Godsticks
Emergence
(self-released)
"Prog
vestito da Metal": questa la definizione che a nostro avviso meglio
descrive la musica contenuta su The Envisage
Conundrum, il bell’album pubblicato all’incirca due anni or sono dal trio
gallese denominato Godsticks. Un’etichetta che però dice e non dice, dato che
ormai da tempo il "Prog" storico ha visto il "Metal"
prendere il posto del "Jazz" e della "Musica Classica"
quale "elemento costitutivo" di primaria importanza, sì che oggi il
"Prog-Metal" potrebbe essere definito quale una delle vesti normali
del più comune "Prog". Un cammino, si noti tra parentesi, che
potremmo dire corre in parallelo alla traiettoria dei King Crimson: dal
sassofono e mellotron (e violino) del periodo storico della formazione al
"nuevo metal" di cose quali The ConstruKtion Of Light.
Un uso
sapiente e meticoloso della sovraincisione e una concezione altamente
contrappuntistica della musica – una caratteristica, questa, facilmente
rinvenibile sul "tavolo di progettazione" di composizione e
arrangiamento prima che in fase di missaggio – consentivano una comprensione
non troppo problematica di una musica dagli intrecci non poco complessi. Nella
sua veste di produttore e tecnico di registrazione e missaggio Joe Gibb era
apparso come il proverbiale "quarto membro" del gruppo, che vedeva
Darran Charles a voce (che nei momenti più "da stadio" ci aveva
curiosamente ricordato quella di Aaron Lewis degli Staind), chitarre e tastiere
(Charles essendo anche il compositore principale del gruppo); Steve Roberts a
batteria e tastiere; e Dan Nelson al basso.
La musica
composta da Charles ha una sua peculiare forma di complessità, forse non troppo
evidente al primo ascolto ma che viene fuori allorquando si provino a cantare
le linee melodiche di quelle canzoni complete di armonizzazioni vocali e
contrappunti chitarristici. Ottimo il lavoro bassistico di Nelson, era la
batteria agile e precisa di Roberts – tutta tempi dispari e bella timbrica – a
costituire il perfetto contraltare della combinazione voce/chitarra di Charles.
Questo
lungo preambolo serve a illustrare con chiarezza l’iniziale sconcerto da noi
provato nell’ascoltare il nuovo album della formazione, intitolato Emergence.
Se i musicisti coinvolti sono gli stessi dell’album precedente, a cambiare sono
il produttore, che qui è James Loughrey (il cui nome non abbiamo mai sentito
prima d’ora, ovviamente non per sua colpa) e soprattutto gli intendimenti.
Semplificando,
diremmo che stavolta l’album è in buona parte considerabile come un album
davvero "Metal", cosa che pone tutta una serie di problemi aggiuntivi
al momento del giudizio critico. E posto che non di rado il "Metal"
presta il fianco a critiche fin troppo giustificate quando si tratta di
autocaricatura e senso del ridicolo (non è il nostro campo, e non ne ricordiamo
il nome, ma non molto tempo fa un amico ci diceva di un gruppo che si esibiva
avendo sul palco delle teste di maiale macellate di fresco appese a dei ganci,
il cantante indossando una testa di maiale, se vera o finta non sapremmo dire),
pure ci è sempre dispiaciuto – fin dai tempi lontani dell’hard rock – che
queste rumorose correnti si trovino a essere snobbate da tutti, eccezion fatta
per i fan di più stretta osservanza, ché sempre di musica suonata si tratta,
con tutti i motivi di interesse che a essa sono connessi.
Semplificando
ancora una volta, potremmo dire che Emergence rimpiazza la grande varietà e la
concezione contrappuntistica di The Envisage Conundrum con un forte senso di
omogeneità e una focalizzazione su un numero limitato di elementi. Qui potremmo
dire che se l’album precedente correva il rischio di risultare "sfuggente
e difficile", all’opposto il nuovo rischia di essere "monotono".
E questa è una questione che ciascun ascoltatore dovrà decidere da sé al
momento dell’ascolto, ma che è ovviamente affrontabile in termini razionali.
