Fred
Frith
Keep
The Dog
(Fred
Records/ReR)
Chitarrista,
multistrumentista, compositore, Fred Frith non ha certo bisogno di molte
presentazioni. Figura per certi aspetti paradigmatica, dall’esordio
discografico con gli Henry Cow – giusto trent’anni fa – ha attraversato
generi e continenti. Andando a memoria, e senza nessuna pretesa di completezza,
basta qui ricordare Art Bears, Skeleton Crew, Massacre, le collaborazioni
con i Material e John Zorn, i duetti con Chris Cutler e Henry Kaiser,
la copiosissima produzione solista, il Guitar Quartet, l’attività
di improvvisatore in contesti svariatissimi, l’insegnamento universitario
e così via. Una situazione per molti versi invidiabile, laddove
il catalogo si trova amichevolmente a competere con le numerosissime
nuove uscite su svariate etichette. Il che però crea certamente
più di un problema a chi – volendo prendere confidenza con la
produzione del musicista – si trova di fronte a tanta abbondanza da
non sapere come orientarsi.
Il
problema è per certi versi acuito dalla generosa attività
dell’etichetta personale di Frith, la Fred Records, che si sta preoccupando
di stampare, accanto a titoli inediti, molti degli album che diremmo
senz’altro "classici" della produzione da titolare del musicista.
Il che a ben vedere potrebbe però fornire una via d’uscita al
dilemma del neofita, che potrà prendere senz’altro in considerazione
titoli quali Guitar Solos (’74), lavoro di natura esplorativa sullo
strumento cui il tempo ha tolto poco del suo smalto; il vario ed estremamente
comunicativo Gravity (’80), a parere di chi scrive senz’altro superiore
(merito degli Zamla?) al successivo – e parimenti ristampato – Speechless;
e inoltre l’ideale antologia di Step Across The Border (’91), cui aggiungeremmo
l’album di svelte canzoni intitolato Cheap At Half The Price (’83),
in via di ristampa. E se un doppio CD non sembra troppo per iniziare,
proprio questo Keep The Dog: l’album che – raccogliendo inedite versioni
dal vivo eseguite da una bella e affiatata formazione – era molto atteso
dai frithiani di vecchia data.
Keep
The Dog era il nome della formazione messa insieme da Frith sul finire
degli anni ottanta allo scopo di presentare sul palco – in maniera elasticamente
cangiante, con ampio spazio per l’improvvisazione – svariate pagine
del suo abbondante repertorio. Dato che le versioni che appaiono su
questo CD risalgono al 1991 (le registrazioni sono state effettuate
in varie località in Austria, Germania e Italia) va da sé
che la formazione – un sestetto timbricamente molto ricco – è
in grado di suonare il materiale con quella freschezza e appropriatezza
dei contributi che testimoniano di una lunga frequentazione. (E qui
è lecito versare una lacrima per la scomparsa di un circuito
– e di un pubblico? Questi non sono certamente risultati raggiungibili
in una settimana di prove in vista di una "prestigiosa prima"…)
La
formazione è quella nota. Due versatili e personali canadesi:
Jean Derome e René Lussier, il primo ai sassofoni e al flauto,
il secondo alla chitarra e – talvolta – al basso, strumento che il più
delle volte viene imbracciato dallo stesso Frith, qui anche al violino,
alla chitarra e alla voce. Decisamente fondamentali le tastiere, la
fisarmonica, l’arpa elettrica e – quando il teatro ne offriva uno –
il pianoforte di Zeena Parkins. Nitida ossatura da parte della batteria
di Charles Hayward, poco in evidenza – ma in alcuni momenti davvero
insostituibile – il campionatore di Bob Ostertag.
Il
repertorio pesca – riarrangiando con efficacia – un po’ dovunque. Tra
le altre, vengono riprese la Bones già Massacre; la Foot In Hole
dal secondo album degli Skeleton Crew, The Country Of Blinds, qui in
una versione dilatata ed efficace; tre brani – Walking Song, Some Clouds
Do e Instant Party – vengono dal già citato Cheap At Half The
Price; The Trace giunge da Who Needs Enemies?, il secondo album inciso
da Frith con Henry Kaiser; le classiche Norrgården Nyvla e Year
Of The Monkey, ovviamente, da Gravity. Piace anche citare una Suspended
per piano, flauto e campionatore. E diremmo che il tempo non ha tolto
bellezza alle melodie e agli arrangiamenti, fornendo loro una patina
di piacevole "classicità". Posto che le partiture sono
in grado di reggere benissimo anche senza l’apporto chitarristico di
Frith (ovviamente diamo per scontata la caratura strumentale di Lussier)
ci sembra di poter affermare che nei (rari) momenti in cui la chitarra
di Frith fa capolino quel timbro aggiunge non poco alla riconoscibilità,
alla gradevolezza e alla personalità dell’insieme (non è
così anche per il suo violino?).
Le
critiche che ci sentiamo di rivolgere all’album sono sostanzialmente
due. La prima è di carattere essenzialmente "pratico":
nelle note di copertina Frith afferma di aver voluto fornire una panoramica
il più possibile ampia del repertorio "within the time constraints
of the format"; il che è un’affermazione molto curiosa,
dato che il doppio CD è più corto di circa un’ora del
tempo massimo tecnicamente possibile; perché, allora, non aggiungere
dell’altro? O, in alternativa, tagliare qualcosa in modo da ottenere
un CD singolo sì da rendere l’acquisto più agevole al
neofita? La seconda, decisamente più soggettiva, riguarda il
batterista – o, per meglio dire, l’impiego della batteria. Chiariamo
subito: Charles Hayward è uno dei nostri batteristi preferiti.
Ma se il suo limpido senso del tempo assumeva un senso all’interno delle
atmosfere più "caotiche" dei This Heat e dei Camberwell
Now, qui – dove le partiture sono una autoevidente rappresentazione
di ordine, e complice il volume decisamente alto del charleston – esso
rischia a tratti di rappresentare una versione auditiva del noto cartello
"voi siete qui".
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| Sept. 7, 2003