Gloom
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di Beppe Colli
Jan. 10, 2012
If I only had a dollar
For ev’ry song I’ve sung
Ev’ry time I’ve had to play
While people sat there drunk
Puntualmente con l’inizio dell’anno giungono i primi dati
di vendita. Per la prima volta dal 2001 le cose sembrano essere andate un
po’ meglio negli Stati Uniti, anche se accorgersi che l’incremento è di fatto
attribuibile all’inattesa performance dell’album di Adele intitolato 21 non
può che far sorgere qualche dubbio sull’effettiva tenuta del mercato. Ma
certo qualcuno sta comprando tutti quei CD, dal che è agevole trarre la conclusione
che le notizie dell’imminente scomparsa del supporto, e delle stesse case
discografiche, non possono che essere esagerate.
La classifica più curiosa è senz’altro quella stilata da Metromix
concernente gli insuccessi più clamorosi del 2011. Come avverte Andy Hermann
nell’introduzione all’articolo, ponderare vendite e aspettative di vendita
non è quello che chiameremmo un procedimento scientifico; resta il fatto
che in alcuni casi le vendite effettive sono davvero curiose. I dati che
ci hanno maggiormente colpito (chi volesse leggere il pezzo per intero può
cercarlo in Rete come 20 Biggest Flop Albums of 2011) sono quelli che riguardano
l’album omonimo dei SuperHeavy (gruppo comprendente tra gli altri Joss Stone,
l’ex Eurythmic Dave Stewart e Mick Jagger dei Rolling Stones) e Lulu, il
lavoro inciso congiuntamente da Lou Reed e i Metallica. Diciassettemila (17.000)
le copie vendute dai SupeHeavy durante la prima settimana (l’album è poi
uscito dalle classifiche), diciannovemila (19.000) quelle vendute dai secondi
negli Stati Uniti, prima che vendite inferiori a 1.000 copie la settimana
facessero uscire il lavoro dalla classifica di Billboard denominata Hard
Music Albums. Non è nostra intenzione trarre da questi dati alcuna conclusione
(è perfino ipotizzabile che qualcuno possa sostenere che vendite tanto basse
siano segno di un’altissima qualità, e non del suo opposto).
Le note più dolenti – e qui non c’è neppure bisogno di guardare
le classifiche, tanto piccole sono le cifre – riguardano le musiche a noi
più care. Se per i casi commercialmente più nobili si può ancora parlare
di una pausa di ripensamento, per tutti gli altri è forte la sensazione di
una battuta d’arresto che – conti alla mano – assume sempre più le sembianze
del definitivo. Qui non è neppure questione di regalare la musica sperando
in un ritorno indiretto ma dell’impossibilità di incidere un album degno
di questo nome, con tutto quello che la nozione implica in termini di prove
e session di studio (il fatto che la qualità superiore dei suoni e dell’incisione
di un album sottile ma indubbiamente accessibile quale quello di Ben Folds
con Nick Hornby sia passata completamente sotto silenzio per lasciare il
posto a stupide chiacchiere da salotto sul lavoro letterario di Hornby non
è che l’ennesima testimonianza della cecità auditiva che ormai affligge chi
scrive sui giornali).
In parallelo, dobbiamo ammettere di essere rimasti colpiti
dalla pressoché totale scomparsa di ogni pur minimo riferimento al pubblico
nei resoconti dei concerti effettuati per come ci sono stati narrati dai
musicisti con i quali siamo personalmente in contatto. Ovviamente la cosa
più importante è la musica nata sul palco, ché è per questo che sul palco
si sale. Ma gradualmente, con il progredire del decennio trascorso, i piccoli
accenni al pubblico presente (e, si suppone, pagante) sono del tutto spariti.
Il che non abbiamo mai preso come una noncuranza nei confronti del pubblico,
ma come una prova della sua "sparizione". Cosa che può essere letta
sia come assottigliamento numerico che quale adozione di una cornice autoreferenziale
tipica delle situazioni (è il caso della musica classica e di tutti i luoghi
che si reggono su sovvenzioni) in cui il pubblico è ininfluente sul risultato
finale. Certo è buffo, dopo un resoconto dettagliato della musica suonata
in quell’occasione, sentire le sopracciglia inarcarsi per lo stupore alla
domanda sul pubblico, con un silenzio che è testimonianza dello sforzo sincero
di ricordare se davvero un pubblico ci fosse.
Here is your reward for working so hard
Gone are the lavatories in the back yard
Gone are the days when you dreamed of that car
You just want to sit in your Shangri-la
I toni "grigi" di una scala sono sempre quelli più
difficili da trattare: nessun dubbio sul significato di parole quali "ricco" e "povero",
ma è l’estesissima terra di mezzo a creare problemi. Da parte nostra abbiamo
idee forse un po’ balzane. Chi porta gli occhiali è indubbiamente "ricco",
ché in altre epoche un miope sarebbe stato sbranato dai leoni o trafitto
da una lancia. Per farla breve, chi scrive non ha alcuna idea di come funziona
il computer che usa, per il tramite di quali operazioni i nostri dati siano
in grado di viaggiare su una linea e di finire in un altrove. Senza alcun
merito, e con poca spesa, utilizziamo quello che il progresso tecnico e la
produttività sociale ci hanno messo a disposizione. Siamo "ricchi".
