Dello
"scarico" (illegale)
e altre cose
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di Beppe Colli
Oct. 11, 2007
Proviamo a dare un’occhiata agli argomenti e alle notizie
che hanno maggiormente suscitato il nostro interesse nel corso degli ultimi
mesi. Vediamo se riusciamo a trovare un senso in tutto questo. Non si vince
niente, ma il divertimento dovrebbe essere assicurato.
1) Abbiamo sentito tutti la notizia
che voleva il nuovo album dei Radiohead disponibile in pre-ordine secondo
modalità che permettevano a ciascun acquirente di fissare liberamente il
prezzo che era disposto a pagare per questa versione in downloading. Figo!
Da cui, un mucchio di articoli a proposito di "indipendenza",
"nuovi modelli di business", ecc. (I Radiohead devono avere un
publicist davvero in gamba.)
2) Dato che le vendite dei CD
(fisici) risultano essere in calo, mentre le vendite dei singoli pezzi
in digitale sono in costante aumento, sono apparsi numerosi articoli con
titoli come "I singoli digitali mostrano i muscoli e si fanno beffe
degli antiquati album". Ahimé, dato che i profitti sono scesi di molto
proprio in conseguenza di questo fatto, le case discografiche non sono
certo soddisfatte della piega che hanno preso gli eventi!
3) Come conseguenza logica delle
diminuite vendite dei CD, negozi di dischi e intere catene stanno chiudendo
a destra e a manca. Il caso di Tower è ormai ben noto, i Megastore della
Virgin sono stati venduti di recente e la HMV soffre per la diminuzione
dei profitti; ma è stato il caso del fallimento di Fopp (l’ultima catena
di negozi del Regno Unito a costituire uno sbocco significativo per le
etichette indipendenti) a impressionare davvero, anche se in questo caso
l’evento sembra attribuibile più alla circostanza che vuole la società
aver fatto il passo più lungo della gamba da un punto di vista finanziario
che a un problema di vendite insufficienti. (Una buona descrizione complessiva
del panorama si trova in: The vinyl frontier, di Adam Webb, The Guardian,
Friday July 6, 2007.)
4) Per coloro i quali non credono
ancora che le cose vanno molto male c’è poi la spiacevole questione della
qualità sonora. L’assoluta mancanza di spazio dedicata a questo argomento
dalla maggior parte della stampa non ci ha impedito di leggere (almeno)
tre buoni articoli: No taste for high-quality audio, di Jack Schofield
(The Guardian, Thursday August 2, 2007); The Future of Music, di Suhas
Sreedhar (spectrum.ieee.org, aug07; accanto al testo, il pezzo presenta
vari esemplari di forme d’onda audio); e Producers howl over sound
cut out by MP3 compression, di Joel Selvin (The San Francisco Chronicle,
Monday, August 13, 2007).
5) Nel frattempo, mentre chi scrive
si chiede ancora cosa ci sia davvero in Second Life, e cosa voglia dire
Web 2.0, un articolo molto interessante, Notorious Nobodies di Bryan Appleyard,
è apparso nel supplemento Culture del The Sunday Times International, July
29, 2007.
6) Così era logico che a questo
punto venisse fuori qualcuno a proporre la chiusura della Rete (ma attenzione,
solo per cinque anni): Sir Elton John, nel pezzo intitolato Why we must
close the net, apparso sul quotidiano del Regno Unito The Sun in data August
01, 2007, e istantaneamente accolto da dileggio in tutto il mondo. Da quello
che abbiamo capito, i punti sollevati erano assolutamente meritevoli di
dibattito serio se si tratta di musica, ma… (Forse c’è bisogno che qualcuno
molto più giovane sollevi nuovamente la stessa questione?)
E adesso proviamo a discutere brevemente questi punti.
1) Quello che abbiamo trovato
irresistibile della faccenda dei Radiohead sono stati i commenti bellicosi
di coloro i quali hanno scoperto che mentre era possibile pagare anche
solo 1 penny per scaricare l’album, sulla carta di credito ne sarebbero
stati addebitati ben 45 quali spese della transazione! Scoppia un pandemonio.
Fortunatamente è stato presto scoperto che pagando (!) 0 pence la transazione
era ancora valida, ma sulla carta di credito non veniva addebitato alcunché.
(O almeno, così ce l’hanno raccontata.) Phew… Evitata la rovina finanziaria,
torna la calma.
2) Per motivi che è decisamente
troppo lungo esaminare qui, da molto tempo le grandi case discografiche
investono gran parte del loro denaro e delle loro speranze – e la maggior
parte dell’attenzione dei media si concentra – su artisti del tipo "usa
e getta", che vivono (o muoiono) a seconda del successo del loro ultimo
singolo. Quindi, se il pubblico può adesso fare a meno di acquistare gli
album pubblicati da questi artisti, è soprattutto a se stesse che le Major
devono darne la colpa.
