
riverberarsi anche sulle vendite di quei cofanetti che traggono (almeno)
parte del loro appeal dalla possibilità di rimanere anche in futuro "beni
desiderabili" (da rivendere) e che potrebbe aver avuto una sua parte
nel ridimensionare, o nel destinare a una diversa tipologia, uscite programmate
da tempo.
Quel che è certo è che il prospero futuro contraddistinto
da file audio ad alta definizione venduti ad alto prezzo non pare destinato
a realizzarsi (come è stato notato, chiunque è in grado di distinguere un’immagine
ad alta definizione da una scadente, mentre lo stesso non vale per l’audio).
Ne consegue che le case discografiche come oggi le conosciamo
sono destinate a estinguersi, e qui i più ostentano indifferenza: quando
mai le case discografiche hanno avuto a cuore le ragioni dell’arte e della
musica difficile? Il discorso sarebbe lungo e complesso, ma per gli scopi
del presente scritto basterà dire che il sistema basato sulla musica registrata
per la quale era normale pagare un prezzo teneva in vita un insieme di studi,
tecnici, produttori e attrezzature (in breve, il know-how riguardante il
processo decisionale necessario a mettere la musica su disco, arrangiamenti
inclusi) che è del tutto al di fuori della portata del singolo musicista "padrone
di se stesso" e che è fatalmente destinato a scomparire.
E’ ovvio che quanto appena detto potrà sembrare un argomento
di discussione alquanto futile: se le case discografiche sono destinate a
scomparire e se per i musicisti che fanno musica "difficile" non
cambierà quasi nulla, perché perdere tempo? Forse la discussione non perderà
le sue caratteristiche di futilità, ma ci fa piacere dire quanto segue.
Per motivi indipendenti
dalla nostra volontà – il laser del nostro lettore CD principale era bisognoso
di assistenza – ci è capitato di ascoltare un numero di LP decisamente superiore
a quanto per noi è normale. Come ci capita sempre in questi casi, siamo rimasti
stupiti dall’aumento del numero delle ore che eravamo in grado di dedicare
all’ascolto continuativo di musica senza quello spiacevole senso di fatica
che dopo poche ore fatalmente si presenta ascoltando CD (precisiamo che i
due apparecchi grosso modo si equivalgono, senza quelle asimmetrie – una
testina da 12.000 dollari e un lettore CD da 400 – giustamente oggetto di
battute feroci). Come sempre abbiamo notato che la manopola del volume andava
decisamente verso destra ma che il suono non ci pareva mai "troppo forte".
Si tratta di fatti che, se non universali, sono abbastanza diffusi da escludere
una idiosincrasia personale.
Precisiamo che uno degli album in vinile di più recente uscita
tra quelli in nostro possesso è quello del 1990 intitolato Robin Holcomb
(il primo tutto di canzoni inciso dalla musicista). Si escludono quindi nuove
ristampe e versioni in vinile di album digitali.
Grande lo stupore nel constatare quanto la
musica da noi ascoltata nel corso degli ultimi vent’anni si sia immiserita,
in quanto insieme sonoro dotato di fascino e coerenza, fatto il paragone
con il
"catalogo storico" da noi posseduto. Ci sono (ovviamente!) delle
eccezioni, ma è forte la sensazione che la musica registrata abbia velocemente
percorso un lungo cammino all’indietro. Va da sé che le cose possono essere
viste diversamente per un quartetto d’archi o un duo di pianoforte e sassofono,
e ovviamente una musica "innovativa" è in grado di far passare
in secondo piano tante cose (ma quante volte ci è capitato di ascoltarne
negli ultimi tempi?). Tutto ciò ben spiega il tedio che sempre più spesso
si impadronisce di noi durante l’ascolto dei non pochi CD che ci vengono
gentilmente inviati e la crescente dose di "ascolto militante"
necessario a non aumentare ancor di più il numero dei CD messi lestamente
da parte.
Volendo ragionare
in una prospettiva macro non sono pochi i paragoni che è possibile tracciare
e le somiglianze che non pare azzardato rinvenire, prima fra tutti la progressiva
scomparsa dei "corpi intermedi" e il sommarsi di compiti che il
singolo assume su di sé, spesso in uno spirito di libertà. Su tutti, l’aumento
della "autonomia" – di "farsi il proprio palinsesto",
di cercare in Rete quello che più ci piace senza sottostare alla
"dittatura" di chi (i critici!) vorrebbe imporci una scelta basata
su gusti che non sono i nostri. Se però guardiamo alla "forma" dei
processi è difficile non pensare che la libertà di cercare in Rete somiglia
(pericolosamente) al risparmio ottenuto facendo benzina da sé o compiendo
tutte le operazioni richieste per acquistare in un grande magazzino, nastro
trasportatore e addebito tramite carta di credito inclusi (purtroppo per
gli artisti, l’efficacia dei "sistemi di sorveglianza" messi in
atto per impedire i furti differisce non poco!). Mentre sembra di poter cogliere
la crescente sensazione che il pendolo si sia spostato un po’ troppo in direzione
dell’autonomia e dell’atomismo, e che forse un po’ di regolazione in più
non sarebbe male.
Quel che è certo è che viviamo nel "tempo puntillistico",
con tutto quel che ne consegue. (Sembrerà banale, ma quante carriere grandi
e piccole hanno avuto origine da quel piccolo gesto che è leggere "chi
suona cosa dove" sulla copertina di un LP e passando i giorni a unire
i punti nelle discografie?)
Qualche tempo fa il quotidiano The Guardian (da quelle parti
l’usanza di stilare liste è, come ben sappiamo, cosa normale) chiese ai lettori
di segnalare canzoni il cui oggetto fosse il ricordo o il rimpianto del primo
amore. Risposte a centinaia, classifica presto fatta: molte canzoni degli
anni cinquanta, moltissime degli anni sessanta, un buon numero degli anni
settanta, poco e niente degli anni ottanta, pochissime degli anni novanta,
qualcosina degli anni duemila.
Lasciamo questo aneddoto alla vivacità intellettuale del
lettore e ci mettiamo in attesa di quella famosa T-shirt.
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| Nov. 26, 2011