1870/Mil
Ochocientos Setenta
Mitos De Una Resurrección
(Luna Negra)
Un parere
estremamente favorevole (com’è ovvio, trattasi di "opinione qualificata")
espresso a proposito di questo CD ci ha convinto del fatto che trascorrere
alcuni pomeriggi ascoltando Mitos De Una Resurrección prometteva di non
essere una perdita di tempo. Della formazione che ha inciso l’album – un
quartetto denominato 1870 (in cifre) o Mil Ochocientos Setenta (in lettere)
– sappiamo poco o nulla: solo che si tratta di un gruppo messicano, e che
i suoi componenti – almeno a giudicare dalla foto riprodotta nello scarno
libretto di accompagnamento – dovrebbero avere sui quaranta-e-qualcosa.
Il che, accoppiato alla sicurezza e alla maturità esecutiva facilmente
percepibili al momento dell’ascolto, ci dice di una lunga esperienza e
di una buona frequentazione reciproca.
La formazione
è davvero insolita. Gustavo Alberrán – autore di tutte le musiche, gli
arrangiamenti essendo opera del quartetto – è impegnato a corno, voce,
piatti e tamburi. Alfonso Cosme suona il corno processato, le percussioni
e una tastiera (il termine qui usato è quello generico di "teclado",
ma
"a orecchio" dovrebbe trattarsi di un pianoforte trattato). Karel
Gómez è impegnato all’oboe, al corno inglese e al theremin. Hugo Luque è
all’elettronica e ai trattamenti sonori effettuati in tempo reale. In casi
come questo è doveroso citare anche il nome di chi ha curato la registrazione,
il missaggio e la masterizzazione digitale: Mr. Paco-Lucas.
Se la musica
contenuta nell’album è discretamente originale, il suono è davvero degno
di nota (ovviamente si tratta di una distinzione analitica). Il suono complessivo
è molto nitido e fortemente posizionato, a mo’ di album di musica classica
o di "elettronica pionieristica" (qui i primi nomi che ci sono
venuti in mente sono quelli di Tod Dockstader e di Morton Subotnick). Bello
anche il "viaggiare" di strumenti e suoni nello stereo, e il
variare di echi e caratterizzazioni sonore degli strumenti che (a parere
di chi scrive) funzionano quasi da "luci di scena" in una scenografia
teatrale, accentuando quello spirito quasi da "piéce" che ci
è parso di cogliere qua e là.
In termini
di "linguaggi" diremmo affiorino a tratti echi di musica Barocca
(si veda l’iniziale Puerta Abierta). Mentre – in modo in verità superficiale
– l’oboe (e l’oboe trattato, quasi un fagotto) ci ha talvolta ricordato
i momenti più mesti degli Univers Zero. L’elettronica "povera" di
El Ceremonial e delle voci gutturali ci hanno fatto pensare agli Zga (qualcuno
ricorda ancora quella vecchia formazione lituana?). E certi battimenti,
certi oscillatori nasali non potevano non ricordarci i Faust (soprattutto
quelli di The Faust Tapes). Il lettore è però pregato di considerare i
nomi appena citati come nulla più che riferimenti di comodo.
Poco più
di dieci minuti in tutto, Puerta Abierta e Canto Primero aprono bene l’album,
la prima con un prevalere di fiati e percussioni dall’andamento cadenzato,
la seconda con una stranissima voce in falsetto.
Circa venticinque
minuti complessivi di durata, Mitos De Una Resurrección e El Ceremonial
sono a nostro avviso i momenti più stimolanti dell’intero lavoro: fasce
elettroniche a dialogare con i fiati nel primo brano, percussioni e trattamenti
a prevalere nel secondo. In tutto l’album, ma soprattutto qui, è facile
avvertire la padronanza degli strumenti e l’abbondare delle idee.
Canto Segundo
sembra essere un momento di ispirazione teatrale: narrativa vocale (per
chi scrive di impossibile decifrazione: si ascoltano spesso le parole Bosquecillo,
Profundo Sobór e Ermaphrodita) e un variare delle "scene sonore" ad
assecondare la narrazione.
Come il
precedente anch’esso sui dieci minuti di lunghezza, Una Vendetta ha uno
svolgimento efficace ma che forse – a paragone di altre parti dell’album
– è un po’ prevedibile.
In conclusione,
e limitandoci alla parte sonora, diremo che l’album merita sicuramente
un ascolto da parte di quanti trovino stimolanti le coordinate di cui s’è
detto.
C’è però
un sottotesto, di cui neppure sospettavamo l’esistenza: la copertina interna
presenta infatti l’immagine di un gentiluomo, il Conte di Lautréamont,
morto il 24 novembre 1870 – e qui non ci vuole molto a collegare nome del
gruppo e titolo dell’album. In un impeto di audacia abbiamo deciso trattarsi
di un rivoluzionario messicano a noi ignoto. Una veloce ricerca in Rete
ci ha invece rivelato trattarsi del Comte de Lautréamont (1846-1870), pseudonimo
di Isidore Ducasse, autore di due libri, il più celebre dei quali dovrebbe
essere Les Chants Du Maldoror; inizialmente percepito come psicopatico,
fu poi apprezzato da gente quale Alfred Jarry e dal surrealista André Breton.
La parola al lettore.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2009
CloudsandClocks.net
| Jan. 29, 2009