3) Con tutto il parlare che si
fa del fatto che il CD è praticamente morto, tendiamo a dimenticare che
esso
"copre ancora più del 90% del mercato in termini di valore" (vedi
il già citato pezzo del Guardian, The vinyl frontier di Adam Webb, Friday
July 6, 2007). Quindi, a questo punto, date tutte le ragioni che conosciamo
benissimo e che spiegano alla perfezione il motivo per cui nessuno può mai
considerare l’acquisto di un CD un’azione dotata del benché minimo senso,
ci piacerebbe molto poter leggere un’inchiesta giornalistica sui motivi per
cui tanta gente continua imperterrita a comprarli.
4) La qualità sonora è un argomento
che ormai da molto tempo viene accolto con scherno, ambito d’interesse
per gente che ha più soldi che intelligenza (o gusto in faccende musicali).
Non molto tempo fa ci è capitato di leggere qualcuno che diceva – a proposito
di alta fedeltà – "fedeltà a che cosa?", come se fosse una posizione
dotata di chissà quale profondità. Ovviamente, per il "Punk"
l’argomento qualità sonora semplicemente non esisteva (e se esisteva, era
solo con una valenza negativa, come in "il Prog fa schifo!"). Mentre
in un mondo post-MTV – sia per il pubblico che per le case discografiche
–
"quello che vedi è tutto quello che c’è".
5) Tutta la faccenda "La
vita nel Web 2.0" è ben al di là della portata di questo scritto.
Consigliamo caldamente la lettura del pezzo già citato apparso su The Sunday
Times International.
6) Dobbiamo confessare di non
essere assolutamente degli esperti quando si tratta di tutto ciò che lo
riguarda, ma ci pare di ricordare di aver letto in un vecchio numero di
Zigzag che Elton John si ricordava ancora – e diremmo che il riferimento
dovrebbe essere al periodo in cui registrava il suo primo album – di quando
lui e Bernie Taupin attendevano con ansia che gli importatori procurassero
loro quegli LP dagli USA che avevano ordinato; e di com’erano contenti
quando gli album arrivavano, mentre se non arrivavano l’intera giornata
era rovinata. Beh, è stato solo un paio di giorni fa che ci è capitato
di leggere da qualche parte – in un blog USA, o qualcosa di simile – di
quanto fosse stato sbagliato che la casa discografica di Annie Lennox avesse
reso il suo nuovo album totalmente disponibile in streaming una settimana
prima della data d’uscita; e come la magia racchiusa nello scoprire l’album
da soli dopo l’acquisto fosse stata irrimediabilmente sciupata.
A parere di chi scrive, ormai da molti anni l’ostacolo principale
alla comprensione della situazione che ci troviamo a dover affrontare –
il punto che ci rende difficile giungere al nocciolo della questione –
è il fatto che le Major sono Il Cattivo Perfetto. Per quanto ci si sforzi,
nessuno riuscirà mai a inventarne uno migliore. Dato che ormai conosciamo
bene loro e i loro comportamenti è tempo di andare oltre: sebbene siano
il perfetto colpevole, il perfetto capro espiatorio e la perfetta cortina
fumogena, è ad altro che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione.
E’ ormai da tanto tempo che sentiamo
continuamente dire che la gente non compra musica perché "costa troppo".
Cosa strana, coloro i quali pronunciano queste parole mostrandoci un "porta
CD masterizzati" – e oggi, uno di quegli affari che hanno una memoria
di un numero rispettabile di GB – consumano con liberalità alcol e cibo,
vanno ai concerti, mettono benzina nella macchina e nella moto, comprano
vestiti, si tagliano i capelli e via dicendo. Dobbiamo concludere che tutta
questa roba costa poco? O che il prezzo di questa roba "ne rispecchia
il suo vero valore?"
Certo, le Major sono entità impossibili
da difendere. Questo vuol forse dire che sappiamo tutto quello che avviene
nelle cucine dei posti dove mangiamo, e se tutti quelli che ci lavorano
hanno dei contratti regolari? E cosa dire di quei posti lontani dove si
fanno i vestiti che indossiamo? Possiamo facilmente giungere alla conclusione
che rifiutiamo di pagare la musica semplicemente perché (da un punto di
vista tecnico e – in un’accezione pratica – legale) siamo in grado di farlo.
E che la cosa ci rende possibile avere un miglior tenore di vita di quello
che sarebbe possibile avere se dovessimo pagare tutta la musica che consumiamo.
