Henry Kaiser & Wadada Leo Smith/Yo Miles!
Sky Garden
(Cuneiform)
Il
Miles Davis elettrico post-Bitches Brew (quello del periodo che va dal
1970 al 1975, o per meglio dire, con distinzione analiticamente importante,
quello del ’73-’75) è stato una di quelle influenze formative
che è lecito dire decisive per il versatile e multiforme chitarrista
che risponde al nome di Henry Kaiser. È di qualche anno fa la
decisione di Kaiser di mettere su una formazione che fosse in grado
di rendere omaggio al celeberrimo jazzista riprendendone il repertorio
e – cosa più importante – la logica alla base del modo di procedere
di tanta produzione (soprattutto concertistica) di quel controverso
periodo davisiano. L’elemento cruciale era ovviamente il trombettista,
e una felice sorte ha voluto la presenza di un sensibilissimo e versatile
musicista dell’avanguardia nero-americana, Wadada Leo Smith. Smith si
è così affiancato a una formazione che vedeva quali presenze
basilari quella del bassista Michael Manring, dei chitarristi Nels Cline
e Chris Muir e degli scoppiettanti fiati dei componenti il ROVA Saxophone
Quartet, sia singolarmente che in gruppo.
Pubblicato
nel 1998, Yo Miles! è stato il primo, splendido frutto di quell’impresa.
Un lunghissimo doppio album che dava pienamente ragione a chi aveva
tentato un’impresa a prima vista impossibile (chi ci avrebbe scommesso,
a fronte di una musica di così ardua "riproducibilità"?).
Fra tante cose ugualmente degne di segnalazione vengono subito in mente
Agharta Prelude, Calypso Frelimo e il medley intitolato Themes From
Jack Johnson. L’episodio migliore per chi scrive era però costituito
dalla lunghissima Ife, dove Kaiser sembrava ricordarsi – esplosioni
chitarristiche in testa – di quella psichedelia rock che lo aveva visto
parimenti attento spettatore.
Dopo
vari e applauditissimi concerti, Sky Garden aggiorna adesso la vicenda,
cui apporta alcune importanti variazioni. Laddove l’album precedente
era il frutto di un normale lavoro di studio, sovraincisioni comprese,
si è qui deciso di registrare il gruppo come un tutto, contemporaneamente.
La scelta ben si accorda stilisticamente alla decisione di sottolineare
l’elemento percussivo – e il groove collettivo – in un repertorio che
stavolta vede una buona metà dei brani non direttamente attribuibili
a Davis, pur mentre ne rispettano le coordinate. Confermati Kaiser,
Smith, Manring e Muir, si aggiungono qui i sassofonisti Greg Osby e John
Tchicai, il batterista Steve Smith, il tastierista Tom Coster, i percussionisti
Karl Perazzo e Zakir Hussain e il chitarrista e tastierista Mike Keneally,
già compagno di Kaiser ai tempi dei Mistakes. Pregevole seppur
minima la partecipazione dei quattro ROVA.
L’album
apre benissimo, con la ripresa di It’s About That Time/The Mask arricchita
dal solo di tromba di Smith e di sax soprano di Tchicai, per poi proseguire
con la prima parte di Jabali, che sottolinea il groove. La lunga Shinjuku,
firmata da Smith, è per molti versi la vetta del disco, con belle
timbriche, groove scattante, vivace assolo di Osby all’alto e un bell’assolo
di chitarra (che a occhio diremmo essere opera di Keneally) a 10’32".
Segue una lunghissima (troppo?) versione di Great Expectations, dove
al gruppo che esegue il tema si alternano lunghi duetti tra le tabla
e le percussioni di Zakir Hussain e la tromba, l’alto e il soprano.
Chiude bene il CD una versione della Directions firmata Zawinul, che
dice molto in meno di tre minuti.
L’apertura
del secondo CD è affidata al medley Sivad/Gemini Double Image/Little
Church, che ci riporta indietro al Live/Evil; bello il contrasto tra
le parti arrangiate da Steve Adams ed eseguite dai ROVA e i secchi unisono
batteria/chitarra, quest’ultima decisamente memore di John McLaughlin.
Se Miles Star è forse il brano più ordinario, la lunga
Who’s Targeted – anch’essa firmata da Smith – è il momento più
intenso e "cosmico", con le sue chitarre blues e le tablas
a dialogare con l’organo di Tom Coster, musicista che al piano elettrico
è l’appropriato collante di tutto il disco. La seconda parte
di Jabali vede salire al proscenio le percussioni di Perazzo, mentre
Willie Dixon è un duetto non poco free tra il sax alto e la batteria.
Cozy Pete (palese la dedica a Pete Cosey) è la conclusione collettiva:
forse poco ambiziosa ma decisamente appropriata.
In
conclusione va sottolineato che l’album è in doppio layer: il
CD (quello da noi ascoltato) e il SA-CD (che necessita di un apparecchio
apposito). Se nelle note di copertina Kaiser dice un gran bene del secondo,
da parte nostra possiamo testimoniare dell’ottima resa del primo, per
certi versi superiore al già notevolissimo suono di Yo Miles!
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | Sept. 14, 2004