Imogen Heap
Sparks
(Megaphonic)
Sul
finale di Everything In-Between – The Story Of Ellipse (2011), il bel DVD-V che
narra la lunga e complessa realizzazione del suo riuscitissimo e acclamato
terzo album, Ellipse (2009), Imogen Heap promette solennemente che mai più
realizzerà qualcosa che necessita di un impegno tanto protratto nel tempo. E
così è stato.
A vederla
in quel contesto, la scelta – già peraltro esplicitata nel corso di numerose
interviste effettuate a ridosso dell’uscita dell’album – non era parsa
ingiustificata. Ma in quell’occasione la musicista si era imbarcata in un
progetto che fin dall’inizio si presentava come decisamente impegnativo,
comprendendo la costruzione ex novo di uno studio di registrazione e il lavoro
di ristrutturazione della casa di campagna in cui lo studio avrebbe trovato
ospitalità. Per non parlare delle lunghissime sedute d’incisione e missaggio –
ricordiamo che la Heap è splendido produttore e tecnico di se stessa, come ben
dimostra il Grammy© attribuitole proprio per quest’album nella prestigiosa
categoria Best Engineered Album, Non-Classical.
Vedendo
le cose dall’esterno, potremmo dire che uno studio si costruisce una volta
sola, e chiuderla lì. Ma c’è dell’altro.
Come il
lettore ben sa, negli ultimi anni ha avuto larga diffusione la credenza – il
primo fautore che ci viene in mente è l’avvocato statunitense specializzato in
problemi concernenti l’entertainment, Bob Lefsetz – che qualifica come suicida
lo schema "tre anni di silenzio passati a fare un album, e nel frattempo
il pubblico si è dimenticato di te" e auspica l’adozione dello schema che
prevede "un pezzo ogni tre mesi, e un contatto continuo con il pubblico,
che va stimolato ma anche reso partecipe".
Qui la
Heap non ha certo nulla da imparare, avendo iniziato a tenere un attivissimo
blog più di dieci anni fa e avendo coinvolto i suoi fan in un numero enorme di
decisioni concernenti la sua musica e i suoi album.
Però
dobbiamo ammettere che quando la musicista ha annunciato che avrebbe pubblicato
un pezzo ogni tre mesi abbiamo cercato i sali. Il motivo della decisione era
ovvio: non chiudersi in casa per così tanto tempo, chiudendo fuori la vita e le
sue tante opportunità. Ma questo intendimento assume un colore ben preciso nel
momento in cui il reddito di un musicista proviene sempre più da occasioni che
diremmo "esterne" alla musica, pur presupponendola.
E così,
quando la Heap ha annunciato che avrebbe iniziato a pubblicare singoli brani
sul suo sito con cadenza trimestrale a partire dal marzo del 2011 abbiamo
spento il computer e abbiamo iniziato ad attendere l’apparizione dell’album. Il
risultato? Ci siamo sentiti come la panchina del suo video, con le foglie, il
sole e la neve a segnare il trascorrere del tempo.
Il nostro
atteggiamento "attendista" non era causato da un apprezzamento
tiepido nei confronti della musicista. Semplicemente, il nostro modo di
rapportarci alla musica è "old fashioned". E l’idea di passare il
tempo al computer scaricando un pezzo, guardando un vBlog, votando su questo o
quell’aspetto di un lavoro – e questo per due anni – non fa parte di quello che
per noi è ancora "ascoltare musica". A questo punto un diavoletto che
conosce bene i nostri punti deboli ci punzecchia e ci chiede: "Ma non ti
sarebbe piaciuto vedere in tempo reale Tim Bogert che incide l’assolo di basso
di Shotgun?". E’ un colpo basso. Ma sappiamo ambedue che questa è solo
l’astrazione di un voltarsi indietro nell’epoca di Internet e che la realtà è
diversa.
