Musica
Urbana
Musica
Urbana
(PDI)
In
un non recente passato fonti solitamente attendibili ci avevano reso
consapevoli della trascorsa esistenza di una formazione spagnola "non
allineata" denominata Musica Urbana: un quartetto attivo nella
seconda metà degli anni settanta il cui linguaggio musicale –
definibile in prima approssimazione come contiguo al jazz-rock – veniva
detto figurare al meglio sull’omonimo album registrato e pubblicato
nel 1976. Giunti ormai fuori tempo massimo per acquistare il vinile,
non avevamo mai avuto occasione di imbatterci in una ristampa in formato
CD.
Va
detto immediatamente che Musica Urbana è album di cui è
estremamente facile parlare bene e che ci parrebbe poco appropriato
(prima ancora che controproducente) classificare alla voce jazz-rock
(o rock-jazz o fusion). Diremmo a tratti evidenti le affinità
con il linguaggio "jazz-rock" di Frank Zappa nel suo periodo
"funky" (diciamo di album quali Roxy & Elsewhere o The
Helsinki Concert: è la formazione che comprende George Duke e
Ruth Underwood) – si ascolti lo scattante tema del brano iniziale, Agost,
dove le tastiere vengono doppiate da nacchere (!) che riportano subito
alla mente le zappiane marimba. Ma affiorano anche evidentissime influenze
in stile Hatfield And The North: quelli più jazzati, per l’appunto;
e quelli dalle atmosfere intricate tipiche della penna di Dave Stewart
(i riferimenti più immediati in proposito sono Font e Caramels
De Mel). Curioso notare come il gruppo da un lato risenta dell’influenza
degli Hatfield And The North, mentre in alcune soluzioni sembri poi
quasi anticipare i National Health.
(Se
sottolineiamo queste affinità non è certo per svilire
la musica del quartetto, ma per evitare il formarsi di quelle aspettative
che seguono a proclami in stile "Ed ecco a voi la (ri)scoperta
di un idioma rivoluzionario ormai dimenticato!". Sarebbero aspettazioni
esagerate, destinate immancabilmente a rimanere deluse. Il disco è
bello lo stesso senza bisogno di esagerazioni.)
Musica
complessa ma accattivante dall’andamento e dall’orchestrazione intricati:
benvenuta, quindi, la nitida registrazione. La quasi totalità
delle composizioni porta la firma di Joan Albert Amargós, fulcro
del gruppo anche in senso strumentale: molte le tastiere (piano acustico
Steinway, elettrico Fender, Clavinet Hohner, Mini-Moog) e i fiati (sax
soprano, clarinetto, flauto, trombone). (Che sarà mai la "xoulet
i violins Logan"? Forse la "tastiera violini" della Logan?)
Scattante e preciso il batterista e percussionista Salvador Font, ben
coadiuvato dal bassista Carles Benavent. Non appariscente ma tutto da
godere l’apporto del chitarrista Lluís Cabanach. Si aggiungono
le nacchere di Aurora Amargós e le tastiere assortite di Lucky
Guri.
Si
diceva di una musica complessa, e in effetti le composizioni sono evidente
frutto di un meticoloso lavoro di cesello: sviluppi intricati ma logici,
multitematicità; qualità che ben si accoppiano a una certa
semplicità di fondo che diremmo quasi folklorica.
Con
l’augurio che oltre a costituire un gradito accrescimento per la collezione
degli anagraficamente consapevoli questo album possa anche essere il
primo passo per la (ri)scoperta di tutta una fase della musica rock
europea oggi assolutamente ignorata (da Barricade 3 di ZNR agli Etron
Fou Leloublan di Face Aux Elements Dechaines).
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2005
CloudsandClocks.net
| Jan. 2, 2005