Una massima ripetuta in modo ossessivo
recita che "voler ricavare reddito dalla vendita degli album è una
cosa del passato: gli artisti devono procurarsi il danaro con i concerti
e le T-shirt". D’accordo. Per quegli artisti che si sono fatti un
nome nel passato potrebbe funzionare – forse (anche se siamo curiosi di
vedere le cifre di quest’anno, quando – ormai convinti che le loro speranze
di guadagno fossero tutte riposte nei concerti – un certo numero di artisti
famosi è andato in tour nello stesso periodo). Ma dato il rapido ricambio
degli artisti che – in virtù della natura dei tempi moderni – sono del
tipo "usa e getta", quanti dei nomi di oggi saranno ancora qui
tra qualche anno?
Ovviamente la soluzione di cui
sopra non risolve i problemi di quelli che scrivono canzoni ma non suonano
o cantano dal vivo, di quelli la cui musica non funziona tanto bene quando
è suonata dal vivo, dei tecnici e produttori che non vanno in tour come
i musicisti, di tutti coloro che per vari motivi (età, aspetto e così via)
non potranno ricavare reddito da sponsorizzazioni, pubblicità, ecc.
Va da sé che un mucchio di gente
non si è mai presa il disturbo di pensare al suono. Dover fare le cose "in
economia" renderà impossibile ascoltare su disco tutti quei suoni
che ci parlano con tanta chiarezza anche se non necessariamente li notiamo
in modo cosciente – dal suono dell’album dei Sex Pistols Never Mind The
Bollocks… all’ambiente umido di New York Tendaberry di Laura Nyro. Gli
studi di registrazione necessitano di un flusso costante di danaro per
le attrezzature, i tecnici della manutenzione, i tecnici del suono e così
via. I microfoni a valvole di buona qualità non costano poco. Gli affitti
vanno pagati. E’ ovvio che il declino dei grandi studi ha avuto inizio
molto prima della comparsa del downloading. Certi tipi di musica necessitano
di un certo tipo di attrezzature, e altri no. Ma oggi una crisi finanziaria
ha come conseguenza il fatto che solo un certo tipo di suoni (la maggior
parte dei quali davvero scadenti) dovrà andar bene per tutti.
Qui si potrebbe dire che se parliamo
di suono non è ragionevole attendersi – né pretendere – una qualità elevata
da qualcosa che è gratis. Questa è una spiegazione che forse sarebbe potuta
andar bene in passato. Ma oggi – proprio come sta accadendo con i film
(sono poi tante le persone che oggi rimpiangono i grandi schermi di una
volta?) – la gente vive in un mondo in cui il suono è in quantità crescente
confinato a computer, a sistemi portatili di basso prezzo, a cuffiette
ecc., tutta roba dalla fedeltà decisamente ridotta (mentre è già apparsa
una generazione che non ha mai fatto esperienza della musica legata a un
supporto specifico come il vinile o il CD).
E’ già stato detto che "è
stato sempre così", e che la gente negli anni 50 ascoltava la musica
su radio e giradischi di poco prezzo che certo non offrivano molta fedeltà.
Vero, ma compariamo questi fattori: a) quantità di rumore nell’ambiente;
b) quantità di musica liberamente disponibile; c) il senso dell’atto di
ascoltare; allora e oggi.
Per motivi tecnici, la musica è diventata l’esempio perfetto
di prodotto che meglio risponde all’atteggiamento contemporaneo fatto di
attenzione di breve durata, memoria volatile e interesse superficiale;
tutte cose che si accompagnano bene a quello che è "usa e getta",
e quindi di basso prezzo, o – meglio ancora – gratis. Il tipo di consumo
moderno – il
"capriccio" – ha trovato nella musica un perfetto veicolo, laddove
quello che conta è solo il numero delle esperienze. Ovviamente, ci sono cose
il cui alto prezzo è ancora un grosso ostacolo alla realizzazione di tale
atteggiamento (mentre, a certe condizioni, è proprio l’alto prezzo a costituire
il nocciolo di un’esperienza). Ma tutto quello che può essere trattato come
"usa e getta" lo diventa.
I giornali (di carta) si trovano
stretti tra Scilla e Cariddi: se danno ai lettori roba difficile, essa
li farà stare lontani. Se danno loro tonnellate di roba superficiale si
troveranno in competizione con quei posti sulla Rete che di fatto offrono
le stesse informazioni, epperò gratis – e con un ricambio quotidiano. Frattanto,
ora che la banda larga è sempre meno un problema, ci sono posti in Rete
che hanno cominciato a offrire file audio e video quali sostituti dell’analisi
musicale espressa in un linguaggio (quello che stiamo usando qui) che in
maniera crescente la gente non sembra più essere in grado di capire (per
non dire delle "cose"
che stanno scomparendo in quanto concetti, l’esempio perfetto essendo
"introspezione"). E temiamo che non ci sia una facile via d’uscita
da tutto questo.
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | Oct.
11, 2007