Era
opinione comune che il nuovo album della Heap, Sparks, sarebbe apparso alla
fine del 2013. Poi abbiamo cominciato a ricevere messaggi che iniziavano tutti
con "We’re sorry to inform you that…".
E così ci
troviamo in una situazione ben strana: quella di dover parlare di un album
"nuovo" contenente materiale tutto edito, ché le cose più recenti
dovrebbero risalire a due anni fa. Epperò vediamo che l’album è andato al #1
della classifica di Billboard chiamata Top Electronic Albums (qualunque cosa
ciò voglia dire). Va da sé che di Sparks esistono versioni multiple, la nostra
essendo quella "Sparta": un CD.
Un breve
riassunto delle attività più recenti della musicista stancherebbe noi e il
lettore (la Heap è un tipo che fa sul serio: personal trainer, corsa, guantoni,
esercizi mozzafiato a fare da aperitivo). Diciamo solo che ci sono stati pezzi
ogni tre mesi, un video per pezzo, viaggi in Cina e in India, contatti con la
Intel per produrre una Jogging App, il crowdfunding per raccogliere i soldi per
realizzare l’album, incontri, colonne sonore, una campagna Kickstarter per
realizzare un controller sotto forma di guanti (Mi.Mu gloves) e tanto altro
(recentemente, anche una gravidanza, la prole essendo attesa per il mese di
novembre).
Un
piccolo salto laterale. Amici californiani ci informano di un fatto che
ignoravamo del tutto: la scarsa simpatia provata per la Heap da musicisti
d’avanguardia che trovano poco bello che la Heap presenti come
"innovativi" aspetti della tecnologia legati alla musica da lei usati
quali "looping" e "harmonizing" in tempo reale senza mai citare
i tanti che l’hanno fatto prima di lei. E la cosa vale ancor di più per i nuovi
guanti che fungono da controller – qui il nome che ci è stato fatto è quello di
Laetitia Sonami, con il suo "Lady’s Glove"; a chi scrive era invece
venuto in mente il lavoro di programmazione dell’olandese STEIM e cose come The
Hands, il pionieristico controller MIDI di Michel Waisvisz. Dando un’occhiata
in giro vediamo che la Heap ha fatto menzione di Elena (Elly) Jessop del MIT
media lab e del suo guanto denominato "the VAMP glove". Per certi
versi è una cosa parallela all’indignazione che ebbe a bersaglio Robert Fripp
quando chiamò il suo sistema "Frippertronics", dandosi – si disse –
patente di inventore di qualcosa che era stato già usato mille volte, da Terry
Riley a Mauricio Kagel (o vice versa).
Va da sé
che l’ultima cosa che potremmo aspettarci da un album come questo è la coerenza
stilistica, un aspetto che risalta ancor di più quando Sparks viene ascoltato
accanto a Ellipse (cosa che abbiamo fatto anche per un altro motivo: se
l’amplificatore e le casse sono le stesse di allora, lo stesso non vale per il
nostro lettore CD; abbiamo quindi voluto fornire ai due album "condizioni
di parità"). Ellipse nasceva da un lavoro compositivo che vedeva il
pianoforte quale macchina generatrice, con la voce ad assumere l’ovvio ruolo di
protagonista. Tutti gli apporti esterni, e l’elaborato "sound design"
ideato dalla musicista, andavano ad armonizzare un quadro che avrebbe avuto
quasi lo stesso senso qualora visto su carta pentagrammata. Sparks manifesta
immediatamente la sua origine composita. Buffo notare quanto sia diverso
"l’aspetto" del tutto: se Ellipse presenta una scena sonora alta e
convergente verso il centro, con una gerarchia dei suoni evidentissima, Sparks offre
un panorama "schiacciato" ma larghissimo ai lati, con una relazione
tra i piani decisamente cangiante (qualcuno potrebbe ricordare il mutamento –
da "alto e centrale" a "basso e largo ai lati" – intercorso
tra due album di Joni Mitchell quali Wild Things Run Fast e Dog Eat Dog).
