Imogen
Heap
Everything In-Between
The Story Of Ellipse (DVD-V)
(Megaphonic)
Diretto – e montato con lucida appropriatezza – da Justine Pearsall, Everything
In-Between – The Story Of Ellipse è il documentario in stile "full
access" che testimonia la creazione e la realizzazione dell’album
di Imogen Heap intitolato Ellipse. Un lavoro la cui elevatissima qualità
tecnica in fase di incisione e missaggio è valsa all’artista un premio
Grammy© nella prestigiosa categoria Best Engineered Album, Non-Classical
(un evento, sia detto tra parentesi, che avrebbe meritato ben altra risonanza,
se consideriamo che quella del 2010 dovrebbe essere la prima vittoria di
una persona di sesso femminile in una categoria "tecnica" da
sempre largamente dominata da professionisti di sesso maschile). Un’ora
e mezza di durata a condensare le 371 ore di girato realizzate nei tre
anni (strettamente intesi: 810 giorni) che coprono l’arco creativo dell’album
e le vicende immediatamente successive alla sua pubblicazione.
Rimane
solo da dire chi è Imogen Heap. (Detta così fa quasi ridere. Eppure è una
situazione che capita sempre più spesso, laddove un artista può essere
una "celebrità"
per alcuni e un "assolutamente sconosciuto" per tutti gli altri.
Ed è una cosa molto diversa dal vecchio schema "a cerchi concentrici",
laddove la "fama" partiva da un centro – gli "early adopters",
per usare un’espressione recente – per poi propagarsi a un numero di persone
sempre maggiore. Qui è una "tunnel vision" che produce una situazione
di "o tutto o niente", come avremo modo di vedere più avanti, se
il lettore sarà ancora sveglio.)
Incontrammo
per la prima volta Imogen Heap su un album di Jeff Beck (You Had It Coming,
2001), a cantare il vecchio blues Rollin’ And Tumblin’. E non ce ne scordammo
più, ma non per l’interpretazione – assolutamente dimenticabile – quanto
per il nome, decisamente non comune. (Il diminutivo è Immi.) Del tutto
casualmente la ritrovammo di lì a poco quale metà dei Frou Frou nell’album
Details, che a grandi linee diremmo un tentativo non privo di spunti positivi
di aggiornare la vecchia ricetta Eurythmics. Venne poi fuori un album inciso
in età acerba (I, Megaphone, del 1998), con coperture illustri, che non
ci curammo di ascoltare.
Era il
2005 quando una persona che consideriamo degna di fiducia ci consigliò
di ascoltare Speak For Yourself, nuovo album di… Imogen Heap. Detto fatto.
Nonostante l’album partisse in salita non ci fu difficile individuarne
i non pochi meriti. Ottima voce, per timbro e duttilità interpretativa.
Belle melodie, orecchiabili ma tutt’altro che "facili". Una cifra
compositiva sofisticata che faceva intravedere studi classici. Testi foneticamente
curati, ma non banali e che si offrivano all’indagine. Suoni fantasiosi
e masterizzazione non stancante. Ciliegina sulla torta, le note di copertina
ci informavano del fatto che l’accensione di una nuova ipoteca sulla casa
aveva consentito alla musicista la realizzazione dell’album (si intende
qui: acquisto di strumenti e macchinari e affitto di un luogo fisico).
Difetti
per chi scrive? Una certa sovrabbondanza di elementi "techno" e
"dance" (il lettore perdoni la terminologia vaga). Il fatto che
a volte le "basi" sembravano tirare i pezzi da un lato, e le melodie
dall’altro. Una certa sovrabbondanza di "eventi sonori". Ma l’album
reggeva bene (un riascolto recente non l’ha trovato affatto invecchiato,
cosa che accade spesso quando la novità maggiore di una musica risiede nell’apparato
tecnico, inteso come: quello che era in vendita al negozio).
Pur se
consigliamo l’ascolto dell’album come un tutto, è possibile citare tre
episodi. Headlock è il brano che a nostro avviso combina con maggiore efficacia
l’elemento
"techno" e una melodia serrata. Hide And Seek (che il lettore avrà
forse già ascoltato altrove ignorandone l’identità) sottopone una melodia
a voci multiple a un trattamento "vocoder" (ma qui siamo in era
plug-in). The Moment I Said tira fuori il pianoforte per una scrittura complessa
dalle linee vocali di grande impatto emotivo.
