Mike Gordon
The Green Sparrow
(Rounder)
Ottimo
bassista, versatile polistrumentista (chitarre, tastiere e un agilissimo
banjo bluegrass di provata competenza), cantante e autore di humour surreale,
dotato e apprezzato filmmaker, Mike Gordon è stato senz’altro l’elemento
di più ardua classificabilità tra i componenti del celeberrimo (e ormai
definitivamente disciolto, o almeno così pare) quartetto statunitense che
andava sotto il nome di Phish.
E se
già all’indomani dello scioglimento Trey Anastasio – il chitarrista e cantante
autore di circa il 90% del repertorio della formazione – aveva intrapreso
una carriera solista che era sembrata per molti versi una prosecuzione
del lavoro del quartetto, pur con coordinate diverse, non altrettanto determinati
(almeno per quanto concerneva le prospettive di lungo periodo) erano parsi
gli altri tre. (Ché – al di là di un repertorio, una presenza, una grinta
e una figura discretamente a proprio agio nell’abitare il bordo del palco
– era stato proprio il senso della direzione, di un cammino che si presentava
come necessario, a costituire l’apporto più specifico di Anastasio.)
Ciò nonostante,
quello che Gordon ha finora prodotto, anche se in quantità ridotta, è buono.
Dobbiamo ammettere di ascoltare ancora con piacere Clone (2002) e Sixty
Six Steps (2005), i due album incisi con il chitarrista e cantante Leo
Kottke. (Due album, sia concesso dirlo, che ci sembrano essere stati oggetto
di quel triste tipo di sottovalutazione per partito preso che prescinde
totalmente dall’ascolto.) E ci piace ancora ascoltare Inside In (2003),
bizzarra combinazione di tromboni, pedal steel, percussioni, banjo e bassi,
quel tipo di miscela che sulle prime pare frutto di una procedura "a
capriccio" ma che una lunga frequentazione (o una naturale propensione
per il bizzarro) dice frutto di lucidità.
The Green
Sparrow è invece un lavoro di impostazione più "classica" – staremmo
quasi per dire "tradizionale" – tranquillamente classificabile
all’interno di quella che è ancora lecito chiamare "musica americana".
E sono dieci canzoni in una lunghezza da LP.
E’ un
lavoro facile da sottovalutare (è capitato anche a noi, dopo il primo ascolto),
e questo perché stavolta Gordon sembra aver puntato a un tipo di
"complessità nascosta" in strutture decisamente accessibili. E
anche i testi, pur contraddistinti da quel gusto per il surreale e l’onirico
che diremmo tipico dell’autore, sembrano stavolta dotati di una narrativa
che – paragonata a Inside In – se non sempre tradizionale, è nella maggior
parte dei casi quasi comprensibile.
Registrato
nello studio di Gordon, Cactus Unlimited, in un lasso di tempo di discreta
lunghezza nel periodo 2007-2008, e successivamente a New York, nei classici
Electric Lady Studios, prodotto dallo stesso Gordon insieme ai fidi John
Siket e Jared Slomoff, missato da John Siket, The Green Sparrow mette insieme
un bel mucchio di strumenti e di approcci, con gran bel gioco strumentale
e
"partecipazioni speciali" che hanno un senso al di là del nome.
Gordon ci è parso decisamente migliorato sia come cantante che come chitarrista,
e ogni brano appare frutto di buona sapienza artigianale. Buona la registrazione,
ottimo il lavoro bassistico.
Another
Door apre classicamente, con l’ottimo Doug Belote alla batteria (il musicista
fa una bella figura su tutto l’album) e Gordon a basso, chitarre e tastiere.
Un bell’attacco batteristico, quasi un funky-calypso, parte vocale lineare,
linea di basso semplice, tastiere a mo’ di organo. Bell’inciso strumentale
con basso ascendente, poi un intermezzo bizzarro, a circa 1′ 50",
con chitarre e "suoni misteriosi" (quasi da Clavinet con wha-wha).
Voices
vede ancora Gordon e Belote, Page McConnell (già Phish) all’organo e varie
voci. Bella la transizione tra il giro di "chitarrina" che apre
e il corpo del pezzo. Come in molti brani dell’album, qui la parte di basso
è semplice ma ha degli accenti decisamente difformi da quelli della parte
vocale. Aria quasi calypso, voci filtrate (quasi un vocoder), con effetto
"onirico" nel ritornello. Piano, assolo di chitarra, e un bell’inciso
con l’organo di McConnell.
Dig Further
Down è un momento decisamente "Phish". Chitarra di Trey Anastasio
(con un paio di colpi di plettro molto à la Jeff Beck a 2′ 42" – 2′
43"), ottimo groove batteristico di Joe Russo (del duo con Marco Benevento),
organo (sarà un vero Hammond? i bassi sembrano gonfi a dovere, il Leslie
realistico) di Chuck Leavell, che fa un buon solo.
Pretend
ha una bel groove batteristico di Russ Lawton. Melodia cantata con garbo
da Gordon, chitarre acustiche in evidenza, un bell’inciso. La parte di
basso si concede un contrappunto non poco Phil Lesh, mentre l’assolo di
chitarre slide (sempre Gordon) ci ha riportato a tratti alla mente la pedal
steel di Jerry Garcia.
Traveled
Too Far è l’unico brano che non ci è piaciuto, diremmo principalmente per
una eccessiva somiglianza ai Grateful Dead (ovviamente voluta, a partire
dalla presenza di Bill Kreutzmann alla batteria). Pianoforte usato in funzione
ritmica, a tratti quasi honk-tonk (è ancora Chuck Leavell), organo ad aprire
(di nuovo McConnell), inciso classico, assolo di chitarra di Trey Anastasio
che sembra quasi citare la solista di Jerry Garcia.
Andelmans’
Yard è il pezzo più lungo (6′), e forse anche il più bello. Qui Gordon
suona tutti gli strumenti. C’è un disegno ritmico calypso fatto "a
macchina", chitarre acustiche, voci melodiche, suoni lineari. Il basso
entra a vivacizzare il tutto a 2′ 20", e a partire da 2′ 50" c’è
una bella parte centrale strumentale.
Radar
Blip si apre con un groove di basso dal sapore funky (è il momento preferito
da chi scrive), batteria secca (di nuovo Belote), organo, voci e fiati
(tromba, trombone, sax baritono, flauto) per un feel quasi R&B jazzato.
Un bell’arrangiamento, un bel pezzo, e un pensiero fuggevole agli Steely
Dan.
Morphing
Again ha di nuovo Joe Russo alla batteria, un bell’incedere lieve, un bel
basso, un ritornello arioso. Non appariscente, ma buono.
Jaded
quasi sorprende con una coppia ritmica quasi funky, la chitarra "a
strappo", percussioni, voce quasi rappata, l’organo (fa un bel solo
con un tocco di effetto "percussion") e la voce di Ivan Neville,
e voilà, è un quasi New Orleans, se è concesso dirlo.
Sound
chiude con dignità: un pigro calypso, bella coppia ritmica, ottimo pianoforte
di Gordon, chitarre acustiche e un pizzico di organo (è ancora Chuck Leavell,
che ci ha fatto molto piacere ritrovare in forma).
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Aug. 26, 2008