Diamo
un’occhiata ai pezzi.
You Know
Where To Find Me. Brano d’apertura, è una ballad con piano che si riallaccia
alle atmosfere tipiche dell’album precedente. C’è una bella sezione B, e un
bell’inciso. Performance vocale "corale". Notevole la lunga sezione
finale a sfumare, con un aroma di Annie Lennox.
Entanglement
presenta un disegno ritmico mid-tempo. Inventivo ingresso synth-voce, con bella
combinazione timbrica. Anche qui svolgimento melodico multivocale, un
bell’inciso, e un efficace intermezzo per archi.
The
Listening Chair è una "cronistoria" ovviamente multitematica con
tonnellate di voci.
Cycle
Song sa tanto di "Bollywood": ritmica cadenzata, un giro melodico
allegro e comunicativo. C’è una preghiera campionata, voci, e archi (veri).
Telemiscommunications
è stata composta insieme a deadmou5. Disegno ritmico, appoggio pianistico,
melodia aerea, cori. E’ un brano abbastanza bello, ma che non va da nessuna
parte.
Lifeline
ha un’apertura vocale, appoggio di piano, ingresso di ritmica cadenzata, e una
bella apertura melodica, con più di un punto di contatto con gli Eurythmics.
Inciso, e parte di basso decisamente attiva.
Neglected
Space offre una narrazione "parlata" che non può non riportare alla
mente Laurie Anderson. Effetti, buon ambiente, multiepisodi, a ben vedere
sinfonico.
Minds
Without Fear è un altro momento "Bollywood" non di nostro gradimento.
Composta con il duo Vishal-Shekhar. Voci maschili, percussioni. Dal nostro
punto di osservazione "occidentale" molto brutta.
Me The
Machine è un brano che stranamente presenta qualcosa di
beatleasiano/psichedelico in ¾ in un pezzo di ambientazione
"futuristica" – la storia ci ha ricordato un aspetto del film Her –
con bello sviluppo melodico. C’è un inciso inventivo, anche nella
strumentazione.
Run Time
è "cadenzato/dance". Basso nasale, ritornello orecchiabile.
Bell’inciso. C’è un momento "sospeso" per archi, poi il brano
accelera. (E’ il pezzo collegato alla Intel e alla faccenda della Jogging App.)
Climb To
Sakteng presenta voci "celestiali", una voce maschile, pianoforte, il
tutto sa tanto di "musica da film", un po’ così.
The Beast
dovrebbe essere il brano più vecchio presente sull’album. Ipnotica e non molto
interessante, è composta insieme a Bobby Ray Simmons. Archi.
Xisi She
Knows presenta cori e un conteggio "campionati", e un gruppo rock
cinese. Brano poco convincente per chi scrive.
Propeller
Seeds è ricca di effetti "binaural" – qui l’ascolto in cuffia è
obbligatorio. Bello sviluppo melodico. Rumori ambientali, con gli effetti a
commentare il testo. Di nuovo, un ricordo di Annie Lennox. Gran bell’inciso. (E
notiamo che la Heap è tra i pochi che ancora dedicano molta cura a questo
aspetto della composizione.)
A questo
punto l’ultima parola spetta al lettore. Chi scrive considera ancora Ellipse
come il miglior punto di partenza per chi non ha mai ascoltato la musicista.
Sparks non è tanto un album "minore" quanto un album
"diverso". Qui le cose si fanno più complicate, e crediamo che lo
saranno sempre più in futuro. Finora, bene o male, i giudizi hanno gravitato
nella sfera dell’estetico, con l’eventuale "soggettività" a fare da
discrimine. Ma se si parla di "reactive music" o "generative
music" ci si avvicina molto a una musica sofisticata per videogame, un
ambito in cui il giudizio non è tanto "estetico" quanto
"funzionale", e massimamente in una jogging app, dove quello che
conta è l’efficacia sul campo. Tempi interessanti.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| Sept. 28, 2014