Non potevamo
fare a meno di interrogarci sui mezzi di sostentamento dell’artista, ché
le vendite non si indovinavano certo stratosferiche. Venivano fuori due
elementi interessanti. L’inclusione di brani in colonne sonore di film
e di serie televisive di buon successo, quindi atte a sostituire inesistenti
passaggi radiofonici. E una serie di fan accaniti, attivamente partecipi
della creazione dell’album tramite un frequentatissimo blog che la Heap
utilizzava senza risparmio quale filo diretto.
Pubblicato
nel 2009, Ellipse apparve in quello che per chi scrive fu per molti aspetti
il momento peggiore per l’apprezzamento di un album. Fu quindi a causa
di motivi
"esterni", niente affatto attribuibili a carente fascino o difficoltà
eccessiva, che ci trovammo ad apprezzare pienamente l’album solo quando esso
era già vecchio.
Rispetto
al predecessore, Ellipse mostra un enorme salto di qualità già a partire
dai
"quadri sonori", dove ora le melodie, i contrappunti, gli accompagnamenti,
i "tocchi speciali", le partecipazioni esterne, gli echi e la disposizione
spaziale degli eventi formano un quadro coerente. E’ musica densa, cui una
masterizzazione che non potrebbe essere più pertinente (è Simon Heyworth)
aggiunge il tocco perfetto per indurre l’ascoltatore ad alzare il volume
e a indagare gli strati della musica (un solo esempio: i melismi da musica
indiana che attraversano il tessuto di Tidal). Disegni ritmici perfettamente
integrati nei brani, a conferma di un’accresciuta maturità.
Accattivante
l’apertura di First Train Home, tutta affidata alla voce Earth, malinconica
e vocale Little Bird, composita Tidal, appropriatamente ritmica Bad Body
Double, la bella Canvas a condurre alla chiusura delicata di Half Life.
Ma è l’album a funzionare come un tutto, rivelando nel tempo un mutamento
laddove violino e violoncello assumono gradualmente rilevanza.
Everything
In-Between – The Story Of Ellipse ha inizio da quella che è a un tempo
una vacanza in giro per il mondo e una serie di session compositive documentate
grazie a una semplice video camera. Il ritorno nel Regno Unito vede la
costruzione di un nuovo studio situato in una vecchia casa di famiglia,
e più precisamente in quella che era stata la stanza dei giochi di una
Imogen Heap bambina. Mentre una panchina esposta agli elementi mostra visivamente
il mutare delle stagioni – passano gli anni – seguiamo le varie fasi della
costruzione dello studio, l’inizio delle session compositive, l’apporto
degli ospiti e l’immancabile tensione finale prima delle session di masterizzazione
nello studio di Heyworth. Il lato "tecnico", pur presente, non
è tale da scoraggiare uno spettatore non particolarmente interessato a
queste cose (in questo senso funziona meglio un’intervista del 2009 apparsa
sul mensile Sound On Sound). A chiusura di un’esperienza che vediamo essere
stata particolarmente stressante, la Heap promette che mai più farà un
album contraddistinto da tale impegno protratto nel tempo.
Lette le
recensioni, ci è dispiaciuto vedere che Ellipse sia stato trattato con
un certo grado di sufficienza, che diremmo frutto dell’antica propensione
a trattare quello che si presenta come "ritmico" come di per
sé
"inferiore" ad approcci più "artistici". E’ invece inspiegabile
la sottovalutazione delle Heap cantante a fronte dell’apprezzamento oggi
riservato a pompe di bicicletta o a voci affette da laringospasmo.
Il DVD-V
mostra alcuni estratti dai quaranta vBlog che la musicista ha realizzato
durante la lavorazione dell’album. Il che ci offre l’occasione per accennare
a un argomento dolente assai. Sparite le case discografiche di una volta,
il peso della promozione del lavoro di un musicista ricade oggi in larga
parte sul musicista stesso, innanzitutto nelle modalità che vedono protagonista
Internet e quei "social network" che sono oggi il motore primo
di aggregazione. Il video mostra anche i vari modi in cui la Heap ha reso
i suoi fan co-protagonisti della realizzazione dell’album. Sono modi che
non tutti i musicisti troveranno di proprio gusto, o adatti alla propria
personalità. Starà quindi a loro trovarne di più consoni.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net | Apr. 2, 2011