Roscoe
Mitchell And The Note Factory
Far Side
(ECM)
"Absence makes the heart grow fonder" (che in italiano potremmo lestamente
rendere con "Amiamo di più chi non è presente") è il detto inglese
di uso comune che ci è venuto in mente quando abbiamo appreso dell’imminente
pubblicazione di un nuovo lavoro della Note Factory, "orchestra tascabile" a
formazione variabile la cui ampia tavolozza timbrica è stata oggetto di
diffuso apprezzamento sin dall’esordio di Nine To Get Ready (1999), ottimo
album cui hanno fatto seguito il parimenti pregevole Song For My Sister
(2002) e quel The Bad Guys (2003) che soffriva un po’ il confronto a causa
di una registrazione non all’altezza del materiale.
Anche
qui, come spesso accade quando si tratta di formazioni a noi care, il dubbio
concerneva una possibile mancanza di obiettività dovuta alla lunga assenza.
Curiosa combinazione, l’enorme quantità di immondizia che la sorte ci aveva
dato modo di ascoltare per tutto il mese di dicembre ci rendeva potenzialmente
dubbiosi di un nostro giudizio entusiasta. Da cui, ascolti ripetuti e millimetrici:
a basso volume, per testare la resa analitica del lavoro; a volume più
sostenuto, per saggiarne l’impatto emotivo.
Ci fa
oltremodo piacere poter dire che Far Side ha superato brillantemente l’esame.
E’ un lavoro di una certa difficoltà – cosa che diremmo non inattesa quando
si tratta della scrittura e del modo di organizzarne l’esecuzione che sono
caratteristici di Roscoe Mitchell. Ma un procedere nitido, un suono cristallino
e performance strumentali che è impossibile non definire brillanti saranno
d’aiuto a chi vorrà procedere all’ascolto. Unico requisito che diremmo
imprescindibile è un ambiente oltremodo silenzioso (e sappiamo che qui
chiediamo molto).
Com’è
ovvio, la logica sottostante ai brani non è immediatamente visibile, ma
la sua presenza è dimostrata "per inferenza" dal fatto che le
esecuzioni non si sfaldano nel loro cammino. Temi a parte (e ci sono),
non è difficile cogliere regolarità e "cartelli indicatori".
Si veda, a mo’ di esempio, la nota ripetuta del pianoforte a 4′ 04" e
poi a 8′ 30" del primo brano trovare in parallelo una figura di piatti
a 9′ 10", 9′ 40", 10′ 38" e 15′ 21". Come diremmo tipico
di Mitchell, qui la parola è "controllo". Un controllo "elastico",
ovviamente, ma che non cessa per questo di essere tale.
Diamo
un’occhiata alla formazione. Le batterie, ben distribuite nello stereo,
sono quelle di Tani Tabbal e Vincent Davis; suonano spesso "scure" (ma
questa è un po’ una caratteristica dell’intero lavoro), da cui la valenza
"drammatica" dell’uso dei piatti (o, in parallelo, della tromba
o del sassofono). Jaribu Shahid è al contrabbasso, suonato spesso con l’arco,
sul canale sinistro; Harrison Bankhead è al contrabbasso e, diremmo soprattutto,
a un ottimo violoncello, sul lato opposto. Due anche i pianisti: Vijay Iyer
e Craig Taborn; decisamente originali i momenti in cui i due producono quadri
sonori
"a incastro", diremmo non azzardato attribuire al primo l’attacco
dal tono più rotondo e corposo che si ascolta sul canale sinistro e al secondo
quel suono più appuntito e dal rilascio rapido che si ascolta prevalentemente
sul canale destro. Mitchell è soprattutto a sax alto, soprano e flauto. Tromba
e flicorno sono appannaggio di Corey Wilkes, il cui apporto è (prevedibilmente)
versatile e di ottima qualità.
L’album
è registrato dal vivo, ma diremmo che un montaggio e un missaggio che rivelano
immediatamente una certa cura non siano estranei alla riuscita del lavoro.
Segnaliamo uno strano particolare: in alcuni momenti (tutta la parte iniziale
del primo brano, i primi momenti del terzo) è agevole percepire la presenza
di due trombe, una dal suono strozzato e distorto, l’altra dal suono più
pieno e rotondo. Durata complessiva sessantacinque minuti, così divisi:
mezz’ora dedicata al primo brano, gli altri tre a dividersi in misura grosso
modo paritaria il rimanente.
Far Side/Cards/Far
Side è un ampio affresco le cui coordinate generali non risulteranno nuove
a chi ha già avuto modo di ascoltare dal vivo la formazione. Inizio in
assolvenza con pedali e armonici in evidenza, lento ingresso percussivo,
progressivo comparire di pianoforti, sassofono e tromba. Notevolissimo
l’assolo congiunto dei pianoforti a partire da 15′ 38", con furibondo
appoggio batteristico che non può non rimandare al "free jazz" degli
anni sessanta. Tipico assolo di sax soprano di Mitchell in stile "ancia
nordafricana" a partire da 19′ 42". Squillante assolo di tromba
di Corey Wilkes, qui in una riuscita miscela di Lester Bowie e Freddie
Hubbard, a partire da 26′ 20".
Quintet
2007 A For Eight apre con un tema dallo swing "implicito" tipico
di certe cose di Charles Mingus con Eric Dolphy al sax alto (o, a ben considerare,
dell’Art Ensemble Of Chicago nella sua "modalità Mingus"). Ma
dopo il tema, invece del basso "walking" che forse qui ci aspetteremmo
a sostegno di assolo, viene fuori un’aria rarefatta per alto e tromba,
e poi una frase dall’indubbia connotazione "bluesy" viene passata
tra gli strumenti, a fare "struttura". Il brano vede poi protagonisti
i due pianoforti, il sax alto, la tromba, il contrabbasso e il violoncello,
con sostegno di piatti e percussioni. Sarà forse un’impressione soggettiva,
ma a partire da 7′ l’aria complessiva ci ha ricordato la parte
"cameristica" dell’esecuzione di Something Sweet, Something Tender
contenuta nel capolavoro dolphiano intitolato Out To Lunch.
Trio Four
For Eight apre con un tema minimale per flauto, piano, violoncello e percussioni.
Il quadro seguente, a partire da 0′ 57", vede protagonisti un contrabbasso
dal suono "grosso" suonato con l’arco, il violoncello e le "due
trombe" di cui sopra per uno dei momenti più freschi dell’intero album.
Sapiente ingresso del pianoforte, non poco in stile Muhal Richard Abrams,
a partire da 4′ 50". Poi il flauto, a 8′ 00", a guidare l’ensemble
verso un episodio batteristico dal colore non poco scuro. Poi sono di nuovo
il flauto, la tromba sordinata e l’ensemble a portare il brano a conclusione.
Ex Flover
Five apre con il piano a eseguire un tema lirico ma dal sapore angolare
che viene immediatamente ripreso dal sax alto. A partire da 1′ 50" una
frenetica parte solista "a incastro" dei pianoforti (che ci ha
ricordato Conlon Nancarrow!) vivacizza le cose. A 2′ 48" c’è un inserto
di sax alto, violoncello e percussioni, come a "rammentare" un
frammento tematico mentre i due pianoforti proseguono l’assolo. Il frammento
viene ripetuto a 6′ 38", poi è la volta dell’ensemble, e a partire
da 7′ 45" è lo stesso Mitchell a prodursi in un assolo di sax alto
alla maniera di Nonaah. Tema
"lirico" a 11′ 10", chiusa.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| Jan. 4, 2011