Il
linguaggio compositivo e l’atteggiamento vocale di Charles non sono troppo
mutati. E però la coppia "voce & chitarra" costituisce adesso il
punto focale delle canzoni, con gli altri elementi – non assenti, i
contrappunti vocali e chitarristici sono molto più limitati che in passato – a
non distogliere l’attenzione. Il che non implica necessariamente monotonia. La
varietà melodica è maggiore di quanto non sembri al primo ascolto, e Charles –
un chitarrista la cui cifra distintiva ci pare essere più la costruzione di
arpeggi e di canzoni che non l’assolo funambolico – offre qui variazioni alla
formula: si ascoltino i passaggi quasi da cornamusa del breve assolo finale su
Hopeless Situation e gli arpeggi Fripp-orientali della conclusiva Lack Of
Scrutiny, ambedue – sia concessa una notazione personale – molto più
interessanti dei passaggi "simil-Satriani" che affiorano qua e là nei
rari assolo dell’album.
Il
problema – se il lettore preferisce: la potenziale fonte di rischio – è
costituito dal ruolo attribuito agli altri due strumenti, e a quello che
potremmo definire "l’ambiente" dell’album.
Più che a
un "elastico contrappunto" il basso viene qui chiamato a un ruolo di
"agile sostegno", e fin qui ci siamo. Quel che sconcerta è il luogo
dove il missaggio pone la batteria: chilometri in sottofondo. Ci sono momenti –
l’attacco di Ruin e di Emergence, i passaggi di Lack Of Scrutiny con cassa in
evidenza – in cui la batteria è in primo piano e perfettamente udibile, cosa
che ingenera un forte senso di frustrazione quando ci si accorge che piatti e
tamburi sono stati nuovamente spediti "in castigo". Assurdo ci è
risultato l’ammontare di "rumore bianco" proveniente dai piatti, come
un "crash" suonato (con forza!) con funzioni di "ride".
Ciliegina finale, la batteria risulta essere stata registrata in uno studio
diverso, che immaginiamo fonte di belle timbriche!
Piuttosto
bizzarro è parso a chi scrive il "luogo" dove la musica è situata: un
hangar enorme e cavernoso con echi e rimbombi da tutte le parti. Se si
preferisce, i primi quattro brani situano l’ascoltatore sulla balconata di un
luogo dall’acustica assassina. Un brano "acustico" con impiego di
archi funge da "pulisciorecchie", e dopo l’appropriatamente ossessiva
Hopeless Situation l’ascoltatore pare essere depositato al piano terra del
luogo di cui sopra, per tre brani che suonano più strettamente apparentati
all’album precedente. Ma anche qui, i fiati che dovrebbero arricchire Lack Of
Scrutiny, come gli archi di All That Remains, soffrono di una componente
timbrica che li fa suonare ben lontani dalla bellezza del violoncello di
Borderstomp – Part 2 (Blind) e di Raised Concerns, apparsi su The Envisage
Conundrum.
A questo
punto indossiamo il "Cappellino del Produttore" (quello che sulla
visiera porta il motto: "Tutti hanno il diritto di avere la mia
opinione") e ragioniamo così. Lo stile compositivo, vocale e chitarristico
di Darran Charles è di per sé enfatico, quindi necessita di non essere
ulteriormente appesantito da elementi che possano spingerlo oltre i confini
dell’auto-caricatura. E uno di questi elementi è l’eccesso di omogeneità. Il
che ci spinge a considerare la seconda parte dell’album come di gran lunga
superiore alla prima.
Tolto il
"Cappellino del Produttore", ci viene in mente la definizione che un
amico ha recentemente usato a proposito di un gruppo statunitense che avrebbe
suonato il giorno successivo nella città in cui abitiamo: "musica da
quattro vodka doppie". Alla nostra richiesta di chiarimenti ha così
risposto: "Tu queste cose non le sai, ci dovresti andare. La gente beve
quattro doppie vodka e quando il gruppo inizia a suonare comincia a saltare in
aria scuotendo la testa. E’ così che si ascolta quella musica."
In questo
senso, la produzione di Emergence potrebbe averci offerto l’equivalente di un
locale cavernoso e quattro doppie vodka al prezzo di un semplice CD, che
ovviamente abbiamo ascoltato sui nostri soliti monitor da studio, stando
seduti, perfettamente sobri, e tenendo la testa ben ferma.
In
conclusione, ci piacerebbe ascoltare un remix di questo album con la batteria
avanti e la voce meno trattata.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2015
CloudsandClocks.net
| Aug. 11, 2015