Page McConnell
Page McConnell
(Legacy)
Conclusasi
definitivamente (una prima, e poi una seconda volta) l’avventura dei Phish,
l’eccellente tastierista che risponde al nome di Page McConnell si è trovato
di fronte al solito quesito su cosa fare da grande. La bravura strumentale
non si discute (lo diremmo uno dei pochi in grado oggi di affrontare con
disinvoltura tastiere classiche e moderne senza essere impacciato da problemi
di
"stile"), e con i Phish era anche un buon cantante. Il tallone
d’Achille è rappresentato da una scarsa prolificità come autore, da cui il
dubbio espresso da più parti al momento dell’annuncio di un suo album da
titolare.
Chi ha
espresso tali dubbi aveva però dimenticato di considerare l’omonimo album
di esordio dei Vida Blue. Apparso nel 2002, all’indomani del primo scioglimento
dei Phish, l’album era passato pressoché inosservato. Il che è anche comprensibile,
dato che per ovvi motivi l’esuberante e prolifico Trey Anastasio veniva
considerato il vero continuatore della musica del gruppo. A fronte di un’attenzione
che non era certo in grado di rivaleggiare con quella ottenuta dai Phish
(anche qui, come già per David Gilmour/Pink Floyd, prevale la ferrea
"legge dell’anonimato"), Anastasio aveva fatto del suo meglio in
una dimensione che diremmo irrequieta. Ma i Vida Blue?
Per quale
via non sapremmo dire, McConnell era finito a fare musica con due musicisti
di tutto rispetto – e, cosa più importante, diversissimi dalla sezione
ritmica dei Phish: Russell Batiste era la batteria dei Funky Meters, mentre
Oteil Burbridge (che lo sticker in copertina ovviamente presentava come
membro degli Allman Brothers) aveva portato il suo basso nei contesti più
diversi (è anche su Surrender To The Air, l’album collettivo a nome Trey
Anastasio uscito nel ’96). Jam strumentali e canzoni, spinto da una ritmica
funky potente ma elastica e raffinata McConnell aveva trovato nuova spinta
a tirar fuori il Fender Rhodes e l’Hohner Clavinet, cui aveva accoppiato
un uso fertilissimo ed efficace del sintetizzatore (che dovrebbe essere
un Andromeda della Alesis). Non si era poi così lontani da certe "space
jam" dei Phish, ma il tutto suonava fresco e "moderno";
c’erano anche un paio di belle canzoni.
Spiace
ancor di più, quindi, dover ammettere che gli scettici avevano ragione.
Non sappiamo cosa sia successo, ma tiriamo a indovinare: forse un nuovo
contratto discografico, la percezione che "adesso si fa sul serio",
la necessità di differenziarsi dai Phish ma non troppo, un eccesso di progettazione
in solitudine (ancora una volta il possesso di uno studio personale si
rivela un’arma a doppio taglio) hanno avuto il risultato di mettere in
risalto quelle qualità di McConnell che non sono necessariamente le migliori.
Il dettaglio tra breve, ma diciamo subito che anche la scelta dei musicisti
non si è rivelata quella in grado di produrre grandi risultati.
E adesso?
McConnell è in giro per gli Stati Uniti con una formazione che vede Adam
Zimmon alla chitarra (sull’album suona bene ma anonimo), Jared Slomoff
a chitarra, voce e tastiere (già collaboratore in veste tecnica di Mike
Gordon, è co-produttore dell’album), un bassista il cui nome non conosciamo
e Gabe Jarrett (il figlio di Keith) alla batteria. Come è normale per musiche
come queste i concerti roderanno e miglioreranno il materiale. Ma anche
se le cose andassero per il meglio, alla fine avremmo del "pesce",
e non più tanto fresco. Ne sarà valsa la pena? Il seguito alla prossima
puntata.
Lavorando
in solitudine, McConnell ha creato un imponente tappeto di tastiere che
(a differenza dei Vida Blue, ma come i Phish) porta in primo piano il pianoforte
e l’organo Hammond; permangono spesso nel risultato finale parti di basso
e batteria sintetici di ottima intelligenza e qualità. Dovendo differenziarsi
dai Phish, McConnell ha impiegato poca chitarra (Anastasio appare in un
brano, sotto tono e irriconoscibile). Alcuni brani vedono come bassista
Mike Gordon, e Jon Fishman suona la batteria – ma non insieme. In una delle
scelte più perverse che ci è stato dato modo di ascoltare, il buon Jim
Keltner risulta assolutamente fuori posto, massimamente quando è in coppia
con Gordon (la loro idea di dove mettere gli accenti non potrebbe essere
più diversa).
Beauty
Of A Broken Heart apre benino, Heavy Rotation non è male, e a circa 4′
(dopo un taglio davvero disinvolto) parte una jam con bel pianoforte e
l’assurda ritmica Keltner/Gordon. Maid Marian è forse la canzone più bella:
ricorda non poco l’Elton John di Tumbleweed Connection (un album decisamente
influenzato dalla musica americana – vedi The Band – e a sua volta influente
su molta musica americana – vedi Bruce Hornsby e Ben Folds), e ha un bell’inciso.
Inutile Close To Home.
Si risale
con Runaway Bride, mentre la jam di Back In The Basement ha un ottimo piano
e la coppia Keltner/Gordon.
Nonostante
un andamento che più classico non si può, non dispiace Rules I Don’t Know.
Complex Wind è l’altra vetta, con sintetizzatore a fare il flauto e il
vibrafono e una melodia ariosa. Comunicativa Everyone But Me.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | May 15, 2007