La conoscenza dell’inglese e di quelle nozioni di economia bastanti a trovare
un senso in quanto leggiamo ci consente di frequentare la stampa internazionale
in Rete e di tentare di orientarci in momenti difficili come quelli che viviamo.
Poi ognuno interpreta il suo ruolo come crede. Paul Krugman
è un premio Nobel, e siamo pronti a scommettere che la sua giornata non debba
essere più vuota di quella di un qualsiasi professore universitario dei nostri
atenei. Pure, Krugman interviene più volte al giorno nel suo blog sul New
York Times, tira fuori tabelle, ribatte a obiezioni, polemizza e illustra,
fa previsioni. Per contro, essendo stati per un quarto di secolo lettori
di un settimanale statunitense di economia quale Business Week possiamo dire
di una firma del giornalismo italiano che ogni lunedì pubblicava articoli "largamente
basati" su quello che avevamo letto il giovedì precedente su quel settimanale.
Ci è capitato pochi giorni fa di leggere un pezzo su "crisi
e classe media" che assumeva una coppia di impiegati quaranta-e-qualcosa
con figli quale illustrazione dei sacrifici che il momento presente costringe
ad affrontare. Data una casa di proprietà, nel caso suddetto i sacrifici
consistevano essenzialmente nella rinuncia a tennis e nuoto per i pargoli,
alla settimana bianca e ai week-end fuori porta per la famiglia, alla frequentazione
di teatro e cinema per i genitori (e ovviamente a una certa oculatezza in
senso generale nelle spese effettuate dal nucleo familiare tutto). Dando
per scontato che molto spesso, e per tutta una serie di motivi, gli articoli
che appaiono sui quotidiani non sono meditati quanto dovrebbero, faceva una
certa impressione leggere che la rinuncia a cinema e teatro – "una mazzata
sulla cultura" – non lasciava altro scampo che l’abbrutimento davanti
alla televisione. Mentre da parte del capofamiglia giungeva tutto lo stupore
per una crisi economica
"imprevista, e non certo di questa gravità" (!) "e che speriamo
non si aggravi oltre".
Come sempre in questi casi, ci ha colpito la qualifica di "cultura" riservata
a teatro e viaggi. Tolta di mezzo la settimana bianca (sarebbe come sparare
sulla Croce Rossa), ci è del tutto oscuro cosa di "culturale" abbia
lo spostarsi da A a B (stendiamo un velo pietoso su quanti hanno avuto bisogno
di recasi in Russia o in Cina per apprendere dalle guide turistiche banalità
note da decenni) o frequentare i teatri in una città – una città che conosciamo
bene – dove non è (mai stato) possibile vedere un Kevin Spacey impegnato
a rinnovare una programmazione o un David Mamet prepararsi al debutto. Per
contro, è tragico lo stupore con il quale persone dotate di una laurea guardano
gli avvenimenti concernenti l’economia, con atteggiamento non troppo dissimile
da quello del primitivo di fronte ai terribili fenomeni della natura.
But it’s getting harder
To describe
Sailors
To the underfed
Circostanza comune a quei tempi, la copia in nostro possesso
era priva di quei materiali interni – foto e testi – che molti anni dopo
avremmo scoperto essere presenti sull’originale statunitense. E il nostro
inglese di quindicenni era davvero troppo povero anche solo per decifrare
come
"harder" quella parola che a noi suonava come "HAAA-DEH!".
Venuti in possesso del testo, ci chiedemmo in che senso potesse divenire
più difficile descrivere marinai ai sottonutriti. Va da sé che il marinaio naviga,
e quindi si muove. E che chi è sottonutrito può esserlo in molti modi, a
partire da quello materiale del cibo per giungere a quello che concerne le
informazioni. Privo di forze, troppo debole per muoversi, chi è debole può
giungere a non credere neppure possibile un’esistenza in cui il movimento
è possibile. Ma chissà qual è il senso, inteso o possibile, di questo frammento.
Characters in order of appearance:
Lodi (B-side of Bad Moon Rising single by Creedence Clearwater Revival, released April
1969, also from the album Green River. Writer: John Fogerty)
Shangri-La (Single by The Kinks, released September 1969, also from the album Arthur, Or the
Decline and Fall of the British Empire. Writer: Ray Davies)
The Soft Parade (Song by The Doors from the album The Soft Parade, released July
1969. Writer: Jim Morrison)
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net | Jan. 10, 2012
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