Steve Lacy – Roswell Rudd Quartet
Early And Late
(Cuneiform)
Sono
sempre (e da sempre) numerose le questioni di carattere, per così dire,
"eterno" (cose quali l’espressione, la forma e simili) su cui si
interroga chi scrive di musica. Ultimamente, però, un problema di natura
innegabilmente "moderna" sembra avere occupato il centro della
scena in virtù delle sue drammatiche e temutissime conseguenze: parliamo
del downloading, altrimenti detto "lo scarico". La questione ha
innanzitutto un suo duro aspetto "pratico": a chi sarà possibile
rivendere le tanto agognate "copie omaggio" allorquando l’oggetto
fisico CD sarà stato definitivamente sostituito da file scaricabili? (E qui
sarà interessante vedere se verrà ridimensionato l’inflazionatissimo "voto
alto" inteso quale mezzo per ricevere un numero maggiore di CD omaggio
da rivendere.)
C’è però
un altro aspetto del problema, che diremmo molto più serio per le sue conseguenze
ultime: laddove l’importanza del downloading (gratuito) non sta tanto nei
suoi effetti economici (diretti e indiretti, per le case discografiche
e per gli artisti) quanto nel suo incarnare alla perfezione un modo "fuggevole" di
consumo che – grazie alla tecnologia – permette al consumatore di soddisfare
ogni capriccio rendendo la sua capacità di spesa infinita come i suoi desideri.
(Se solo fosse possibile scaricare scarpe…) Commentatori autorevoli hanno
attribuito la scarsa propensione all’acquisto alla scarsa qualità dei prodotti;
se così fosse sarebbe facile pronosticare per album quali Early And Late
un destino da "million seller". In realtà la "gratificazione
istantanea" presuppone beni da
"assorbire", non cose sulle quali riflettere. Il che – com’è arcinoto
– rende molto difficile la vita di album come Early And Late.
Date
le coordinate stilistiche di cui si dirà immediatamente, non riusciamo
a immaginare un ascoltatore attento che non trovi Early And Late interessante
già (quasi) a un primo ascolto. Roswell Rudd al trombone e Steve Lacy al
sax soprano: due strumentisti dal suono riconoscibile già alla prima nota
(il classico suono "grosso", "vocale-animalesco", versatilissimo
a dispetto della sua incredibile personalità, di Rudd; il suono ora esile
e sfuggente, ora caldo e dal sapore antico, di Lacy: che strana coppia!),
due giganti che hanno attraversato da (poco appariscenti) protagonisti
la storia dell’ultimo mezzo secolo di jazz. Ovviamente ottima la ritmica
formata da Jean-Jaques Avenel al contrabbasso e John Betsch alla batteria:
due musicisti per moltissimo tempo a fianco di Lacy.
Se è
godibile da subito, Early And Late svela nel tempo la ricchezza dei suoi
rapporti: tra scrittura e improvvisazione, innanzitutto, e tra i quattro
musicisti sul palco; ma anche fra tradizione e innovazione (e Nichols,
e Monk, e il primo Taylor accanto a brani originali di Lacy e Rudd); e
fra il tempo presente e il passato: in chiusura del secondo CD, quattro
pezzi che in un certo senso lo aprono, riportando una session inedita (e
benissimo registrata) del 1962 che – incredibile ma vero – è l’unica testimonianza
di studio di un testardo quartetto le cui idee musicali è possibile ascoltare
con gran soddisfazione ancora oggi. Ovvio poi mettere il CD in "repeat" e
vedere come lo ieri si leghi all’oggi.
Un’osservazione
largamente diffusa – ma vera – riguarda la strana caratteristica che accomuna
Lacy e Rudd: musicisti di scuola tradizionale negli anni cinquanta che
hanno avuto una parte di primo piano nell’avanguardia dei sessanta (e oltre)
saltando la tappa intermedia del be-bop. Dei due, Lacy (scomparso nel 2004)
è stato senz’altro la figura più celebre, leader dalla sovrabbondante discografia
numericamente in grado di rivaleggiare persino con quella di un Anthony
Braxton. Motivi caratteriali, cause contingenti/familiari… chissà: stimatissimo
da critici e i colleghi, Rudd si è spesso assentato dalle scene, anche
se pare oggi vivere una seconda giovinezza; da parte nostra lo ricordiamo,
qualche anno fa, al festival romano Controindicazioni, a fare faville insieme
al trio di Ab Baars.
Gli inediti
che chiudono il secondo CD vedono il quartetto (Bob Cunningham è al contrabbasso
e Dennis Charles alla batteria) eseguire due brani di Thelonious Monk (Eronel,
qui in due versioni, e Think Of One), e uno di Cecil Taylor, Tune 2. A
chi ha presente soltanto il Cecil Taylor "moderno", quella di
Monk e Taylor sembrerà forse un’accoppiata bizzarra, anche se il brano
qui eseguito ha a ben vedere non poco di monkiano. Alcune coordinate aiuteranno
a completare il quadro: Jazz Advance, l’album di Taylor del 1956 che vede
la partecipazione di Lacy, si apre con la oggi celeberrima Bemsha Swing
(e che ardita versione, per un brano allora già arduo nell’originale!).
Mentre il noto The Straight Horn Of Steve Lacy, del 1960, affianca composizioni
di Taylor e di Monk. I quattro brani del ’62 qui presenti vedono ottime
esecuzioni, con il contrabbasso rotondo di Bob Cunningham e il tipico piatto "in
appoggio" di Dennis Charles, che su Tune 2 e Think Of One ha alcuni
momenti sui tamburi decisamente à la Art Blakey. Tune 2 ha una spigolosità
che con il senno di poi è agevole dire tayloriana, mentre le esecuzioni
dei pezzi monkiani sono tutte molto stimolanti.
