If
By Yes
Salt On Sea Glass
(Chimera Music)
"In attesa del CD."
Così,
più o meno quattro anni fa, si chiudeva la nostra recensione di un concerto
dello Yuka Honda Group. E i primi a essere sorpresi eravamo stati noi,
visto e considerato che quella era stata un’esibizione alla quale avevamo
deciso di assistere per pura curiosità – e, va detto, soprattutto per vedere
come se la sarebbe cavata in tale contesto Petra Haden, voce solista di
un repertorio a noi decisamente poco familiare: discreta la nostra conoscenza
della musica dei Cibo Matto, decisamente fallosa quella del repertorio
successivamente inciso dalla Honda in qualità di solista.
Ma era
ancora fresco in noi il ricordo di un’esibizione del duo Bill Frisell/Petra
Haden laddove quest’ultima era riuscita a rendere perfettamente credibili
canzoni stilisticamente dissimili mediante un’interpretazione di grande
naturalezza. Il che potrà sembrare scontato, se si omette di considerare
che un vento gelido – in piena estate! – aveva funestato il benessere di
pubblico e cantante. Ma la Haden, pur stringendo a sé un sottile giubbino,
era riuscita a non manifestare alcun problema di intonazione o di credibilità.
Eterogeneo
per stili e atmosfere, il concerto dello Yuka Honda Group aveva mostrato
un ottimo livello qualitativo. Da cui la nostra speranza che quello che
ci era sembrato di capire – che parte del repertorio eseguito quella sera
provenisse da un album di là da venire condiviso dalla Honda e dalla Haden
– diventasse realtà.
Ed ecco
qui Salt On Sea Glass (diremmo evidente il gioco di parole con il californiano
Salton Sea), pubblicato a nome If By Yes: un quartetto dove due musicisti
che ci vien detto essere non poco stimati e discretamente noti – Yuro Araki
a batteria e percussioni e Hirotaka Shimizu alle chitarre – si affiancano
alle tastiere della Honda e alla vocalità multipla della Haden.
Salt On
Sea Glass è un album non facile da presentare, e proprio in ragione della
sua – apparente – "facilità". E’ un album che è senz’altro appropriato
collocare nella categoria "Pop" (aggiungendo, se si vuole, suffissi
quali "evoluto", "complesso", "intelligente" e
così via, a piacere). E qui la cosa è resa ancora più complicata dal fatto
che
"Pop", oggi, è categoria ancor più varia e sfuggente di quanto
non fosse quella di "Rock" ai tempi belli.
"Complessità
nascosta": queste le parole che preferiremmo non usare, ma che a nostro
parere risultano le più appropriate per definire quest’album. Un album
che si avvale di qualche "partecipazione speciale" (Cornelius,
David Byrne), dei "soliti sospetti" (Sean Lennon, Trevor Dunn),
di qualche sorpresa (Nels Cline, Douglas Wieselman) e di qualche nome che
a noi dice poco (Jeff Hill, Pamelia Kurstin).
Non è
musica da "assolo". Contano le parti, e il risultato finale.
Piace segnalare l’estrema leggibilità del tutto – e delle singole parti
– pur in presenza di "pieni" di ricchezza orchestrale. Va parimenti
segnalata l’estrema compattezza e logicità del risultato pur se il lavoro
– realizzato nel corso di un decennio – proviene da session molto diverse
per quanto riguarda l’identità di studi, tecnici, strumentisti e strumenti.
Due i principali elementi unificanti: la produzione di Yuka Honda (non
inganni il fatto che qui non si citano le sue molte tastiere) e la vocalità
della Haden.
(Un riflesso
condizionato ci ha spinto a chiederci quanti – e quali – fossero i brani
da noi ascoltati in quel concerto. Ci sembra proprio di aver già ascoltato
Imagino e qualcosa di simile al pezzo "rock con vocalizzi"
che chiude l’album. Decisamente non nuovi, con un prudente margine d’incertezza,
diremmo I’m Still Breathing e Lightning In Your Mind. Chissà.)
L’album
si apre con due brani che vediamo come una sorta di "introduzione".
You Feel Right è una bossa dove batteria, basso e tastiere sono appannaggio
di Keigo Oyamada/Cornelius, che ha anche rimissato il tutto; bossa multivocale,
voci a volte effettate, piatti "scintillanti", accenti di basso
e percussioni "spostati" rispetto alla norma. Eliza vive in una
dimensione che diremmo "Bollywoodiana" – si ascoltino gli archi
e la melodia vocale; chitarre acustiche in evidenza, pertinente contributo
vocale di Byrne, un buon uso della lap steel (è Nels Cline), bella chiusa.
Qui, a
nostro parere, comincia l’album vero e proprio. Three As Four (con Sean
Lennon ai bassi) apre con armonici di chitarra; è una ballad piana con
accompagnamento cadenzato che si apre nel ritornello acquistando aria;
bei piatti, e intermezzo
"spaziale" di chitarra e synth. Imagino, con Wurlitzer e Theremin
che si aggiungono alla miscela, ha un’atmosfera liquida; l’ingresso di un
sax tenore ci ha riportato per un istante al Wayne Horvitz di Dinner At Eight:
controlliamo, ed è proprio lui, Doug (ora Douglas) Wieselman. Unico brano
prodotto da Keigo Oyamada/Cornelius, I’m Still Breathing vive di sottili
sfasamenti temporali, rapporti poco appariscenti (si ascolti l’intreccio
delle chitarre elettriche arpeggiate sui due canali che apre il brano), eccellente
interpretazione "stratificata" della Haden. In My Dreams chiude
un’ideale "prima facciata" (un LP esiste, ma non abbiamo avuto
modo di ascoltarlo; per ciò che riguarda incisione e masterizzazione il CD
è eccellente); una melodia "orientale" che si distende nel ritornello,
basso acustico, sax tenore, di nuovo il Theremin, ottimo rullante in rimshot.
La
"seconda facciata" si apre – sorprendentemente – con un funky cadenzato
alla maniera degli Steely Dan, periodo Gaucho: Shadow Blind offre sfumature "bluesy" per
la Haden, ottimo tempo di Yuro Araki, chitarre
"magre" e basso "grosso", come logico, e Rhodes e Tenorion
(in Rete c’è) per la Honda. Segue strettamente You’re Something Else, un
"funky/trip-hop" che non ci ha troppo convinto.
Fanno
seguito i due brani a nostro avviso più riusciti. Out Of View, con tastiere
e archi della Honda al proscenio, è quasi una ninna nanna; apre con campanelli,
poi Rhodes, begli arpeggi chitarristici e un ottimo rullante. Lightning
In Your Mind è l’apice dell’album, vero "momento da fazzoletti";
apertura di rullante suonato con le spazzole con cordiera in evidenza,
"orchestra", voce solista della Haden che non ha bisogno di descrizioni,
strepitoso coro finale. E’ la vera chiusa.
Per basso,
chitarra, batteria e voci multiple, Adrift è una strana miscela Pink Floyd/Velvet
Underground: arpeggio discendente di chitarra, bella cassa, piatti, rullante
che si fa cadenzato, chiusa.
Siano
concesse due parole in finale. Essendo l’album uscito negli U.S.A. alla
fine di marzo, e in Europa alla fine di aprile, abbiamo avuto il privilegio
di poter leggere alcune recensioni. Fatto salvo il fattore gusti personali,
siamo rimasti sconcertati (più del solito) dalla leggerezza con la quale
alcuni colleghi si sono fermati alla superficie di questa musica, forse
ingannati dalla sua levigatezza. Invitiamo esplicitamente il lettore a
un ascolto attento.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| May 12, 2011