Mike Keneally
You Must
Be This Tall
(Exowax)
Se dicessimo che aspettavamo questo
nuovo album di Mike Keneally con uno spiccato senso
di curiosità diremmo una cosa certamente vera ma anche piuttosto banale, dato
che è da circa vent’anni che l’annuncio di un nuovo lavoro del musicista
statunitense suscita in noi un forte senso di aspettazione.
Buffo notare che sono già passati
vent’anni da quando acquistammo il suo primo lavoro (nel duplice senso: era il
suo primo album, e anche il primo che acquistammo). E buffo ricordare che –
nonostante lo avessimo già ascoltato nel gruppo di Frank Zappa, su disco e dal
vivo (ma non visto, dato che al concerto romano cui assistemmo Keneally ci era stato quasi sempre nascosto dall’impianto
di amplificazione) – la molla che ci spinse all’acquisto fu la rubrica che Keneally tenne sul mensile statunitense Guitar Player a partire dall’ottobre del 1993. Titolo: The Murk.
E quando un articolo da lui scritto, Right-On ’70s Classics,
apparve sul numero dello stesso mensile intitolato Remembering The ’70s (February 1994), la nostra curiosità di
ascoltare questo musicista divenne incontenibile: come rimanere indifferenti
nei confronti di qualcuno che tirava in ballo Jimi Hendrix, Gentle Giant, Led Zeppelin, Henry Cow, Joni Mitchell – e i Guess Who nella formazione a due
chitarre di Share The Land?
La discografica ufficiale che appare
nel comunicato stampa che accompagna l’uscita di You Must Be This Tall fissa il
numero degli album di Keneally a ventiquattro
(escluso The Mistakes). A chi scrive la metodologia
usata per stilare la lista è sembrata un po’ bizzarra, ma tant’è. Rapida conta,
possediamo venti album su ventiquattro (escluso The Mistakes).
Amiamo alla follia tutti e venti
quegli album? Ovviamente no, i nostri favoriti rispondendo al nome di hat. (1992), Sluggo! (1997), Nonkertompf (1999), Wooden Smoke (2001), The Universe Will Provide (2004) e Scambot 1
(2009). Ed è proprio quest’ultimo che – evitando viaggi nella preistoria –
consiglieremmo quale primo approccio a chi non avesse mai ascoltato nulla del
musicista. Per contro, i titoli che definiremmo più deboli rispondono al nome
di Dancing (2000), Dog (2004) e Wing Beat Fantastic (2012), album che Keneally ha condiviso con Andy Partridge degli XTC.
E qui dobbiamo confessare che vedere
la lunga lista di recensioni altamente positive che lo avevano per oggetto ci
sconcertò non poco: e che, gli album di prima non erano altrettanto belli, se
non meglio? C’era forse di mezzo un nuovo "publicist"
con belle entrature? Chi lo sa! Ci sembrava di ricordare, in un tempo lontano, Nonkertompf e Dancing recensiti su Down Beat e Rolling Stone, con risultati commerciali che – visti da qui
– non ci erano sembrati eclatanti. Cosa che a ben considerare non poteva certo
sorprendere, dato che la musica di Keneally, sempre
accessibile, rimane purtroppo lontanissima dal gusto di massa.
E però in un certo senso è vero che
aspettavamo questo nuovo album con uno spiccato senso di curiosità. Se diamo
un’occhiata alla discografia ci accorgeremo infatti che Scambot 1 (2009) è l’ultimo album del musicista che definiremmo un
"self-starter", i successivi essendo infatti risposte a "stimoli
esterni", laddove Evidence Of Humanity (2010) vede quale punto di partenza un solo
batteristico di Marco Minnemann, co-titolare del
lavoro; Bakin’ @ The Potato! (2011) è un resoconto
live della Mike Keneally Band; e Wing Beat Fantastic (2012) è il lavoro condiviso con Andy Partridge di cui s’è detto. Anche se mettiamo da parte il
nostro desiderio di ascoltare Scambot 2 (ma solo
quale frutto di un pari desiderio da parte di Keneally di realizzarlo), resta il fatto che negli ultimi anni buona parte del tempo di
questo musicista è stata dedicata al fare tour quale membro di formazioni
altrui, su tutte i Dethklok e il gruppo di Joe Satriani. E’ una condizione
professionale che in passato gli avevamo caldamente augurato – per la serie:
stai attento a quello che speri avvenga!