Sia Rudd
che Lacy suonarono con Cecil Taylor, e il secondo anche con Monk. Ma dire
del Roswell Rudd degli anni sessanta significa innanzitutto dire del suo
rapporto con il sassofonista Archie Shepp, e del New York Art Quartet,
un’esperienza condivisa con il sassofonista John Tchicai. Da parte nostra
ci piace soprattutto segnalare due celebri album della fine degli anni
sessanta che – ognuno a suo modo – incarnano perfettamente lo spirito di
un’epoca: Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e Escalator Over
The Hill di Carla Bley. Ed è proprio su tre album della Bley – Dinner Music
(1976), European Tour 1977 e Musique Mecanique (1979) – che ci piace ricordare
il Roswell Rudd degli anni settanta, laddove la sua timbrica a un tempo
ardita e old-fashioned si combina alla perfezione con le atmosfere agrodolci
e stilisticamente composite della leader.
Incontrammo
per la prima volta Lacy e Rudd insieme su Trickles (1976), album che li
vedeva affiancati dal contrabbassista Kent Carter e dal batterista Beaver
Harris. Ed è con grande piacere che lo abbiamo riascoltato proprio in questi
giorni: Rudd è quasi identico, mentre a paragone del suono più rotondo
caratteristico della maturità Lacy usa qui un soffio più aspro e sottile,
che unito a un procedere melodico decisamente più sfuggente lo rendeva
all’epoca tutt’altro che "artista per tutti". Alcune esperienze
più tarde ci ricordarono del lavoro congiunto dei due musicisti: il bell’album
intitolato Regeneration (1983), dove Lacy e Rudd venivano affiancati da
Kent Carter, dal pianista Misha Mengelberg e dal batterista Han Bennink
per un omaggio congiunto a Monk e a un’altra grande misconosciuta influenza
dal nome di Herbie Nichols; l’album contiene tra l’altro una versione di
Twelve Bars utilmente accostabile a quella live che appare su Early And
Late. Ci fu anche un album dedicato alle musiche del solo Nichols, Change
Of Season (1985), e successivo tour: ma Rudd non c’era. (Però al trombone
c’era George Lewis, quindi non ci lamentammo troppo.)
Il ritorno
della coppia Lacy & Rudd avviene con un album di studio del 1999, Monk’s
Dream, dalla formazione e dal repertorio largamente sovrapponibile a Early
And Late. E’ un buon album, ma dopo un confronto ravvicinato dobbiamo confessare
di preferirgli quest’ultimo, per quanto superiore – più nitido e presente
– possa essere considerato il suono del primo. E’ soprattutto Rudd che
ci pare esprimersi con una verve maggiore su Early And Late, con una decisa
propensione al rischio che rende il repertorio più vivo. Inevitabile notare
il diverso modo in cui Lacy si rapporta al materiale avendo accanto l’incontenibile
Rudd.
Esclusi
i quattro pezzi d’annata di cui s’è detto, buona parte del repertorio proviene
da un’esibizione effettuata al Bimhuis di Amsterdam proprio alla vigilia
dell’incisione di Monk’s Dream. Apre una lunga versione di The Rent, con
il suo inconfondibile tema che somma cha-cha-cha e blues; ottimo assolo
esuberante di Rudd punteggiato dal piatto e da un bel contrappunto del
contrabbasso; poi assolo di Lacy, del contrabbasso, e ripresa con un vispissimo
Rudd. Segue un altro celebre tema del Lacy più tardo, The Bath (chi la
ricorda su Momentum?), con il tipico tema swing da "Big Band rallentata" e
i caratteristici gruppetti di tre note; bel solo di Lacy, robusto accompagnamento
del contrabbasso "walkin’", batteria con la spazzole; entra Rudd
con effetto "vocale", ottimo assolo, e buona performance del
contrabbasso. The Hoot è swingante, 11′ che passano in un baleno.
Blinks
viene da un concerto di Tucson di un paio di mesi prima, e qui la batteria
ha un suono sensibilmente più grosso; tema, assolo di contrabbasso, poi
Rudd in solo a citare anche (diremmo) Flight Of The Bumblebee e Chatanooga
Choo Choo; poi assolo di Lacy, spinto dalla ritmica. Si torna al Bimhuis,
alla batteria con le spazzole e a Monk con Light Blue: una bella versione
cui ci è piaciuto accostare quella in solo fatta da Lacy su Only Monk (1987).
Di nuovo la batteria "grossa" per Bookioni, con tema dalle evidenti
assonanze monkiane.
Il secondo
CD è aperto da una lunga versione di Bamako, unico brano firmato da Rudd,
registrato all’Iridium nel 2002: forse un po’ troppo lunga per un ascolto
"in differita", la diremmo non poco apparentata a certe pagine
di Chris McGregor e dei suoi Brotherhood Of Breath. Si resta all’Iridium
per una ripresa di Twelve Bars, piacevolmente "old-fashioned";
rilassatissimo e sentito solo di Rudd, poi Lacy. Siamo di nuovo al Bimhuis
con Bone: introduzione di contrabbasso con gli armonici, poi lungo assolo
su cui si innestano gli altri; tema non poco "danzante", solo di
Rudd, poi Lacy (forse il suo migliore sull’album), assolo di batteria e tema.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | Sept. 3, 2007