Ray Manzarek
e la stampa
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di Beppe Colli
May 30, 2013
E’ la mattina di martedì
21. E’ abbastanza presto, e decidiamo di dare un’occhiata al forum di Steve
Hoffman per vedere se ci sono novità sulla ristampa in vinile di Bryter Layter
di Nick Drake. Ci colleghiamo, e gli occhi cadono immediatamente sul titolo
di un thread che annuncia la morte dell’ex tastierista dei Doors Ray Manzarek.
La notizia pare confermata. Diamo un’occhiata alla pagina del musicista su
Wikipedia, già aggiornata su data e circostanze della morte. Una morte che
sulle prime ci appare strana, dato che il fatto che Jim Morrison sia morto
all’età di ventisette anni, quarantadue anni fa, deve aver fatto nascere
in noi il tacito convincimento che gli altri tre ex Doors non sarebbero morti
mai. Ma così non è.
Andiamo sul New York Times per vedere se c’è già un necrologio.
C’è, in data 20, firmato da Jon Pareles. Titolo secco: "Ray Manzarek,
74, Keyboardist and a Founder of the Doors, Is Dead". C’è una foto del
gruppo, e qui il titolista ha commesso un errore: la scritta la vuole risalente
a "about 1970", mentre con tutta evidenza essa risale alla fine
del 1966. Sicuri che altri hanno già scritto, decidiamo di fornire comunque
il nostro piccolo contributo mandando un messaggio.
Il pomeriggio ci vede intenti a riascoltare mentalmente la
produzione discografica ufficiale dei Doors. La mattina seguente, mercoledì
22, scriviamo il pezzo, ed è solo in tarda serata che decidiamo di vedere
cos’è successo nel frattempo.
Per prima cosa andiamo
sul New York Times e controlliamo se l’errore riguardante la datazione della
foto è stato corretto: sì. Ci sono tre correzioni raccolte sotto la dicitura: "This
article has been revised to reflect the following correction".
E’ un punto che non sarà mai sottolineato abbastanza: la serietà
di una fonte è data sì dal basso numero di errori commessi, ma anche – siamo
tutti esseri umani – dal modo pubblico in cui si dà notizia dell’errore e
della sua avvenuta correzione. Quale miglior salvaguardia per il lettore?
Con l’abituale chiarezza Pareles esplicita un punto cruciale: "Le
canzoni dei Doors venivano solitamente attribuite a tutto il gruppo. (…)
L’introduzione in stile ‘quasi barocco’ che Manzarek fornì al singolo dei
Doors del 1967 intitolato Light My Fire – una canzone scritta in larga parte
da Krieger – contribuì a renderla un successo da un milione di copie."
Passiamo al Guardian, dove troviamo un necrologio "secco" intitolato "Doors
co-founder, Ray Manzarek, dies aged 74" attribuito a "Ben Quinn
and agencies" e tre pezzi. "Ray Manzarek obituary" a firma
Adam Sweeting con occhiello che precisa "Co-fondatore dei Doors il cui
apporto tastieristico diede forma allo stile inconfondibile del gruppo".
Un articolo opera di una fan più giovane, Laura Barton, apparso sul music
blog del quotidiano con il titolo di "Ray Manzarek era la chiave dei
Doors" – cioè a dire
"la chiave delle porte". E un altro pezzo apparso sul music blog,
a firma Alexis Petridis, con il titolo di "Ray Manzarek: maestro di
tastiere e custode dell’eredità dei Doors".
Si tratta di pezzi di una certa lunghezza e non privi di spunti
interessanti che vanno ben al di là dell’informazione pura e semplice, e
diremmo che a un quotidiano non sia lecito chiedere di più.
Per altri motivi, facciamo
visita al sito Rock Critics, dove vediamo che il giorno prima Scott Woods
ha messo un pezzo intitolato Critics Are Strange. Il fatto ci coglie di sorpresa
– ci accorgiamo adesso che avevamo tacitamente considerato Woods un non-fan
della musica del gruppo. Ed è proprio del rapporto tra critici e musica dei
Doors che tratta il breve pezzo.
Ed è un rapporto non di rado decisamente conflittuale, come
una lettura di quanto prodotto dalle più celebri penne dell’epoca sarà agevolmente
in grado di provare.
