Mnemonists
Gyromancy
(ReR)
E’
stato all’incirca vent’anni fa che richiedemmo per la prima volta il
catalogo della Recommended Records. Per ovvie ragioni: innanzitutto
perché sebbene album di artisti quali Art Bears, Faust e News
From Babel non fossero impossibili da trovare sul territorio nazionale
avevamo il sospetto che molta altra musica interessante non stesse ricevendo
un’adeguata distribuzione nei negozi; inoltre, ci sentivamo un po’ affetti
da routine auditiva – e quale miglior rimedio di ascoltare musica difficile
e tutt’altro che familiare per far riguadagnare l’entusiasmo per la
musica? Detto fatto. Così, non appena in possesso della nostra
copia del catalogo – era quello datato settembre 1984 – decidemmo di
ordinare alcuni titoli di nomi per noi relativamente familiari, e alcune
"entità sconosciute"; tra esse, l’annunciata ristampa
di un album chiamato Horde, opera di un collettivo visual/musicale a
nome Mnemonists. La descrizione suonava misteriosa – e promettente.
Ci
volle non poco per acquisire un minimo di confidenza con un’estetica
così inusuale, laddove la musica era ovviamente "organizzata"
(e decisamente misteriosa) pur mantenendo allo stesso tempo una buona
dose di "apertura" ("indeterminatezza" non sarebbe
la parola appropriata); la maggior parte delle volte i suoni possedevano
una qualità di mistero – strumenti acustici, secondo la copertina,
trattati, sovraincisi e ulteriormente manipolati. I risultati potevano
essere classificati alla voce (?) "quasi-ma-non-proprio classica,
quasi-ma-non-proprio elettronica". E poi c’erano le illustrazioni,
immancabilmente destinate ad aggiungere mistero al mistero. Impossibile
non notare l’enorme quantità di lavoro occorsa per pervenire
a quei risultati.
Sviluppata
una qual certa familiarità con Horde, ordinammo l’appena pubblicato
Rackabones, il nuovo doppio LP dei Biota, gruppo derivante dal collettivo
dei Mnemonists. Ma quando infine decidemmo di acquistare Gyromancy –
l’album era apparso nel 1983, due anni prima della pubblicazione originale
di Horde – scoprimmo che il disco era già andato fuori catalogo.
Da quel momento acquistammo tutti i dischi dei Biota, a partire dal
lavoro seguente, Bellowing Room. (L’unico progetto successivo firmato
Biota-Mnemonists di cui abbiamo notizia è l’esibizione tenuta
al festival Montréal Musiques Actuelles – New Music America nel
novembre del 1990. Stranamente Musique Actuelle 1990, il CD che presenta
musica registrata in quell’occasione, è apparso solo quattordici
anni dopo, nel 2004.) E mentre Horde è stato successivamente
pubblicato su CD nel 1998 (e che splendido suono, per un transfer al
digitale!), non avevamo mai più avuto la possibilità di
ascoltare Gyromancy.
Nel
frattempo, quelli dei Biota e dei Mnemonists non sono certo diventati
nomi di chiara fama. Il che ci è sempre parso strano, se consideriamo
che il gruppo ha sempre posseduto una cifra stilistica decisamente personale
e che ha operato in un campo – che in verità non sapremmo bene
come chiamare: elettroacustica? post-concréte? – che oggigiorno
riceve molta attenzione da parte della stampa, sia marginale che mainstream.
Saremo ingenui, ma dobbiamo ammettere di essere rimasti molto sorpresi
quando, non molto tempo fa, abbiamo appreso che i CD dei Biota – che
avevamo sempre dato per scontato essere per la ReR, se non una fonte
perenne di danaro, quanto meno una risorsa commercialmente preziosa
– erano invece da classificare alla voce "vendite basse".
Strano.
Ovviamente
acquisto indispensabile per chi ama il gruppo, Gyromancy può
fungere da perfetta introduzione per chi non ne ha mai ascoltato la
musica. Magistralmente masterizzato in digitale – quasi impossibile
credere alla quantità di dettagli che si hanno davanti agli occhi
– Gyromancy è più scuro, misterioso e certamente più
sottile del suo predecessore (chissà come suonava l’LP). Una
strumentazione che va dal familiare (sulla carta!) – piano, violoncello,
viola, clarinetto… – al certamente inusuale (shawm, crumhorn, curtal,
bodhran). Una ricca "narrativa" che si sviluppa lungo due
"facciate" molto diverse, laddove l’ex facciata uno viene
a volte rudemente interrotta da un suono che funziona da (molto efficace)
artificio drammatico. Mentre la lunga, sussurrata chiusa dell’ex facciata
due è tra le cose più belle (e coinvolgenti) in cui ci
è capitato di imbatterci in molto tempo.
Quale
bonus abbiamo Nailed e Tic, le due (ex) facciate di un singolo 7"
pubblicato in edizione limitata. Era da molto tempo che non lo ascoltavamo,
ma la nuova edizione è davvero brillante – e Tic è una
vera gioia.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2005
CloudsandClocks.net | March 1, 2005