The
Muffins
Double
Negative
(Cuneiform)
Pressoché
obbligatorio definire i Muffins come il gruppo più canterburiano
del panorama rock statunitense. Con un esordio decisamente fuori tempo
massimo per le sorti commerciali del genere – la fine degli anni settanta
– il quartetto venne immediatamente classificato alla voce "curiosissima
anomalia": una formazione "progressive" di stanza a Washington
D.C. e che traeva ispirazione da Soft Machine, Caravan e Hatfield And
the North e dalla corrente "Rock In Opposition" piuttosto
che dai numerosi esponenti dal linguaggio tanto più pomposo (e
dal successo commerciale incomparabilmente maggiore) attivi sulle due
sponde dell’Atlantico. Piacque non poco l’esordio di Manna/Mirage, e
così pure il successivo 185, che vedeva la partecipazione di
quel Fred Frith che aveva già voluto i quattro per le session
del ben noto (e perennemente ristampato) Gravity. Poi lo scioglimento,
con qualche raccolta di inediti (si veda Open City) quale consolazione
per i fan.
Due
anni or sono l’inatteso ritorno discografico: Bandwidth. E se è
ovvio che in simili occasioni è forte il timore di trovarsi di
fronte all’ennesima minestra riscaldata, pure diremmo che l’album non
demeritava. Si ritrovavano l’agile sezione ritmica (il basso di Billy
Swann e la batteria di Paul Sears), i fiati di Thomas Scott e le tastiere
e le composizioni – nonché il sax baritono e il clarinetto basso
– di Dave Newhouse; pertinente l’aggiunta del trombone di Doug Elliot.
Forte affiatamento strumentale, assente ogni retrogusto stantio. Non
era certamente quello l’album che avremmo consigliato quale migliore
esempio di innovazione musicale per l’anno 2002, ma Bandwidth valeva
senz’altro un ascolto attento anche da parte di chi non fosse un fan
sfegatato del genere (a proposito: è solo una nostra impressione
o agli album dei gruppi "progressive" viene chiesto il superamento
di prove d’esame decisamente più ardue della media corrente?).
Metabolizzata
la gioia del ritorno, rimanevano ovviamente aperti tutti gli interrogativi
sulla possibile evoluzione della storia (e del linguaggio musicale?).
Double Negative si presenta oggi come il classico lavoro "problematico"
fatto apposta per imbrogliare le carte. Sembra di poter dire di un’accentuata
impronta jazzistica – si veda anche la partecipazione di Marshall Allen
– e non lo diremmo un male. Alcuni temi (Exquisite Corpse, They Come
On Unknown Nights, Cat’s Game, Angel From Lebanon) sono senz’altro apprezzabili.
Il ritrovato trombone Doug Elliott si ascolta con piacere. Ma i difetti
ci sono. L’aggiunta di un quartetto d’archi consente di ampliare la
tavolozza dei climi, ma non sempre ciò si rivela un bene. Alcune
atmosfere, forse appropriate come colonna sonora filmica, ci hanno lasciato
non poco perplessi. Più di tutto, una registrazione digitale
nitida ma decisamente anonima finisce per giocare contro il calore e
la "credibilità" delle esecuzioni (che fine ha fatto
la batteria?). E sì, ci rendiamo conto che l’organo con wha-wha
di Angel From Lebanon non è più proponibile per un album
intero – ma non c’era proprio alternativa a quei timbri anonimi?
Chiudiamo
con il timore che ci venga chiesto se anche noi non pretendiamo dagli
album dei gruppi "progressive" il superamento di prove d’esame
decisamente più ardue della media corrente.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net
| Dec. 12, 2004