Da parte nostra diremmo che a mancare ai contributi di quel
tempo è soprattutto un grado accettabile di "evidenza empirica".
Un’evidenza che è invece al primo posto nelle (cosiddette) "riviste
per suonatori" (cosa che non implica necessariamente che i lettori siano
suonatori, se è chiaro il concetto).
La maggior parte della critica, ora come allora, ama trattare
di cose quali "gli splendidi affreschi dipinti dallo spirito dionisiaco".
I musicisti diventano allora figure abbastanza incolori, con in primo piano,
a giganteggiare, il cantante in quanto "personaggio a tinte vivaci".
Il lettore è invitato qui esplicitamente a misurare la distanza
che passa tra "gli splendidi affreschi" e questa domanda:
"Ritengo che ci siano sempre state due caratteristiche distintive dello
stile tastieristico di Ray Manzarek. Una sono le terze parallele su scale
minori, come nell’assolo di People Are Strange. L’altra è il modo in cui
risolvi gli accordi di quinta bemolle, per esempio in Back Door Man. Quest’ultima
è una mossa blues abbastanza usuale, ma tu hai un modo tutto tuo di farla.
Hai idea dell’origine di queste caratteristiche?".
Siamo su un piano molto meno aleatorio di "Come produci
quegli splendidi affreschi?", o "Gli affreschi dei Doors mi lasciano
freddo".
Quella che abbiamo tradotto è la domanda introduttiva dell’intervista
a Ray Manzarek effettuata dal giornalista statunitense Alan di Perna apparsa
come storia di copertina sul numero datato March 1989 della rivista Modern
Keyboard con il titolo di Strange Days… Again.
E dato che una cosa
tira l’altra ci siamo ritrovati a dare un’occhiata a vecchie interviste a
Ray Manzarek.
Trascriviamo qui di seguito la traduzione di un passo la cui
importanza risulterà evidente tra breve. L’intervista è stata effettuata
dal noto critico Steven Rosen ed è apparsa sul settimanale inglese Sounds
in data 22 December 1973 con il titolo di The Doors: An Interview with Ray
Manzarek.
"Beh, quando ero con Jim non avevo un grande impulso
a scrivere perché mi piaceva sempre tantissimo quello che Jim scriveva (…)
lui era in grado di soddisfare quel bisogno di creatività da parte dei membri
del gruppo con le canzoni che scriveva. (…) Prima della morte di Jim non
ho sentito tutta questa urgenza di scrivere. Arrangiare le canzoni e dare
una forma completa alla musica era sufficiente."
"La musica era una creazione comune. Quel che ritengo
il mio apporto principale nei Doors era fornire un’atmosfera a ogni canzone.
La vibrazione di base che veniva fuori da una canzone come Riders On The
Storm. Quando abbiamo cominciato a suonarla non somigliava per niente alla
versione definitiva. Il primo modo in cui l’abbiamo suonata non andava bene
per niente e allora ho detto ‘Aspettate un attimo, facciamola in un modo
completamente diverso’, e nei Doors era soprattutto questo che facevo".
Viene sempre il momento
in cui bisogna bere l’amaro calice, che in questo caso vuol dire dare un’occhiata
alla stampa italiana. Una veloce occhiata in Rete fornisce una quantità impressionante
di pezzi che nel titolo o in apertura utilizzano l’espressione "l’architetto
dei Doors", che per essere un’espressione peculiare è ben strano sia
venuta in mente a tanti in contemporanea.
Troviamo quella che riteniamo la fonte di (quasi) tutto: una
notizia d’agenzia intitolata
"Morto Ray Manzarek, creo’ i ‘Doors’ con Jim Morrison" apparsa
in data 14:49 21 MAG 2013 con la sigla "(AGI) – Washington".
"(…) amava definirsi l’architetto dei Doors"
(…) Grazie alla sua buona tecnica, fu anche il ‘bassista’ dei Doors, suonando
un Rhodes Piano Bass appoggiato sul top piatto dell’organo (un Vox Continental
e successivamente un Gibson G101)."
