Katell
Keineg
High
July
(Megaphone
Music)
In tempi
ormai lontani in cui – niente MP3, niente file da scaricare – l’opinione di
un critico era tutto ciò che si aveva a disposizione per sapere dell’esistenza
di artisti che non comparivano su MTV, una recensione entusiastica apparsa
sul mensile statunitense Musician ci rivelò l’esistenza di Jet, il
nuovo CD di una certa Katell Keineg. Brillante parte tecnica opera di John
Holbrook, creativamente prodotto da Holbrook, dalla stessa Keineg e da Eric
Drew Feldman (un ex collaboratore di Captain Beefheart allora componente del
gruppo di PJ Harvey), Jet (’97) era il secondo album della Keineg dopo il
molto lodato O Seasons O Castles (1994). (Il suo singolo di debutto – Hestia
– era stato pubblicato nel 1992 dall’etichetta di Bob Mould, SOL).
La prima
cosa che notammo (ma era impossibile non farlo) fu la voce della Keineg: uno
strumento tecnicamente eccellente ma anche molto versatile ed estremamente
espressivo. Mentre la maggior parte dei brani della "prima facciata"
(con la possibile eccezione di Olé, Conquistador) erano stati arrangiati
– e messi in sequenza – in un modo che certamente non impediva loro di suonare
"radiofonici", la "facciata due" (diciamo a partire dal
pezzo 7) suonava completamente diversa: stramba, umorale, e certamente dalla
parte sbagliata dell’accettazione di massa. E però, ragionavamo (perfettamente
consapevoli di avere torto), in termini commerciali avere una voce così
non poteva che condurre a buoni risultati.
Il retroterra
della Keineg era decisamente quello della "folk music" (no, per
stavolta non apriremo una discussione su quale sia il vero senso dell’espressione
"folk"): eliminati gli elaborati arrangiamenti nei quali Holbrook
e Feldman l’avevano avvolta, era facile sentire una melodia eseguita solo
da voce e chitarra – per non parlare dell’atteggiamento tenuto a proposito
della narrazione (qui trovammo un immediato ostacolo nella mancanza di testi
sul CD; ma avevamo la sensazione che fossero del tipo "misterioso").
Un certo numero di ascolti non diminuì il nostro godimento di Jet.
Certo, c’erano momenti in cui avremmo desiderato un po’ di produzione in meno.
Ma brani quali Smile, la già citata Olé Conquistador e i pezzi
della "facciata due" (Veni Vidi Vici, Venus, Mother’s Map, Marietta,
There You Go) ci rendevano molto curiosi di conoscere il seguito della storia.
Così aspettammo.
E aspettammo.
E aspettammo ancora. E appena sette anni dopo (e dopo un EP pubblicato nel
2002 di cui all’epoca non abbiamo avuto notizia), del tutto casualmente alla
fine del 2004 veniamo a sapere dell’uscita di High July – e chissà
se il fatto che l’album sia stato autofinanziato dall’artista e pubblicato
da un’etichetta che non solo non è una Major ma neppure una Minor (non
siamo neanche riusciti a trovarne il sito!) può essere stato la causa
del silenzio che lo ha circondato. (Ma no, non può essere.)
Per quanto
avessimo desiderato un po’ meno produzione su alcune parti di Jet, sulle prime
siamo rimasti perplessi per la natura "hard-disk", per sequenze,
di High July, dopo l’approccio decisamente "suonato" del suo predecessore.
Le parti vocali sono anche qui eccellenti, le canzoni decisamente degne di
nota. Ma l’album ci suonava un po’ disadorno, almeno finché non abbiamo
sviluppato una certa familiarità con esso – e non abbiamo alzato un
po’ il volume, cosa che rende tutte quelle piccole parti in sottofondo più
agevolmente percepibili (ma niente paura: l’album non suona peggio di quello
che c’è oggi in radio); la maggior parte delle parti strumentali è
stata eseguita e arrangiata da Dim Gurevich.
What’s
The Only Thing Worse Than The End Of Time? apre l’album con atmosfera ansiogena,
con una performance eccellente da parte della Keineg (ascoltiamo le voci sovraincise
che dall’inciso portano al ritornello) e un testo imperscrutabile – "And
A Poster Of ‘Francis Ford Coppola Presents Apocalypse Now’"? (Di nuovo,
i testi non sono inclusi.) Ci sono pezzi veloci dall’andamento contagioso
(Shaking The Disease, Captain (Steal This Riff)); un bel calypso (Beautiful
Day); quegli inconfondibili pezzi trascinati (High Marks, On Yer Way) dove
la voce scivola in su verso la nota; un brano dal piano sapore folk dove nulla
è rivelato (Little Joe). Il CD si chiude con le tre tracce dal sapore
maggiormente folk: Brother Of The Brush, cantata in prima persona – da Paul
Gauguin!; Seven League Boots, con tuba, fisarmonica e coro "attorno al
fuoco"; e Te Recuerdo Victor Jara, forse il vertice dell’album (ascoltare
l’entrata del "gruppo" a 3’33").
Come già
detto, la maggior parte delle parti strumentali (la maggiore eccezione essendo
batteria e chitarre) suona "computer-based" – ascoltare la parte
di "minimoog" su Shaking The Disease e le tastiere su Captain (Steal
This Riff) e Little Joe – ma l’album non suona mai "freddo & meccanico".
Ci sono dei bei tocchi che vengono all’attenzione dopo un po’ – per esempio,
(quello che a noi sembra essere) una chitarra con il capotasto su High Marks.
Le parti vocali della Keineg sono sempre degne di nota. Se l’ambiente/l’etichetta
di "folk" finirà per limitare l’appeal dell’album è
cosa che ignoriamo. (Diremmo la definizione di "psych-folk" molto
alla moda al momento. Ma sprecarla per un album autofinanziato?)
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2005
CloudsandClocks.net
| Feb. 20, 2005