Una chiacchierata
amichevole
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di Beppe Colli
Nov. 3, 2011
Doveroso aprire il discorso
con una breve puntualizzazione: questa è solo una chiacchierata tra amici,
una piccola cosa fatta in casa il cui scopo eminentemente pragmatico scaturisce
da tutta una serie di preoccupazioni (che sappiamo essere di natura non strettamente
personale) che dovrebbero diventare chiare, o almeno così si spera, a chi
riuscirà ad arrivare fino in fondo a questo scritto.
E parlando alla buona,
potremmo dire che tutti facciamo esperienza della realtà tramite modelli.
(Qui potremmo aggiungere "mentali"; ma la cosa, invece di chiarire
le idee, sembra inevitabilmente destinata a confonderle, dato che i modelli
formalizzati sono "là fuori", e non "qui dentro" – il
lettore abbia un po’ di pazienza.) Il bambino apprende a sue spese che "il
fuoco brucia". Ma tutti abbiamo alle spalle una "conoscenza di
sfondo" fatta di elementi "banali" che non ci accorgiamo nemmeno
di avere e che mettiamo in discussione solo quando le cose vanno diversamente
da quanto atteso. Nel mondo fisico, lo sfregamento di un cerino produce la
fiamma; e anche se magari non sapremmo spiegare perché la fiamma si produca,
una mancata accensione diventa un problema da risolvere formulando congetture
sui motivi che hanno fatto andare le cose "diversamente dal normale"
("il fiammifero era umido"). Questo "grado zero" è implicitamente
accettato in molti contesti del comportamento umano: l’attribuzione di responsabilità
di un investimento ("ha attraversato senza guardare") presuppone
un comportamento "normale"
("chi attraversa guarda") che si basa su assunti ancora più
"banali" ("la vita umana è considerata degna di essere vissuta,
dunque chi attraversa si preoccupa di guardare"); su questa tacita base,
l’accertamento di eventuali fattori quali volontà suicida, alto grado di
distrazione o perdita di lucidità comunque motivata; tutti fattori da provare
in maniera indipendente, anche per mezzo di analisi tossicologiche.
Ma quando il fenomeno da spiegare – sia esso di natura
"fisica" che "sociale" – è complesso è necessario fare
ricorso a modelli "espliciti" che vengono formalizzati in dettaglio
ed esposti in maniera pubblica, innanzitutto alla "comunità dei pari".
E una delle caratteristiche più importanti di un modello è quella di fare
previsioni rigorose che è poi possibile verificare. Facciamo un esempio.
All’indomani della presentazione del piano di stimolo economico
presentato dal Presidente degli Stati Uniti Obama, l’economista Paul Krugman
espose pubblicamente i motivi della sua mancanza di fiducia nel successo
della manovra. Naturalmente un giudizio sintetico rivolto a un pubblico di
non specialisti (in un luogo quale The Conscience of a Liberal, il blog che
Krugman ha da tempo sul New York Times) manca di una formalizzazione rigorosa,
ma a questa rimanda; e questa c’è, altrove, per chi abbia voglia e mezzi
per comprenderla. La previsione di Krugman (basata, lo ripetiamo, su una
teoria formalizzata in modo rigoroso) era che lo stimolo si sarebbe dimostrato
troppo piccolo per potere funzionare. In subordine, la previsione che il
mancato raggiungimento degli scopi della manovra avrebbe rappresentato per
gli esponenti del partito Repubblicano una buona occasione per denunciare
l’inefficacia dell’intervento pubblico in quanto tale, da definire conseguentemente
quale "inutile spreco". Gli eventi previsti da Krugman si sono
puntualmente verificati, come anche la circostanza che nella nuova cornice
sarebbe stato (politicamente) impossibile approvare una seconda manovra di
entità maggiore – cosa che per Krugman costituiva già in partenza un
"motivo aggiuntivo" per approvare da subito una manovra di ben
altro ordine di grandezza.
Mettiamo qui un piccolo punto fermo imparando a chiederci
da quale teoria rigorosamente formalizzata derivi una previsione e se essa
sia esposta in maniera dotata di senso.
L’importanza di quanto
appena detto discende da un fenomeno ben noto a tutti: sempre più ci lasciamo
alle spalle il periodo storico in cui chi parlava derivava la sua Autorità
Indiscussa da un Altrove. Ma il fenomeno della moltiplicazione delle fonti
– potenzialmente infinite, anche se poi la realtà pone dei limiti più ristretti
– non si traduce di per sé in un’accresciuta consapevolezza dei "modi"
su cui misurare e comparare la validità della conoscenze, ché anzi l’opposto
pare sempre più diventare la norma: "Conoscenza? Ognuno ha la sua",
ovvero "Le verità incommensurabili".