Non è male, e non è colpa delle agenzie se c’è chi ha inteso
l’affermazione "i Doors non avevano un bassista fisso" come "i
Doors non hanno mai avuto un bassista" – cosa che l’ascolto dei sei
album di studio del gruppo, incluso quello d’esordio (dove un bassista aggiunto,
non accreditato in copertina, è presente in alcuni pezzi), è agevolmente
in grado di dimostrare.
Compare poi questo passo:
"Ray (…) e’ artefice di molte delle melodie delle piu’ famose composizioni
del gruppo (tra le piu’ importanti tastieristicamente, oltre alla celeberrima
Light my Fire, ricordiamo Riders on The storm, The Crystal ship, When The
Music’s Over, L.A. Woman, Strange Days…)."
Ma da sempre l’evidenza è che le melodie dei brani erano frutto
della penna di Morrison o di Krieger. E se c’è una cosa che sappiamo – si
veda più sopra il pezzo di Pareles, o si consulti una Wikipedia qualsiasi
– è che il pezzo intitolato Light My Fire, esclusa l’introduzione di organo
e la seconda delle due strofe del testo – è opera di Robby Krieger.
A questo punto decidiamo
di dare un’occhiata a quello che a nostro parere è l’equivalente italiano
del Guardian e del New York Times: il quotidiano la Repubblica. E non è difficile,
dato che la copia datata mercoledì 22 maggio 2013 è sul nostro tavolo dalle
prime ore del mattino, la Repubblica essendo infatti da sempre "il nostro" quotidiano.
Il pezzo c’è, a pag. 32, a firma Carlo Moretti. Titolo:
"Addio a Manzarek tastierista di Morrison che inventò i Doors".
L’attacco lascia stupefatti: "Con il suo piano è stato
la matrice e il motore del suono dei Doors e grazie al suo inconfondibile
Fender Rhodes è diventato uno dei giganti del rock del ventesimo secolo."
Ora, qui non si tratta di "diverse opinioni".
Il suono che caratterizza i Doors è quello di un organo (non sottilizziamo
sulla marca), non certo quello di un piano (pur a volte presente). Se il
Fender Rhodes cui si fa riferimento è il piano elettrico, esso compare su
due (2) pezzi del sesto album del gruppo. Se si tratta del Rhodes Piano Bass
compare solo su alcuni brani del primo album. E se si fa riferimento ai concerti
non è certo quella la cosa che rende Manzarek "uno dei giganti del rock
del ventesimo secolo."
Lo stupore non diminuisce quando ci troviamo a leggere che
"A lui si devono alcuni dei maggiori successi dei Doors, anche se poi
attribuiti a tutta la band, da ‘The crystal ship’ a ‘Light my fire’, da ‘The
end’ a ‘Roadhouse blues’."
E ancora: "(…) ‘Riders on the storm’, per la cui composizione
Manzarek spiegò di aver attinto alle sue ispirazioni più forti: il folk,
intorno al quale aveva costruito il giro di basso, il blues e il jazz."
Vorremmo sia chiaro
che è con dolore che abbiamo scritto quanto precede. Il primo pensiero, dobbiamo
confessarlo, è stato "Ma che cazzo scrive questo?". Il fatto di
essere schermati dalla nostra competenza è di ben magra consolazione, perché
se i filtri prima della pubblicazione sono così inesistenti e la correzione
ex post nulla, è plausibile supporre che saranno di certo numerosi gli articoli
che ci hanno esposto a una quantità paragonabile di inesattezze in campi
nei quali non siamo altrettanto forniti di conoscenze – non certo un buon
biglietto di presentazione per un quotidiano di informazione!
Il problema per come noi lo vediamo è un atteggiamento nei
confronti della qualità – di cui l’accuratezza del proprio lavoro è il punto
di partenza – che negli anni ha visto uno scivolamento progressivo del
"minimo consentito" che l’incomprensibilità della nostra lingua
al di fuori dei confini nazionali rende "invisibile" ma non per
questo meno letale nel caso i manufatti italioti vengano per avventura visti
da occhi estranei.
Se il lettore ci concederà di ricostruire il dinosauro estinto
da una scheggia d’osso, diremo che questo non è un Paese destinato ad andare
lontano.
© Beppe Colli 2013
CloudsandClocks.net | May 30, 2013