Dire che l’ascolto di You Must Be This Tall ci ha lasciato perplessi è il classico understatement. Già la copertina, che ci siamo accorti
essere il negativo della foto che compare nel tray di Wing Beat Fantastic, ci
dava da pensare. E a onta di una durata da vecchio album in vinile – 44′ per 12
brani – il lavoro ci pareva interminabile, e fonte di indicibile noia. Ma
ovviamente un critico non può cavarsela così a buon mercato, quindi andiamo a
vedere.
Esiste un solo album firmato Keneally con il quale chi scrive non è mai riuscito a
entrare in sintonia: Dog. You Must Be This Tall è ora il numero due. A
pelle, è come se qualcuno avesse inserito in uno shredder tutti gli album del musicista per tirarne fuori brani dal classico sapore keneallyano ma che Keneally non
ha mai eseguito. Manca la verve, la scintilla che ne contraddistingue la
musica. Dopo numerosi ascolti, la constatazione che l’album suonava "tutto
uguale" faceva a cazzotti con il notare che generi e strumentazioni non
potrebbero essere più vari. Sospettato numero uno a questo punto era ovviamente
il suono, che notavamo essere troppo ricco di riverbero e decisamente affollato
nella fascia di frequenze medie, con il paradosso che tutto è facile da
individuare… se lo si cerca in mezzo a una folla di eventi. E’ ovvio che non
esiste un suono di per sé "sbagliato", è che qui il suono prescelto
sembra non idoneo a valorizzare i climi musicali. A questo punto abbiamo
ricordato che questo è il primo album di Keneally che
ascoltiamo da quando siamo entrati in possesso di un nuovo CD player con DAC a
24bit. Abbiamo quindi proceduto ad ascolti comparati con Scambot 1 e Wing Beat Fantastic,
notando immediatamente quanto più riuscito e comunicativo risultava essere
quest’ultimo, peraltro musicalmente non certo tra i nostri favoriti!
Mai come questa volta l’ultima parola
spetta al lettore. Ma può un album risultare respingente a causa del suono?
Dagli archivi della memoria salta fuori un caso perfetto: Quadrophenia degli Who, il cui suono dal primo all’ultimo brano è
tremendamente uniforme. Ma all’ascolto, nonostante il suono piatto, The Real
Me, The Punk And The Godfather, 5:15 e Love, Reign O’er Me balzano fuori dalle
casse in virtù della loro qualità musicale. Quindi?
Date le coordinate di cui s’è detto,
i brani più validi risultano essere il primo e l’ultimo, con una doverosa
avvertenza: sia You Must Be This Tall – è una versione elaborata del demo preparato
per la Metropole Orkest,
che ne ha eseguito la prima nel 2006 – che Glop – un
assolo di chitarra da cui sono stati estratti frammenti melodici, poi affidati
ad altri strumenti – risultano decisamente zappiani,
e classificabili alla voce "Back To The Roots".
Presente alla batteria Marco Minnemann, gli altri
strumenti (molti) sono suonati (benissimo) dallo stesso Keneally.
Cavanaugh è un brano dal sapore "prog"
vario e ben orchestrato, con un buon Keneally alle
voci e a tutti gli strumenti. Cornbread Crumb è il classico brano strumentale della Mike Keneally Band, ma ha qualcosa di letargico, e non regge
alla durata (6′ 32"), nonostante il buon assolo, la bella melodia e le
tastiere. Stupisce leggere che il brano "include quello che è forse il Keneally chitarrista meglio registrato fino a oggi":
???
Kidzapunk è una mini-opera con molto di già sentito. Pitch Pipe
sembra la colonna sonora di un film di mostri. Intricata, con molti strumenti,
e ottimi basso e batteria (è lo stesso Keneally). The
Rider è il brano che ci ha maggiormente annoiato, una "classic rock ballad" (Neil Young?) di durata
interminabile (6′ 47"), ben orchestrata e con bella coppia basso/batteria
(anche qui Keneally).
Anche Popes è accostabile ai climi della Mike Keneally Band, una
spigliata canzone.
Mentre rileggevamo il primo
intervento di Keneally su Guitar Player (è il pezzo intitolato My Glorious State Of Mind) ci è saltata agli occhi questa frase: "La cosa
fantastica dell’invecchiare è che, senza neppure fare troppo sforzo, certe cose
improvvisamente diventano molto chiare."
E per citare Annie Lennox, "Chi
sono io per non essere d’accordo?".
Beppe Colli
© Beppe Colli 2013
CloudsandClocks.net
| Aug. 27, 2013