La rubrica che con cadenza
settimanale Ben Goldacre tiene sul quotidiano The Guardian sotto il titolo
di Bad Science è senza dubbio uno dei principali bastioni della razionalità
con intenti divulgativi al quale è oggi possibile accedere liberamente da
ogni parte del mondo. Il successo della rubrica – misurato sia in numero
di consensi e di quantità di feedback sul sito del quotidiano che di controversie
non di rado aspre e accese che gli argomenti trattati sono stati in grado
di provocare – è stato tale da rendere pressoché obbligatoria la pubblicazione
di una serie di "puntate precedenti" sotto forma di economicissimo
volumetto.
Il lettore ci perdonerà se sottolineiamo il carattere di grande
rigore delle argomentazioni di Goldacre, ma tale è l’abitudine sotto molti
cieli a trattare gli argomenti più disparati, in primis quelli scientifici
– cambiamenti climatici, omeopatia, malattie vecchie e nuove, correttezza
formale degli studi, proprietà nell’uso degli strumenti statistici e via
dicendo – in modi che non fanno che accrescere la confusione e il rumore
di fondo, che la precisazione non ci sembra inutile.
Il primo beneficio di una stretta frequentazione di Bad Science
è a nostro avviso quello di imparare a considerare la correttezza
"formale" di uno studio per quello che è, e cioè l’elemento fondativo
della validità delle sue conclusioni.
Sembra banale? Pensiamo a tutti i dubbi, le controversie,
il tempo perso attribuibili al mancato adempimento del ruolo di filtro da
parte della stampa per ragioni di manifesta incompetenza, per tacere degli
(spesso imperscrutabili) movimenti delle piazze nonché delle (il lettore
è invitato a inserire qui un attributo a piacere) mosse dei politici. Ricordiamo
ancora le polemiche che si accompagnarono alla cosiddetta Cura Di Bella,
la cui
"sperimentazione" venne imposta con moti di piazza e il (pavido
o complice) contributo di alcuni esponenti politici non di secondo piano.
Gli esiti, com’è noto, furono nulli. Ma il tono penoso del
dibattito mise in luce la nebulosità delle argomentazioni a favore ("Potrebbe
funzionare!"), l’assoluta indifferenza per i costi dell’esperimento
(per un beneficio assai dubbio venivano distolti fondi già utilizzati in
terapie di provata efficacia) e l’uso da manuale del "capro espiatorio" ("la
classe medica non vuole la sperimentazione perché intende mantenere il monopolio
sulla malattia!", che come esempio di argomentazione circolare è davvero
un esemplare da collezione).
Secondo punto fermo. In assenza di idee chiare sulle modalità
con cui decidere della forza di un’argomentazione ogni discussione può solo
diventare una gara a chi grida più forte.
Non sappiamo quanti
fra i lettori abbiano confidenza con il nome di Alan Sokal o con la (diremmo
famosa) beffa da lui portata a termine. Una ricerca in Rete offrirà solo
l’imbarazzo della scelta: da Sokal hoax in avanti, voci di enciclopedia,
articoli, recensioni, testi di conferenze e via dicendo.
Importante ricordare qui le motivazioni della beffa: l’insofferenza
da parte di Sokal per il sempre crescente divario – quasi una separazione
destinata a rimanere eterna – tra la Sinistra e la Scienza, e la crescente
adozione da parte della prima di modi di pensiero e strumenti culturali più
prossimi alla ciarlataneria. Fatto ancor più paradossale laddove si ricordi
lo statuto di "scienziato sociale" che Marx attribuiva a se stesso,
e l’uso "emancipatorio" della scienza, in primis nelle sue vesti
di teoria economica, per gli "strati inferiori" della popolazione.
(Lasciamo qui da parte l’esame del lungo cammino che porta dalla teorizzazione
di una società capitalista a quella di una società industriale.)
Argomento lungo e complesso, nonché doloroso. Ma se guardando
all’indietro non facciamo fatica a individuare volti e nomi di esponenti
politici che avevano una stretta confidenza con scienza, economia e mercati,
ci pare di poter dire che la selezione del personale politico sembra oggi
scartare proprio quegli individui la cui formazione razionale potrebbe essere
di grande aiuto nei momenti in cui è più difficile tenere dritta la barra
del timone. In sua vece, una macedonia di posizioni – non di rado contraddittorie
tra di loro, e che sembrano di volta in volta tirate fuori a caso da un cappello
– che rivelano un livello intellettuale pietoso e una frequentazione degli
strumenti della cultura moderna subito interrotta dopo gli anni della scuola.
Se diamo un’occhiata ai (così definiti) "giornali di
sinistra" c’è da mettersi le mani nei capelli: frequentazioni e ascendenze
che una volta si sarebbero ascritte alla destra (Heidegger!), cornici culturali
degne di un contadino che guarda con sospetto l’introduzione della mietitrebbia
e per contro l’utilizzo ludico dei gadget (ma non il lungo processo conoscitivo-industriale
che porta a un brevetto) come esperienza autenticamente vissuta del "moderno".
Permane, ora che gli Dei non abitano più sul Monte Olimpo, una serie di credenze
a sfondo magico che non sembrano le più adatte a offrire strumenti utili
a intervenire nel mondo quale esso è.
(E adesso osserviamo la questione dall’altro lato.)
