Kampec
Dolores
Koncert!
(Petrys)
"C’era
in lui qualcosa di leggermente incongruo, come un russo che suona il
jazz" era ancora una frase con pieno diritto di cittadinanza tra
i modi di dire occidentali quando nella prima metà degli anni
ottanta la musica dell’est europeo cominciò ad avere una diffusione
meno clandestina. Quello del Ganelin Trio è probabilmente il
primo nome a venire in mente, unitamente a quello di Leo Feigin, l’uomo
che fece da testa di ponte per il jazz proveniente dall’est; subito
dopo – siamo in area post-velvetiana – quello dei Plastic People Of
The Universe.
Ma
prima dell’imponente servizio sulla rivista statunitense Keyboard (luglio
1987), prima che Eno "scoprisse" gli Zvuki Mu e che i Pulnoc
venissero messi sotto contratto in USA e recensiti su Rolling Stone,
un ruolo decisivo per la conoscenza delle musiche eterodosse provenienti
dall’est europeo fu giocato dall’etichetta anglosassone ReR, prima con
la regolare inclusione di gruppi e artisti sulla rivista/disco denominata
ReR Quarterly, poi con la creazione di un’etichetta – la Points East
– fondata a quello scopo.
Di
quel periodo vanno innanzitutto ricordati due album di musica elettroacustica
che ci piacerebbe vedere citati più spesso: Raab, di Jaroslav
Krcek, e il disco che raggruppa le Aide Memoire, Folk Music e Sonaty
Slavickové firmate rispettivamente da George Katzer, Zygmunt
Krause e Jaroslav Krcek. E mentre riteniamo possa essere tranquillamente
affermato che la Points East non mantenne le (forse esagerate) aspettative
che aveva suscitato, è pur vero che la valorizzazione del collettivo
lituano denominato ZGA vale l’impresa. Se l’esordio vinilico degli ZGA
(omonimo, 1989) fu più una promessa che una realtà, quell’originalissima
"musica industrial fatta in casa" trovò poi piena realizzazione
su Zgamoniums (’91) e soprattutto sull’album successivo, The End Of
An Epoch (’92).
E’
forse curioso ricordare come a fronte di un utilizzo "politico"
di certe musiche (e vicende) da parte di una stampa in sintonia con
l’establishment politico – erano gli anni di Ronald Reagan, e della
definizione della Russia quale "Impero del male" – faceva
da contraltare un qual certo pudore nel dichiarare apertamente la mediocre
caratura artistica di molte tra quelle proposte.
E
se parliamo di proposte mediocri va senz’altro citato il collettivo
ungherese dei Kampec Dolores, di cui perdemmo le tracce dopo l’esordio
su vinile. Li ritrovammo tre anni fa – era una coproduzione Bahia/ReR
– con l’album intitolato A Bivaly Hátán: un lavoro mediocre
e manierato, sterile e canzonettistico. Le perplessità aumentano
con l’ascolto di Koncert!: realizzato pressoché interamente dal
vivo, il disco ripropone quasi per intero la formazione e il repertorio
dell’album precedente, con l’ininfluente aggiunta del percussionista
Grencsó István. Il tutto fa davvero cadere le braccia:
un sassofonista che nei momenti migliori ricorda un Didier Malherbe
in serata no; una ritmica funkeggiante dove il bassista non rifugge
lo slappin’ & poppin’; un chitarrista il cui lavoro con gli echi
si premura di segnalarci la sua conoscenza di The Edge; una cantante
che può ben ricordare Teresa De Sio. Melodie "popolari da
canzonetta", arrangiamenti da festa di piazza, definizione di genere
– Etnojazz, da un manifesto riprodotto in copertina del CD – che diremmo
perfetto per fare da sottofondo a un piatto di riso Basmati condito
con pesce e verdure.
Una
sola domanda: che ci fa il simbolo ReR su una tale schifezza?
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net
| March 9, 2004