Se parlando di ricchezza
e povertà ci riferiamo agli estremi della scala – i molto poveri e i molto
ricchi – è poco probabile che si diano casi di incomprensione reciproca.
Ma qui daremo un’occhiata a una zona grigia, il che potrebbe dare adito a
qualche fraintendimento. Cercheremo pertanto di offrire un sovrappiù di chiarezza.
Altri già hanno detto di quanto strana e "povera"
potrebbe sembrare oggi a un occhio moderno la reggia di uno dei Re della
Francia pre-Rivoluzione, diciamo un Luigi a piacere nella sua Versailles.
Oggetto di invidia e meraviglia, simbolo del lusso sfrenato, la reggia
doveva essere un luogo ben maleodorante: ricordiamo il quantitativo enorme
di candele necessarie a produrre tutto quel bagliore, e l’abitudine a usare
un luogo buio – un pianerottolo posto in cima a una scala – quale "aiuto" per
le più impellenti necessità corporali degli ospiti durante le feste.
Un appartamento moderno, illuminato dalla luce delle lampadine
e dotato di impianto fognario, è più "ricco" e salubre di una reggia
del ‘700.
Spostando l’angolo di prospettiva, possiamo dire quanto segue.
La "rivoluzione informatica" rende oggi possibile,
con investimento minimo, avere a disposizione una quantità immensa di informazioni.
Enorme la distanza che separa il mondo di appena ieri – l’International Herald
Tribune del giorno prima acquistabile in qualche aeroporto, l’edizione internazionale
di Business Week per la quale si andava ogni settimana all’edicola della
stazione – da quello di oggi con la possibilità di leggere le rubriche di
Krugman e di Goldacre con un semplice click del mouse. Per non parlare dei
libri, che ieri si era costretti ad acquistare in una libreria specializzata
sperimentando sulla propria pelle il "cambio librario" (per non
parlare dei tempi, biblici) ma che oggi con piccola spesa possiamo ordinare
e ricevere dopo appena qualche giorno.
Quello che intendiamo dire è che oggi ognuno di noi è potenzialmente "ricco".
Cosa importantissima in un mondo in cui al cittadino – per motivi che qui
è impossibile anche solo accennare – verrà chiesta sempre più spesso un’opinione
sugli argomenti più disparati e in merito a decisioni concrete che avranno
conseguenze tangibili.
(Desta sconcerto vedere manifestanti con cartelli quali
"Non è il mio debito" e "Fuori dall’euro". Chissà quali
sarebbero i cartelli al momento di rinegoziare un debito espresso in "New
Liras".)
Il trend non sembra però incoraggiante. L’unico negozio non
saccheggiato durante i recenti disordini londinesi a Clapham Junction? Una
libreria.
Cercheremo di illustrare
il punto seguente in maniera agevole facendo ricorso a un episodio autobiografico.
Il lettore è pregato di notare che toccheremo il tema con mano molto leggera.
Chi scrive era ancora un teen-ager quando un amico di famiglia
chiese quale film avessimo visto di recente. Non ricordiamo cosa rispondemmo,
ma ricordiamo benissimo la sua replica: "Ma non sarà uno di quei film
pesanti che fanno venire il mal di testa? No, la sera mi voglio rasserenare,
un filmettino tranquillo, mi bastano già i problemi che ho con il lavoro
e la famiglia." Risparmiamo al lettore l’elenco delle discussioni similari
riguardanti la musica (ma "Io sento musica per stare sereno e divertirmi" non
è male, evocando per contrapposizione ascoltatori corrucciati con in testa
una cuffia da cui escono spine).
La cosa che troviamo preoccupante (preoccupante nel senso
– soggettivo! – dei discorsi di cui s’è detto) è che le stesse modalità tecniche
in grado di renderci "ricchi" con poca spesa possono anche renderci
semplicissimo conseguire uno stato di perenne divertita beatitudine a costi
ridotti.
Invitiamo il lettore a giocare con noi questo semplicissimo
gioco.
"La sera sono stanco, e i figli mi stanno dando un sacco
di preoccupazioni, quindi: o un filmettino o la partita."
"La sera sono stanco, e i figli gridano, quindi: o un
filmettino o la partita."
"Il lavoro mi assorbe completamente, se non faccio carriera
adesso che sono giovane… La sera, o un filmettino o la partita."
"Dopo tutti gli anni che ho passato a studiare la sera
dovrei ancora leggere? No, guarda: o un filmettino o la partita."
"Sto dando un sacco di esami e la sera mi voglio divertire,
se non mi diverto adesso che sono giovane… Vuoi farmi diventare vecchio
anzitempo? La sera esco, e poi o un filmettino o la partita."
Invitiamo il lettore a porsi una domanda. Siamo proprio sicuri
che vedere un programma televisivo su argomenti seri il cui tono è dato da "e
adesso ascoltiamo un altro punto di vista" e "ma questo lo dite
voi!" sia tanto diverso dalla partita o dal filmettino?
© Beppe Colli 2011
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